EUTANASIA/ Quella legge sul suicidio che difende i malati terminali
INT.
Alistair Thompson
sabato 31 marzo 2012
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Il Parlamento inglese ha approvato una mozione di sostegno alle linee guida sul suicidio assistito elaborate due anni fa dal Director of Public Prosecutions, Keir Starmer. Al procuratore nazionale era stato sottoposto il caso di un marito che desiderava accompagnare la moglie, malata terminale, in una clinica svizzera dove si pratica l’eutanasia. L’uomo chiedeva alla magistratura se sarebbe stato penalmente perseguibile per il suo gesto. In risposta, Starmer ha elaborato delle linee guida in cui si afferma che aiutare una persona a suicidarsi è un reato che va perseguito se avviene per finalità d’interesse, mentre non lo è se il motivo è la compassione. Il Parlamento si è espresso a favore delle linee guida, ma si è rifiutato di cambiare la legge del 1961 sul suicidio in base a cui aiutare qualcuno a togliersi la vita rappresenta un reato. Ilsussidiario.net ha intervistato Alistair Thompson, portavoce di Care Not Killing, un’associazione non profit inglese che promuove le cure palliative e combatte l’eutanasia.
Thompson, dopo questa mozione la legge inglese è più permissiva nei confronti del suicidio assistito?
Il Parlamento si è trovato a discutere un emendamento presentato dalla parlamentare Joan Ruddock. L’esponente laburista voleva che le linee guida sul suicidio assistito assumessero il valore di legge, cambiando la norma esistente, il Suicide Act del 1961. Il Parlamento però ha respinto ogni tentativo di modificare la legge.
Ritiene che questa decisione di non cambiare la legge rappresenti un risultato positivo?
Sì. La legge britannica sul suicidio, che è in vigore da 41 anni, ha sempre difeso i disabili, gli anziani e i malati terminali. Si tratta di persone che possono subire pressioni o fare pressioni su altri per essere aiutati a togliersi la vita. La nostra associazione ritiene che invece di difendere il diritto all’eutanasia, occorra impegnarsi affinché i disabili possano accedere alle cure palliative più avanzate e ad altre forme di assistenza.
Le linee guida introducono una differenza tra “compassione” e “motivi d’interesse”, stabilendo che l’assistenza al suicidio può essere perseguita solo nel secondo caso. Che cosa ne pensa di questa distinzione?
Le linee guida prendono in considerazione un vasto numero di fattori, e non soltanto le motivazioni, ma restano ferme sul fatto che aiutare un’altra persona a suicidarsi va contro la legge. La novità introdotta dal documento di Starmer è che quando qualcuno è fortemente motivato dalla compassione, e non vi è alcun guadagno finanziario, o altre forme di guadagno, allora è meno probabile che il pubblico ministero apra un’inchiesta. Non apre quindi la porta a una legalizzazione del suicidio assistito attraverso una scorciatoia, in quanto la legge rimane la stessa. Le linee guida del Director of Public Prosecutions sono né più né meno il testo redatto da un magistrato, cioè da qualcuno che può interpretare la legge ma non può cambiarla.
Che cosa l’ha colpita di più del dibattito sul suicidio assistito al parlamento inglese?
Nel corso del dibattito c’è stato un discorso molto commovente del parlamentare Craig Whittaker, che ha raccontato un episodio della sua vita familiare. Il fratello, 17enne e malato terminale di cancro, fece diverse pressioni sulla famiglia affinché lo aiutasse a togliersi la vita. Il padre si rifiutò di farlo, ma a distanza di 20 anni, pur restando convinto di avere fatto la scelta migliore, si trova a combattere ancora con i sensi di colpa per non avere aiutato il figlio malato. Whittaker ha osservato che in molti pensano ai diritti dei malati terminali, ma nessuno si interroga sulla situazione dei familiari che subiscono delle pressioni da parte di chi chiede loro di aiutarli a morire.
Hanno parlato anche i rappresentanti dei disabili?
La baronessa Jane Campbell, affetta da atrofia muscolare spinale fin dall’infanzia, ha tenuto un grande discorso, sottolineando che numerosi disabili si sentirebbero schiacciati per il fatto di gravare sulle loro famiglie come un peso per il fatto di dovere essere accuditi o comportare delle spese. Sarebbe questo a spingerli a chiedere di porre fine alla loro vita. Il rischio quindi è il messaggio che passi sia che per chi è disabile o anziano, la vita ha meno valore rispetto a chi è giovane e sano. Di fatto il Parlamento, pur non cambiando la legge, ha espresso il suo formale apprezzamento nei confronti delle linee guida sul suicidio assistito.
Da un punto di vista pratico, che cosa cambierà per i malati terminali?
Nulla, la legge non è stata modificata e le linee guida di fatto non introducono alcuna novità sostanziale. L’importante è che ciascun caso sia indagato a fondo sia dalla polizia sia dalla procura, e se avvengono pressioni ai danni di persone malate affinché si tolgano la vita, questi reati siano perseguiti ai sensi della legge. In questo modo si proteggono le persone più deboli della società.
(Pietro Vernizzi)