Srm, scudo solare chimico: l’alibi per la guerra climatica
«Se partiamo dal presupposto che nel 2025 la nostra strategia di sicurezza nazionale includerà la modificazione del clima, il suo uso nella nostra strategia militare nazionale sarà la naturale conseguenza». Modificare il clima: era l’orizzonte a cui già nel lontano 1996 puntava la Air University, una dépendance dell’aviazione Usa con sede nella base aerea di Maxwell, in Alabama. A quanto pare, avvertono Giulietto Chiesa e Paolo De Santis citando fonti delle Nazioni Unite, la “conquista” del clima è già cominciata: per l’Ipcc, il panel scientifico dell’Onu sul clima, la creazione di uno “scudo termico” per proteggere la Terra dall’irraggiamento del sole sarebbe l’unica possibilità di scongiurare la catastrofe del surriscaldamento globale. Lavori già in corso da tempo? «Nessuno di noi ne deve sapere nulla, perché evidentemente la missione è stata interamente delegata ai militari». E mentre i “debunker” tentano di ridicolizzare chi parla di “scie chimiche”, il Palazzo di Vetro squarcia un velo sulle nuove frontiere della geo-ingegneria. E ammette: nessuno è in grado di valutarne gli “effetti collaterali” sul pianeta.
Falliti i negoziati di Kyoto sulla riduzione dei gas serra, si parla ormai correntemente del piano-B come unica alternativa: contenimento della radiazione solare, in inglese Srm (solar radiation management). Ovvero: tentare di realizzare un “velo chimico” nell’atmosfera per frenare l’azione solare, sempre più micidiale grazie al buco nell’ozono: secondo la comunità scientifica, il global warming sta crescendo a ritmo esponenziale. Gli scienziati hanno calcolato che per mantenere l’aumento della temperatura entro i 2 gradi centigradi l’umanità ha ancora a disposizione un budget di circa 600 miliardi di tonnellate di CO2 di energia. Solo nel 2010 ne abbiamo prodotti 32 miliardi: di questo passo ne avremo per 20 anni al massimo. Il che significa che non c’è alcuna possibilità di mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2 gradi centigradi. In base alle previsioni del “Climate Interactive”, la concentrazione di gas serra nel 2052 sarà tale da innalzare di 36 centimetri il livello degli oceani, cioè oltre mezzo metro al di sopra del livello del mare nell’epoca pre-industriale. Troppo costosa l’altra ipotesi, quella dell’immagazzinamento dei residui nel sottosuolo: per la Ccs (carbon capture and storage) non basterebbe il 2% del Pil mondiale.
«La verità cruda è che le emissioni di gas a effetto serra si possono ridurre solo con una drastica svolta verso un contenimento dello sviluppo economico», dicono Chiesa e De Santis, ma è chiaro che qui la strada è sbarrata: «Stati e corporations non hanno la minima intenzione di procedere in quella direzione, che comporta modificazioni radicali nella struttura produttiva del pianeta: nessuno dei potenti del mondo, a cominciare dagli Stati Uniti, è disposto a questi sacrifici», troppo impopolari, fuori dalla portata di qualsiasi governo. «Dunque è evidente che sugli scienziati e i centri di ricerca di tutto il mondo è stata esercitata in tutti questi anni una micidiale pressione affinché da essi venisse fuori un messaggio tranquillizzante: possiamo continuare a sviluppare la produzione, cioè a emettere gas a effetto serra. Non inquietatevi, perché le nuove tecnologie ci salveranno dagli effetti climatici che produrremo». Ed ecco allora il “miracolo” della geo-ingegneria, il tentativo di filtrare la radiazione solare. Attenzione: «I suoi effetti sconvolgenti sugli equilibri degli ecosistemi appaiono tanto giganteschi quanto assolutamente incalcolabili e imprevedibili: ci s’incammina in territori inesplorati con cieca disinvoltura, ignorando ogni principio di precauzione».
Per l’Ipcc delle Nazioni Unite, l’ingegneria del clima è «un vasto insieme di metodi e tecnologie che mirano ad alterare deliberatamente il sistema climatico al fine di alleviare l’impatto de cambiamenti climatici». Sono ipotizzabili “conseguenze” non ancora quantificabili, nonché «molte altre questioni (politiche, etiche e pratiche)». Il riconoscimento diretto e ufficiale della geo-ingegneria, in realtà, era già avvenuto nel giugno 2011, quando l’Ipcc organizzò a Lima l’Expert Meeting on Geoengineering e l’Expert Meeting on Economic Analysis, Costing Methods and Ethics. «I titoli dicono che si è entrati nell’analisi dei costi, degli effetti, delle tecniche di realizzazione di qualche cosa che rimane per il momento, assai “nebuloso” – parola esattamente pertinente, come vedremo entrando nei dettagli». Nei documenti Onu finora solo disponibili in bozza (attesi in versione integrale nella primavera 2014) c’è un capitolo di 147 pagine intitolato “Nuvole e aerosol”. Dunque: gas irradiati nell’atmosfera. Con quale consapevolezza degli “effetti collaterali”? «Solo dei pazzi possono pensare che “alterare” macro-equilibri dell’ecosistema possa non comportare elevati rischi e mettere a repentaglio certo la vita di centinaia di milioni di individui».
In alcuni passaggi dei documenti citati trapela qualche ammissione, qualche preoccupazione. Ma i testi finali, continuano Chiesa e De Santis, dicono che la comunità scientifica reclutata dall’Onu è incline a seguire le orme di Edward Teller, lo scienziato americano che dedicò la sua vita intera alla produzione di armi di distruzione di massa: «Sono infatti suoi i primi e più sbalorditivi lavori “scientifici” sull’uso di aerosol diffondenti in quota allo scopo di aumentare la riflettività (albedo) della Terra». Fu lui, nel 2002, a lanciare un appello globale per “salvare il pianeta” dal riscaldamento: 50 miliardi di dollari per sviluppare il controllo sull’effetto solare, così da poter continuare tranquillamente a inquinare il pianeta, come e più di prima. Teller espose il suo piano in svariate conferenze, da Erice a Washington: «Per gli evidenti impatti globali, che sono la conseguenza di qualsiasi tipo di sistema di gestione, auspichiamo che la partecipazione internazionale a questo programma sia la massima possibile».
«Questa “partecipazione internazionale” è in atto, ma è rigorosamente secretata», concludono Chiesa e De Santis. «Lo dimostra il fatto che gli articoli di Teller li abbiamo trovati solo in forma di pre-print e sembra che non siano mai stati pubblicati su riviste internazionali». In pieno allarme climatico, quindici anni dopo queste analisi e proposte, non si sarebbe fatto quasi nulla? Improbabile. Rileggendo Teller, si scopre che lo scienziato nuclearista proponeva «l’uso di vari tipi di aerosol, da irrorare in quota, costituiti di sostanze che producono una diffusione della radiazione solare, con angoli opportuni, per diminuire la potenza che raggiunge la superficie terrestre». Dunque, c’è più di una ragione per pensare che i suggerimenti di Teller siano stati accolti e messi in pratica dagli Usa: un programma di “difesa dell’ambiente” che sarebbe in atto con il consenso e il contributo operativo ed economico dei governi alleati. «Il punto inquietante è che nessun Parlamento di nessuno Stato, a cominciare dagli Stati Uniti, ha mai discusso la questione, né mai è successo che i cittadini siano stati informati di queste attività che dovrebbero salvare il nostro ambiente: se è vero che stanno facendo qualcosa di buono per noi, perché non ce lo illustrano chiaramente, perché non se ne discute?».
La risposta più semplice è anche la peggiore: se qualcuno sta “irrorando” il cielo per difendere la Terra dai raggi solari, non ha idea dell’impatto reale dell’operazione, né sulla salute né sull’ambiente. «La netta e inquietante impressione che si ricava è che questa operazione, che procede ormai da diversi anni con il silenzio colpevole di tutte le istituzioni, sia in realtà un’enorme operazione d’intelligence militare globale. L’umanità, che è considerata non in grado di comprendere la gravità della situazione, dev’esserne tenuta all’oscuro. Per questo i potenti della Terra – i “Masters of the Universe” nella definizione che ne ha dato il premio Nobel per l’economia, Paul Krugman – hanno affidato ai militari un tale apparato». Su questo punto il rapporto dell’Ipcc è contraddittorio: l’Onu ammette che, se le emissioni di gas serra continuassero ad aumentare, «si richiederebbe un aumento proporzionale di Srm, esacerbandone gli effetti collaterali». Dunque non si partirebbe da zero, e il programma sarebbe già in atto? Il rapporto delle Nazioni Unite smentisce: «I metodi dell’Srm non sono stati implementati né testati. La ricerca sull’Srm è nella sua fase iniziale, anche se sfrutta le conoscenze di come il clima risponde in generale a variazioni forzate di parametri».
Strano: da dove si deducono queste conclusioni se non ci sono state implementazioni? Si suppone soltanto? Oppure si sa con buona approssimazione che ci siano “numerosi effetti collaterali, rischi e difetti” nei sistemi di Solar Radiation Management? Chiesa e De Santis rilevano il carattere contraddittorio delle “mezze ammissioni” del documento. «Diverse linee di evidenza – continua l’Ipcc – indicano che questo produrrebbe una piccola ma significativa diminuzione delle precipitazioni a livello mondiale (con differenze più grandi su scala regionale) se si vuole mantenere costante la temperatura della superficie del pianeta». “Linee di evidenza”? Cosa vuole dire? E quale sarebbe la “piccola ma significativa” diminuzione delle precipitazioni “a livello mondiale”? E cosa accadrebbe su scala regionale, dove le differenze “saranno più grandi”? «Qui gli scienziati si trasformano improvvisamente in apprendisti stregoni: giocano con le precipitazioni “a livello mondiale” con una straordinaria disinvoltura. Quali effetti sulla vegetazione, sulle correnti marine, sui venti?». Poco oltre, gli stessi autori ammettono che «con grande probabilità», un aumento dell’Srm a livelli considerevoli «sottoporrebbe a forte sollecitazione i sistemi sensibili ai cambiamenti climatici».
Per Giulietto Chiesa e Paolo De Santis, «stiamo leggendo righe terrificanti sia per quello che non dicono, sia per quello che dicono. E’ evidente che non c’è una soluzione al problema “politico” e che gli scienziati stanno navigando a vista tra diverse impossibilità: quella di dire la verità al grande pubblico; quella di fermare il riscaldamento climatico con i trucchi contabili delle grandi corporations; quella di bloccare gli “effetti collaterali” su popolazioni, vegetazione, equilibri ecosistemici». Intanto, se si alzano gli occhi al cielo, si vedono dovunque spettacoli di strisce che non possono essere “di condensa”, stratificate ad altezze che non hanno nulla a che vedere con quelle degli aerei di linea. «Cosa sono? Chi paga per far volare quegli aerei (sempre più simili a droni, negli ultimi tempi)? Chi decide dove e quando e su quali territori farli volare? Chi produce, trasporta, fornisce i materiali per gli aerosol di cui parlano con tanta circospezione anche i documenti dell’Ipcc? Se si trattasse di una benemerita azione per proteggere le nostre società dal riscaldamento climatico, perché mai non rendere noto a tutti il programma e le spese relative?».
Su tutte queste informazioni, pesa un silenzio di piombo. «Il che vuole dire una sola cosa: che si tratta di un programma segreto, anzi segretissimo, che non deve essere assolutamente rivelato». Da tempo, giganteschi investimenti sono stati indirizzati al controllo del clima e all’uso di questo controllo a fini militari: «Il confine tra geoingegneria e controllo climatico è tanto labile da essere quasi nullo». Era, in fondo, la “profezia” dell’Air University. «Nel 2025 – recita il documento del 1996 – le forze aerospaziali degli Stati Uniti potranno “possedere il clima”, capitalizzando le tecnologie emergenti e concentrandosi sullo sviluppo delle tecnologie usate nelle applicazioni belliche. Tale funzionalità offre ai combattenti gli strumenti per modificare il campo di battaglia in modi prima impossibili». Obiettivo: «Delineare una strategia per l’utilizzo di un futuro sistema di modificazione del clima al fine di raggiungere obiettivi militari». Dunque – continuano gli strateghi di Maxwell, con il codazzo di scienziati da loro finanziati – «le attuali tecnologie, che matureranno nel corso dei prossimi 30 anni, offriranno, a chiunque abbia le risorse necessarie, la capacità di modificare la struttura climatica e gli effetti corrispondenti, almeno su scala locale», ben sapendo che «le attuali tendenze demografiche, economiche e ambientali attuali creeranno tensioni globali che forniranno a molti paesi o gruppi la spinta necessaria per trasformare questa capacità, di modificazione del clima, in una risorsa».
Già allora, il think-tank militare dell’aviazione Usa sosteneva che «la modificazione del clima diventerà verosimilmente una parte della politica di sicurezza nazionale con applicazioni sia nazionali che internazionali», a più livelli, incluse «azioni unilaterali», ma anche «la partecipazione in un quadro di sicurezza come la Nato», oppure «l’adesione a un’organizzazione internazionale come l’Onu» o, ancora, «la partecipazione a una coalizione». Idee chiarissime: «Oltre ai significativi vantaggi che una tale capacità operativa potrebbe fornire, un altro motivo per perseguire la modificazione del clima è scoraggiare e contrastare potenziali avversari». Ovvero, testualmente: creare o dissolvere nubi, aumentare o azzerare le precipitazioni significa produrre o impedire l’occultamento, allagare il campo di battaglia, «negare l’acqua potabile, indurre la siccità, sommergere le linee di comunicazione, diminuire il livello di conforto e il morale». Sottinteso: la manipolazione “artificiale” delle nubi serve anche a dare la massima efficacia all’impiego di armi nucleari, chimiche, batteriologiche e radiologiche di cui sono pieni gli arsenali della Nato.
“Weather as a Force Multiplier”: il meteo come moltiplicatore di forza. Aspetti inquietanti, che lo stesso Teller riprese a Erice nel 1997, nel suo “Global Warming and Ice Ages”, poi citato anche dal generale Fabio Mini nel suo “Owning the weather: la guerra ambientale globale è già cominciata”, pubblicato sulla rivista “Limes”. In sostanza: l’emergenza climatica è l’alibi di ferro per sviluppare la manipolazione climatica, che – in primo luogo – è interpretata come un vantaggio militare strategico. E se il Pentagono prevede esplicitamente sia “azioni unilaterali”, sia l’inclusione della Nato (cioè degli alleati) in questa strategia, secondo Chiesa e De Santis questo «significa che esistono voci cospicue di spesa che sono state condivise con gli alleati, senza che i Parlamenti ne siano stati informati». Sempre i militari americani prevedono inoltre che le “tensioni globali” – quelle prodotte dalle attuali tendenze demografiche, economiche e ambientali – forniranno a “molti paesi” la “spinta necessaria”. «Questi “molti paesi” sono quelli più ricchi e meglio armati, che si preparano a dominare tutti gli altri nel mezzo di una crisi epocale». Per Giulietto Chiesa e Paolo De Santis, «adesso è tutto più chiaro: sia a cosa serve la geoingegneria, sia perché noi non dovremmo impicciarcene (visto che siamo “segmenti” riottosi sarà bene che ci tengano all’oscuro), sia le modalità con cui i potenti si preparano a schiacciare tutti gli altri. A questo punto alzare gli occhi verso il cielo, vedere cosa stanno facendo coloro che ci comandano, e lavorare per smascherarli, diventa una necessità. Per continuare a vivere».