Perché Renzi fa fortuna col piano che a Gelli costò la galera
Crozza dice, ironicamente, che Renzi sta facendo la sua fortuna con lo stesso programma di attacco alla Costituzione che portò Gelli in galera. Questa iperbole evidenzia la legalità in due differenti stagioni politiche: siamo alle conseguenze estreme del liberismo, cioè del Capitale che, ritirandosi dalla produzione e opponendosi alla vita sociale, si rintana nella rendita (come dimostra Thomas Piketty ne “Il capitale nel XXI secolo”). A questo piano-strutturale globale, si somma in Italia la debolezza endemica della nazione, per la gracilità dello Stato, per la corruzione – intellettuale e morale, ancor prima che penale – delle classi dirigenti. Il quadro gramsciano della “rivoluzione passiva regressiva”, cioè della trasformazione che giova solo alle caste di potere, che si rimette in moto. Infatti la liquidazione della Costituzione come compromesso avanzato tra ceti moderati e classi lavoratrici, la sua ispirazione profonda sostenuta da sinistra con la formula togliattiana della “democrazia progressiva”, è ora possibile per il sopravvenire di un comando più alto, di un compromesso soprannazionale – con la Troika – e per la sparizione della soggettività delle classi subalterne.
Dato questo contesto, si può capire il senso “governista” dei vari
elementi di questo attacco alla Costituzione: la liquidazione del Senato
come segnale di attacco alla centralità del Parlamento, chiaramente
sancita dalla Carta; l’attacco alla magistratura come
svincolo delle classi alte e delle caste governanti dalla sua
giurisdizione; l’impoverimento delle tutele del lavoro, sancite già
dall’incipit della Carta e simbolicamente stracciate con il Jobs Act;
infine la riforma elettorale iper-maggioritaria e chiaramente
anticostituzionale. Segnali, sintomi, attacchi, atti simbolici
caratterizzano questa prassi perché nei fatti la democrazia
è già conclusa con il distacco della partecipazione popolare mai
ripresa – con l’eccezione di un avanguardistico esperimento come quello
del Movimento 5 Stelle – dopo la fine dei partiti, con la nascita della
Seconda Repubblica. Appunto, siamo ora al simbolico, al tentativo di
stabilizzare un processo con la sua istituzionalizzazione.
Ciò spiega la massa di fuoco propagandistica mentre il vulnus
procedurale della mancata convocazione di un’Assemblea Costituente viene
giustificato dalla velocità dei mercati, dall’imperio dell’euro. Il
fine è chiarissimo e già descritto da Marx con la categoria del
bonapartismo (Luigi Napoleone) come “governo degli affari” e poi da
Gramsci impiantato nel trasformismo italiano come Parlamento “subalpino”
delle camorre affaristiche liberali e teso ad allontanare la nazione e
il popolo dalla politica.
Serviva un genio-idiota per “imbonire” la gracilissima “società civile
italiana” e distrarre la banale “opinione pubblica” e Renzi è l’attore
perfetto. Nonostante questo destino segnerà il fiorentino, credo che il
nuovo compromesso oligarchico, “scribacchiato” nei furbi commi di
modifica delle regole sarà palliativo di fronte alla potenza di questa crisi che, concludendo, sempre con Gramsci, ha la profondità storica di “crisi organica”, dentro la quale lo sfregio alla Costituzione è soprattutto ammissione di impotenza della res-pubblica, della politica, di fronte alla prepotenza dell’interesse privato.