Facebook censura le notizie? Le Monde apre il dibattito

Noi amiamo Facebook, e ogni giorno pubblichiamo sulla
nostra Pagina una selezione di notizie che giudichiamo importanti,
essenziali, immancabili. E nostri lettori amano Facebook: sono più di
400.000 mila a seguire la nostra pagina, ad “apprezzare con i Like” e a
commentare le nostre notizie
Comincia così un
lungo editoriale pubblicato venerdì da
Michaël Szadkowski e
Flavien Hamon, rispettivamente
social media editor e
community manager di
Le Monde
che, sul loro blog ospitato all’interno del sito del quotidiano
francese, offrono interessanti spunti di riflessione sul mondo
dell’informazione ai tempi dei social media.
Szadkowski e
Hamon partono da una
questione centrale: Facebook ha cambiato il modo di fare informazione e
il modo in cui queste informazioni vengono recepite dal pubblico? Le più
grandi e autorevoli testate del mondo hanno abdicato alla loro missione
di fornire un’informazione completa e di qualità a favore dei “Like”?
Il post di Le Monde, arriva passo passo al nocciolo della questione:
Le Fanpage sono una scommessa per tutti quegli organismi
(imprese, marche, associazioni, partiti politici…) che vogliono essere
rappresentati sul Web. Per i community manager, che quotidianamente
pubblicano sulle Fanpage contenuti di ogni tipo, la scommessa è quindi
quella di riuscire a capire a quanti utenti piace “veramente” la pagina e
come reagiranno ai vari post: si chiama engagement dei fan.
L’engagement, ovviamente, varia a seconda del tipo di contenuto
pubblicato. Nella nostra redazione riassumiamo la questione così: la
foto di un gattino o di Barack Obama che beve una birra riceverà più
Like di un link sugli ultimi massacri in Siria
Chiunque abbia mai avuto a che fare con la Fanpage di una testata
giornalistica o di un blog di attualità, deve riconoscere che il
meccanismo descritto dai due di Le Monde è assolutamente realistico:
succede ogni giorno
. Ed è qui che Szadkowski e Hamon
, parlando a nome dell’intera testata decidono di prendere posizione:
La nostra pagina su Facebook è animata da giornalisti
che, prima di tutto, vogliono informare e, dal canto nostro, il dilemma
editoriale è già stato risolto: la collezione di Like non deve arrecare
danno alla gerarchia dell’informazione. Sappiamo che le nostre news
“non piaceranno a tutti” e che non sono fatte per raccogliere i “Mi
piace”. Rispettando la nostra linea editoriale seria, istituzionale e di
qualità, su Facebook non ci limitiamo a mettere su Facebook solo le
“buone notizie”.
Fin qui non fa una grinza. Ma la questione che
Szadkowski e
Hamon vogliono sollevare è un po’ più complessa. A settembre, infatti, Facebook ha
cambiato l’algoritmo che regola la visibilità delle Fanpage, l’
Edgerank.
Questo algoritmo – spiegano – filtra i post che gli utenti vedranno nel
proprio newsfeed determinando, di fatto, la visibilità e la durata
della vita delle notizie stesse:
Nonostante Facebook abbia fatto passare la cosa in
sordina, gli smanettoni e gli analisti del Web sono già arrivati alla
conclusione che questa selezione delle notizie è creata allo scopo di
legare l’utente alle pagine che segue. Se si pubblica un messaggio sulla
pagina e questo messaggio riceve molti Like, l’intera pagina riceverà
una visibilità maggiore.
Tradotto in soldoni, questo significa che
Quando su una pagina che seguite viene pubblicato un
nuovo contenuto, voi avete solo 1,6 possibilità su 10 di vedere quel
contenuto nel vostro newsfeed. Ma questa probabilità varia a seconda
delle pagine, come aveva fatto notare lo scorso giugno Edgerank Checker, lo strumento statistico che prevedeva una visibilità media di ogni contenuto pari al 22.22%.
Ma a settembre le cose sono cambiate e il nuovo algoritmo introdotto
con l’autunno sembra cambiare le carte in tavola: secondo l’analisi di
Le Monde concederebbe una minore visibilità alla Fanpage del quotidiano
francese. Ovviamente, scrivono ancora i due autori, il loro arretramento
non è ancora tale da poter stabilire con certezza che la colpa sia del
nuovo algoritmo ma, per fugare ogni dubbio, la redazione di Le Monde ha
contattato altre redazioni, per cercare di capire se si tratti o meno di
un problema comune.
Sulla questione è stata interpellata anche
Facebook France che,
dal canto suo, ha affermato di non aver constatato nessun cambiamento,
rassicurando Le Monde che ogni nuovo post avrebbe avuto una visibilità
media del 16%.
Questo spiega di conseguenza che oggi il fattore chiave è
l’engagement. Più un contenuto è “apprezzato”, commentato, condiviso,
più ci sembra di qualità. Noi continuiamo a mostrare sempre meno
contenuti alle persone che non interagiscono con gli altri utenti o con
una pagina. E vogliamo comunque mostrargli comunque contenuti di qualità
e realmente rilevanti
A questo punto la domanda che
Szadkowski e
Hamon si
pongono è: le Fanpage dei siti di informazione devono cambiare la
propria linea editoriale su Facebook in modo da continuare a essere
visibili?
Quello che è chiaro è che Facebook opera una vera e propria
targetizzazione dei contenuti, in modo da venire in contro ai “veri
interessi” degli utenti. E le Fanpage devono agire di conseguenza,
modulando la scelta e la pubblicazione dei contenuti sulla base delle
caratteristiche dei propri fan. Il post di Le Monde cita alcuni esempi:
Un articolo di politica o di economia può veramente
interessare gli eterosessuali di 25 anni che abitano a Rennes? Ci sembra
difficile, in questo contesto, cercare di prevedere “i veri interessi”
dei nostri lettori e, allo stesso tempo, restare coerenti con la linea
editoriale di Le Monde
La questione sollevata dai social media manager di Le Monde è
decisamente bollente, e il dibattito si estende anche nei numerosi
commenti all’articolo: la maggior parte delle opinioni proviene da
utenti – e lettori – che non sembravano mai essersi resi conto del
problema, ma anche da “addetti ai lavori” che discutono sul reale valore
delle informazioni generate e diffuse sul Web.
Il lungo post di
Szadkowski e
Hamon si conclude con una considerazione:
Al di là delle potenziali questioni editoriali che si
pongono, questo ci mette davanti a una nuova politica di targetizzazione
fondata sulle aspettative degli utenti, che riapre il dibattito sul
problema della individualizzazione di Internet. Con un rischio ancora
maggiore: se Google dovesse arrivare a offrire come risultati di ricerca
solo quei contenuti che l’utente si aspetta di vedere, questo stesso
utente sarà sempre meno a contatto con informazioni e idee diverse dal
suo modo di pensare e di vedere il mondo.
Tutto quello che segnala Le Monde è vero. Ma è anche vero che
Facebook è un’azienda privata e ha tutto il diritto di privilegiare
taluni contenuti rispetto ad altri. Basterà l’opinione contraria di un
grande giornale a fargli cambiare idea?