Travaglio: Grasso evitò di indagare Schifani, difeso dal Pd
«I 5 Stelle che han votato Grasso contro Schifani sapevano bene chi è Schifani e hanno scelto il meno peggio, cioè Grasso, ma non avevano la più pallida idea di chi è Grasso». E questo è un bel problema, dice Marco Travaglio, specie per chi dice di informarsi sul web per sfuggire alla propaganda di regime: «Se l’avessero fatto davvero, avrebbero scoperto che il dualismo Schifani-Grasso era finto». Schifani è sempre piaciuto al Pd, che infatti cinque anni fa «non gli candidò nessuno contro, votò scheda bianca e mandò la Finocchiaro a baciarlo sulla guancia». Quando poi lo stesso Travaglio raccontò in televisione «chi è Schifani», i primi ad attaccarlo furono Finocchiaro, Violante, Gentiloni, il direttore di “Rai3” Ruffini e “Repubblica”. «Schifani era il pontiere dell’inciucio Pdl-Pd. Così come Grasso che, per evitare attacchi politici, s’è sempre tenuto a debita distanza dalle indagini più scomode su mafia e politica, mentre altri pm pagavano e pagano prezzi indicibili per le loro indagini».
Quando Grasso arrivò alla Procura di Palermo nel 2000, racconta Travaglio sul “Fatto Quotidiano”, si ritrovò Schifani indagato per mafia «e lo fece subito archiviare (l’indagine fu riaperta dopo la sua dipartita)». Così, «un colpo al cerchio e uno alla botte», il neopresidente del Senato «divenne il cocco del Pdl (che lo impose alla Pna, estromettendo per legge Caselli), del Centro (che voleva candidarlo) e del Pd (che l’ha candidato)». Per Travaglio, «ciò che conta in politica non è la verità, bensì la sua percezione»: per questo, a Palazzo Madama, «era difficile per i grilli siculi non votare un personaggio da tutti dipinto come un cavaliere senza macchia e senza paura», secondo il ritratto fornito dai «media di regime» sempre allineati coi partiti, «con il sapiente dosaggio di mezze verità e mezze bugie e il dizionario doppiopesista delle grandi occasioni».
Bersani accusa Grillo di leninismo? La regola base della democrazia è che si decide a maggioranza e chi perde si adegua o esce, salvo poche questioni che interpellano la coscienza individuale. «Così ha fatto M5S sui presidenti delle Camere, decidendo a maggioranza per la scheda bianca». Ma, siccome non piace al Pd, «la minoranza diventa democratica e la maggioranza antidemocratica». Bersani? Evoca il leninismo di Grillo, ma «senza spiegare con quale metodo democratico è passato in 48 ore dall’offerta delle due Camere a Monti e M5S, al duo Franceschini-Finocchiaro, al duo Boldrini-Grasso». Idem per il diritto al dissenso: «Da che mondo è mondo, il parlamentare che approfitta del segreto dell’urna per impallinare il suo partito è un “franco tiratore”», ma se invece è un grillino, allora la sua è «una sana manifestazione di dissenso contro la pretesa di Grillo di telecomandarlo». Per vent’anni, «se uno passava da destra a sinistra era un “ribaltonista”, mentre se passava da sinistra a destra era un “responsabile”. Ora, se un grillino porta acqua al Pd è un bravo ragazzo fiero della sua indipendenza; se resta fedele al suo movimento e ai suoi elettori, è un servo del dittatore Grillo».
Tra i neologismi del periodo non manca lo “scouting”, citato sempre da Bersani. Quando Berlusconi avvicinava uno a uno gli oppositori per portarli con sé, ricorda Travaglio, era “mercato delle vacche”, “compravendita”, “voto di scambio”. Se invece è Bersani a sguinzagliare gli sherpa ad avvicinare i grillini uno a uno, è “scouting” e odora di lavanda. Due pesi e due misure anche in caso di sanzioni contro i dissidenti: «Se Pd, Pdl, Udc e Lega espellono un dirigente che ha violato le regole, è legalità. Se lo fa M5S, è “epurazione”». Contro la quale, i media parlano addirittura di “rivolta”: «Ci avevano raccontato che Adolf Grillo e Hermann Casaleggio lavano il cervello al popolo del web e censurano sul blog i commenti critici, un po’ incompatibili col lavaggio del cervello, e ora scopriamo che c’è la “rivolta del web” pro-dissenzienti». Ma anche, dal sondaggio di Mannheimer sul “Corriere”, che il 70% degli elettori M5S è contro l’inciucio col Pd. Chiosa Travaglio: «Gentili tromboni, potreste gentilmente mettervi d’accordo con voi stessi e poi farci sapere come stanno le cose, possibilmente chiamandole col loro nome?».