«Oh,les italiens!». Gli sbuffi d'impazienza di Nicolas Sarkozy ai tempi dello scontro sulla Bce sono al Louvre sospiri di ammirazione: «Oh, les italiens!». E non solo per Leonardo e Raffaello e Giotto e Botticelli e Beato Angelico e tutti gli altri geni la cui luce illumina sfolgorante le gallerie.
Italiano è il presidente del comitato scientifico del museo, Salvatore Settis, già direttore del Getty Research Institute di Los Angeles e della Scuola Normale di Pisa e presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali prima di dimettersi in polemica con Sandro Bondi. Italiano è l'architetto Mario Bellini che con il francese Rudy Ricciotti e con imprese in buona parte italiane, sta facendo il nuovo stupendo dipartimento di Arti islamiche scavando (senza chiudere un giorno le gallerie coi capolavori ai piani di sopra: inimmaginabile, da noi) fin sotto le fondamenta del palazzo. Italiano è il responsabile delle biglietterie che vendono quasi 9 milioni di ticket all'anno, Antonio Fabro. Italiana Federica Mancini, del Dipartimento arti grafiche e Daniela Miccolis della Direzione Lavori e Monica Preti, responsabile della programmazione di storia dell'arte dell'Auditorium e tanti altri che, lasciata un'Italia disinteressata se non ostile ai giovani di eccellenza, si sono presi lo spazio giusto nel più grande museo del pianeta.
Su tutti Claudia Ferrazzi, bergamasca con papà veneziano (il secondo chirurgo a fare un trapianto di cuore in Italia) e mamma romana, che si è guadagnata i galloni di «administrateur général adjoint», a dispetto dell'età (34 anni, ma ne dimostra perfino meno), a dispetto dell'essere sposata e a dispetto di essere mamma di due bimbi piccoli. «Handicap» che nell'Italia familista e gerontocratica, diciamolo, le avrebbero impedito di salire non solo ai massimi vertici di un grande museo ma perfino d'avere delle responsabilità aziendali: «Sei una ragazza, aspetta il tuo turno».
È anche in questa capacità di spalancare le porte ai migliori comprese le donne, giovani e mamme, aiutate da una rete di servizi pubblici e dalla possibilità di scaricare il 50% dei costi di una collaboratrice domestica (con abbattimento parallelo del lavoro nero) che vedi la differenza abissale tra il «loro» modo di gestire un tesoro culturale e il nostro.
Un confronto? A parte il Cristo-patacca di Michelangelo pagato incredibilmente lo sproposito di 3.250.000 euro (vicenda su cui è intervenuta com'è noto la Corte dei Conti), l'Italia da anni compra poco o niente. Stando ai dati Uil, nel 2011 ha acquisito un quadro del Vasari per 168mila euro, libri per 145mila e opere minori varie mentre la dotazione ministeriale nel 2012 per i «capitoli acquisti ed espropri» è in totale di 6.786.165 euro. Bene: il Louvre, per i nuovi acquisti, accantona il 20% dell'incasso dei biglietti: un tesoretto annuale di 10 milioni. «Soldi intoccabili se non per comprare nuovi capolavori», spiega Claudia Ferrazzi.
Non bastano? Il museo si rivolge direttamente ai cittadini. In questi mesi il sito Internet lancia nella home page un invito: «Tutti i mecenati!». Vi si spiega che il Louvre, per il nuovo padiglione d'arte islamica coperto dallo spettacolare «foulard» dorato di Bellini, vuole ricostruire i «Tesori del Cairo», due magnifiche opere architettoniche, ma ha bisogno di soldi. E spiega a tutti i possibili mecenati, siano privati o siano imprese, come fare le donazioni.
Un gesto di amore per l'arte, ma incoraggiato dallo Stato, spiega Claudia Ferrazzi: «Il cittadino comune può detrarre dalle tasse il 66% di quanto regalato, l'impresa (con alcune regole, ovvio) fino al 90%». Funziona? Altroché: la colletta per i «Tesori del Cairo», ora per ora aggiornata online, è già al 70%. E lo sforzo farà probabilmente il bis del successo del 2010, quando il Louvre lanciò il 13 novembre una campagna per rastrellare i soldi necessari a comperare le «Tre grazie» di Lucas Cranach: qualcuno donò un euro, altri quarantamila, ma a Natale i soldi erano già in cassa.
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La squadra Ecco alcuni degli italiani che ricoprono incarichi di spicco al Museo del Louvre di Parigi. 1. Daniela Miccolis (Direzione generale lavori). 2. Federica Mancini (dipartimento Arti grafiche). 3. Antonio Fabro (responsabile biglietterie). 4.Monica Preti (responsabile programmazione storia dell’arte dell’Auditorium). 5. Claudia Ferrazzi («administrateur général adjoint»). In più Salvatore Settis, già direttore del Getty Research Institute di Los Angeles e della Scuola Normale di Pisa, è i l presidente del comitato scientifi |
La sola «Società amici del Louvre», spiega lo storico Marc Fumaroli sull'ultimo numero del «Giornale dell'arte», ha 70mila membri e in un secolo ha regalato al Louvre 800 capolavori: «Gli Amici sono il principale mecenate privato, con una media di 4 milioni di euro l'anno». Più i lasciti «su cui non paghiamo tasse di successione».
Beati loro. Da noi, per queste donazioni, puoi detrarre solo il 19%. Se come impresa poi abbatti l'utile puoi avere un risparmio maggiore, sennò ciao. Non solo: esiste un tetto complessivo passato il quale (ma non succede mai: troppi lacci burocratici) nessuno può più detrarre nulla. Risultato: la generosità degli italiani è scoraggiata. Lo Stato non lo sa che i soldi che perderebbe da una parte gli tornerebbero dall'altra? Ma certo che lo sa: solo che non gli interessa investire lì. Dove in questi anni ha tagliato il 50,5%.
Spiega Salvatore Settis: «Il primo anno a Los Angeles andai dal commercialista per farmi fare la dichiarazione, quello sfogliò tutto e mi chiese: "E le donazioni?" Non capivo. Mi spiegò che se avessi fatto 10mila dollari di donazioni a un ente culturale avrei potuto detrarli finendo, grazie a un gioco di aliquote, per risparmiarne 11mila». Sarà un caso se il Metropolitan Museum di New York, a parità di visitatori, ha un fatturato sei volte più alto rispetto al Colosseo e i Fori Imperiali?
Anche il Louvre, fino a una dozzina di anni fa, quando lo Stato pretese di non tappare più della metà del buco annuale (non c'è museo al mondo, salvo rare eccezioni private, che possa reggersi coi biglietti che coprono mediamente il 2% del bilancio in Italia, il 4,1% in Europa, il 4,5% in America) aveva alla voce «soldi donati» poco o niente. Cambiato tutto, i risultati sono lì: nel 2012 il Louvre costerà 240,5 milioni con entrate proprie tra biglietterie (43,3 milioni), mecenatismo e voci varie, per 124,7: cioè 35 più degli incassi netti nel 2010 di tutti i musei e tutti i siti archeologici italiani (Sicilia a parte) messi insieme.
Certo, come spiegava Alberto Ronchey gestire il patrimonio d'arte francese in gran parte concentrato a Parigi (il museo extra-parigino più visitato non arriva a 800mila biglietti l'anno) è più facile che gestire una realtà traboccante di migliaia di città d'arte, musei, necropoli e siti come quella italiana. Ma non è possibile sfuggire a qualche confronto.
Da noi, per dire, gli incassi delle biglietterie riescono sì e no a coprire un settimo dei 650 milioni necessariper gli stipendi di 21 mila dipendenti: qui le entrate coprono tutto, con un avanzo di una decina di milioni. Possiamo o no dire, senza essere accusati di anti-patriottismo, che proviamo invidia per un sistema come questo dove, senza le iniziative «sociali» per le scolaresche, i disabili, le carceri e i manuali per le scuole e gli investimenti sul futuro (61 milioni quest'anno) sarebbe in pratica autosufficiente e pesa comunque solo per il 48% sulle tasche dei cittadini contro una media europea di 15 punti più alta e una italiana, mostruosa, dell'89,1%?
E visto che al Louvre c'è questa squadra di italiani che conosce da dentro quella realtà con 13 chilometri di percorsi espositivi, non sarebbe il caso di chieder loro dei consigli? Per restituire vita all'area di Lens, zona industriale sempre più de-industrializzata, ad esempio, Stato ed enti locali hanno deciso di investire nel nuovo «Louvre-Lens» (il museo metterà opere, esperienza e nome) 201 milioni. Un mucchio di soldi. Ma i promotori sono sicuri: ne faranno girare, con tutto l'indotto turistico, sette volte di più. Un miliardo e quattrocento milioni. Vuoi vedere che non è vero che con la cultura non si mangia?