Pignoramento in banca: il
creditore non blocca più tutto il conto
Cambiano i limiti del
pignoramento presso terzi: lo stipendio e la pensione accreditati in banca non
possono essere più pignorati, dal creditore, nella loro interezza.
È una rivoluzione
epocale quella appena approvata dal Governo in materia di pignoramento del conto corrente contenente lo stipendio, il TFR, pensioni o qualsiasi altro reddito derivante dal
rapporto di lavoro subordinato (si pensi al risarcimento per l’illegittimo licenziamento): con una mossa a sorpresa, il nuovo decreto legge approvato dal Consiglio dei
ministri, che riforma ulteriormente il processo civile,
riscrive la norma del codice di procedura civile [1] che stabilisce i limiti delle somme pignorabili dal creditore.
I vecchi limiti al pignoramento dello
stipendio e della pensione
Sino ad oggi, il
creditore che avesse deciso di pignorare lo stipendio o la pensione con atto notificato direttamente al
datore di lavoro o all’ente previdenziale (Inps) doveva
accontentarsi di massimo un quinto dell’emolumento mensile (per Equitalia, invece, i limiti sono di un decimo per
redditi inferiori a 2.500 euro; un settimo per redditi tra 2.501 e 5.000 euro;
un quinto per redditi sopra i 5.001 euro). Tuttavia, nel momento in cui il
creditore avesse deciso di azionare il pignoramento direttamente sul conto corrente, notificandolo quindi alla banca e non al datore di lavoro o all’Inps, poteva
bloccare tutte le somme depositate. Insomma, una volta confluiti in banca, pensioni e stipendi erano
pignorabili al 100%. Un grosso svantaggio per chi era costretto a ricevere
l’accredito sul conto (è diventato obbligatorio a seguito degli obblighi di tracciabilità dei pagamenti da mille euro in su).
Oggi, come detto, la
norma del codice di procedura civile si arricchisce di due ulteriori e
importantissime precisazioni.
Il minimo vitale della pensione
Intanto, per quanto
riguarda le pensione accreditata sul conto
corrente, questa non può più essere pignorata per un ammontare corrispondente
alla misura massima mensile dell’assegno sociale,
aumentato della metà. Si definisce così il famoso minimo vitale sotto il quale la pensione, al netto
del pignoramento, non può mai scendere: una lacuna che era stata più volte
criticata nella precedente normativa.
I nuovi limiti al pignoramento dello
stipendio e della pensione
In secondo luogo la
legge chiarisce che tutte le volte in cui le somme dovute a titolo di stipendio (ma anche salario, altre indennità relative al rapporto
di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di
licenziamento), nonché a titolo di pensione (o di
assegni di quiescenza) vengono accreditate sul conto
corrente bancario non saranno più pignorabili al 100% del loro
importo, ma solo entro i seguenti limiti:
– se l’accredito in banca
avviene prima del pignoramento: le somme possono essere
pignorate per l’importo eccedente il triplo dell’assegno sociale;
– se invece l’accredito
in banca avviene nella stessa data del pignoramento o dopo,
le predette somme possono essere pignorate nei limiti previsti dalla precedente
legge ossia nella misura autorizzata dal giudice e, comunque, non oltre il
quinto.
Il pignoramento eseguito
su somme maggiori rispetto a quelle appena dette, e quindi in violazione dei
divieti e oltre i limiti in questione, è parzialmente inefficace: ossia resta
valido quello entro la soglia, mentre quello superiore è come se non fosse mai
avvenuto e il debitore può tornare nella disponibilità delle proprie somme.
La prova
La riforma non dice,
però, come il debitore potrà dimostrare che sul conto affluiscono crediti da
lavoro dipendente o pensioni. Né dice se il nuovo limite di pignoramento vale
anche se sul conto sono presenti somme di altra natura. Di certo, bisognerà
attendere le prime attuazioni dei giudici per maggiori chiarimenti. Il punto
chiave, però, sarà la prova: che, ovviamente, troverà negli estratti conto il suo punto di forza. In essi,
infatti, sarà chiara la provenienza degli emolumenti pignorati e
l’applicabilità dei nuovi limiti.