mercoledì 9 maggio 2012

GSE, i numeri del boom fotovoltaico italiano


GSE, i numeri del boom fotovoltaico italiano

Un mercato che nel 2011 ha coperto il 33% della domanda mondiale. Con gli oltre 340mila impianti presenti la producibilità elettrica da fotovoltaico nel nostro paese è stimabile oggi in quasi 17 TWh/anno. Interessanti i numeri sulla sostituzione dell'amianto. I dati forniti dal GSE nel corso dell'Italian PV Summit di Verona.
Il mercato italiano delle rinnovabili è passato da una potenza di 18,3 GW del 2000 (per il 91% rappresentata dalla fonte idroelettrica) a 41,3 GW  nel 2011, con un incremento del 125%. Va segnalato però che il 75% di questo aumento (23 GW) si è avuto solo negli ultimi 4 anni. La parte del leone l’ha giocata il fotovoltaico che oggi (fine 2011) rappresenta il 31% di questa potenza di energie pulite (l’idroelettrico passa ad una quota del 43%). Se nel 2000 la produzione elettrica da fonti rinnovabili era di 51 TWh (mld di chilowattora), nel 2011 è arrivata a 84 TWh: questo differenziale di produzione, pari a 33 TWh, è dovuto pressoché totalmente a eolico, solare FV e bioenergie (oggi il 38% del totale).
Questi dati sul ruolo delle rinnovabili in Italia e della loro sempre più importante presenza nel sistema elettrico nazionale sono stati forniti e illustrati dal direttore divisione operativa del GSE (Gestore Servizi Energetici), Gerardo Montanino, nel corso dell'Italian PV Summit a Verona. Successivamente Montanino ha analizzato il boom delle installazioni fotovoltaiche nel nostro paese, fornendo numeri, per lo più conosciuti dagli addetti ai lavori, ma che restano impressionanti se inseriti in un’ottica non solo nazionale, ma anche internazionale.
Nel 2011 l’Italia ha installato 9.300 MW fotovoltaici, che includono però anche impianti per 3.500 MW compresi nel decreto ‘salva Alcoa’ (realizzati entro la fine del 2010 e allacciati in rete entro il 30/6/2011) e che hanno beneficiato degli elevati incentivi del 2° conto energia. La potenza FV annuale del nostro paese ha rappresentato più del 33% di tutto il mercato mondiale del 2011 e quello italiano è diventato il primo mercato mondiale dell’anno davanti alla Germania che comunque conserva il primato per potenza cumula con 24.700 MW installati; l’Italia è seconda con 12.700 MW (a maggio 2012 ha superato 13.160 MW).
Con gli oltre 340mila impianti (13 GW) presenti nel nostro paese la producibilità elettrica da fotovoltaico è stimabile oggi in quasi 17 TWh/anno, ed è in continua crescita. Va considerato che solo 5 anni fa era infinitesimale (0,039 TWh). Una quantità di produzione che secondo l’Autorità per l’Energia e diversi analisti ha portato effetti nuovi sul sistema elettrico: prima dell'esplosione del fotovoltaico dell'ultimo anno alla Borsa elettrica c'erano due picchi di prezzo, uno di giorno, verso le 11 di mattina, e uno di sera, verso le 18-20. Ora il picco delle 11 di mattina è praticamente scomparso (anche se quello serale è stranamente aumentato di molto). La spiegazione è che ilfotovoltaico, assieme alle altre rinnovabili, producendo a costi marginali nulli (non serve più combustibile per dare un kWh in più), di giorno fa concorrenza alle centrali tradizionali e riesce a contenere il prezzo dell'energia. Si tratta dell’effetto peak shaving che nel 2011 ha fatto risparmiare 400 milioni di euro.
Tornando all’esplosione delle installazione del fotovoltaico nel nostro paese, il direttore operativo del GSE ha voluto sottolineare come oggi circa il 95% dei Comuni italianiha nel proprio territorio almeno un impianto FV, una quota che era solo del 31% nel 2007.
A livello regionale la maggiore potenza installata è in Puglia (17,1% del totale), Lombardia (10,3%), Emilia Romagna, Veneto, Piemonte. In termini di numero di impianti la leadership regionale spetta alla Lombardia (14,7%), seguita da Veneto (13,6%) ed Emilia Romagna.
Montanino ha spiegato che sul totale della potenza installata in Italia il 49% è su terreno, il 41% è su tetti, il 6% è su pensiline e serre, e poi c’è un altro 4% residuale. In termini di tecnologie usate il 70% dei moduli è in silicio policristallino, il 23% in silicio monocristallino e il 7% è rappresentato da film sottili. Circa il 65% della potenza degli impianti FV è connesso al settore industriale, una quota che cala al 13% sia per l’agricoltura che per il terziario; nel residenziale si scende al 9%. Da notare che circa l’89% della potenza installata è di soggetti responsabili che sono imprese (solo l’8,5 è rappresentato da persone fisiche).
Il GSE ha fornito inoltre una fotografia della distribuzione per taglia di impianto a fine 2010 e a fine 2011. Come si può vedere dalla tabella il maggiore incremento nello scorso anno si è registrato nel range 1-5 MW.
Interessante è quantificare un altro dei benefici portati dai precedenti ‘conto energia’: la sostituzione dell’amianto su tetti con il fotovoltaico (vedi tabella con distribuzione regionale). Sono finora 1.340 i megawatt fotovoltaici realizzati grazie al bonus stabilito ad hoc (circa 16.350 impianti), per una superficie di 12,7 milioni di mq. Le tre regioni capofila sono nell’ordine Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte. Il costo del bonus è stimato in 45,8 milioni di euro.
Il GSE in riferimento al raggiungimento della quota di 6 miliardi di € annui per incentivi al fotovoltaico, che dovrebbe essere il momento di avvio del quinto conto energia in discussione alla Conferenza Stato Regioni, stima una data che potrebbe cadere tra agosto e dicembre. Secondo la bozza del quinto conto energia, la nuova normativa entrerebbe in vigore il mese successivo.

Fotovoltaico, noi finanziamo la Cina o la Cina finanzia noi?


Fotovoltaico, noi finanziamo la Cina o la Cina finanzia noi?

I soldi dei consumatori europei stanno finanziando i produttori di moduli fotovoltaici cinesi o è la Cina che, con il forte supporto alla propria industria, aiuta a tenere bassi i prezzi e ad avvicinare il fotovoltaico alla grid parity? Il confronto tra Cina e Occidente nel sempre più competitivo mercato globale del FV all'Italian PV Summit di Verona.
I soldi dei consumatori europei stanno finanziando i produttori di pannelli fotovoltaici cinesi – come spesso si sente ripetere da chi contesta gli incentivi a questa tecnologia - o, piuttosto, è la Cina che, con il forte supporto statale che dà alla propria industria fotovoltaica, permette di avere moduli a prezzi sempre più bassi, dando un grande contributo alla decarbonizzazione del sistema energetico occidentale e al raggiungimento della grid parity del FV?
È questa la domanda, rimasta senza risposta, che è stata al centro della tavola rotonda di lunedì pomeriggio all'Italian PV Summit di Verona nella quale, appunto, si è parlato anche della crescente pressione competitiva sul mercato globalizzato del FV e in particolare dello scontro commerciale tra l'industria europea e statunitense e quella cinese.
In un contesto di sovrapproduzione e di lotta al ribasso sul prezzo dei moduli (si veda il quadro dipinto in Qualenergia.it, L'industria del fotovoltaico, dalla crisi al consolidamento) in cui anche molti grandi europei vengono spinti fuori mercato, la problematica è ovviamente molto sentita (vedi anche Qualenergia.it, FV tra globalizzazione, protezionismo e model business).
Al centro del dibattito gli ingenti aiuti che lo Stato cinese eroga all'industria nazionale soprattutto sotto forma di finanziamenti agevolati e di rimborso dell'Iva. Su queste pagine abbiamo già raccontato del procedimento in corso negli Usa al Department of Commerce e alla US International Trade Commission che ha già prodotto i primi dazi sull'importazione di moduli di industrie cinesi (Qualenergia.it, La guerra commerciale del fotovoltaico Usa contro i cinesi). L'accusa è che siano solo gli aiuti di Stato che queste ricevono a permettere loro di essere così competitive sui prezzi.
La stessa tesi sostenuta alla conferenza di Verona da Paolo Mutti, CEO di Solsonica, che però rovescia la prospettiva. A favorire dei cinesi, ha spiegato, non sarebbe tanto l'integrazione verticale – “svantaggiosa in tempi di sovrapproduzione e prezzi in calo nella parte alta della filiera” – né il minore costo del lavoro - “2-3 centesimi di euro per watt, 50-60 euro di differenza su un impianto da 3 kWp”, ma appunto gli aiuti statali. Il problema però, sottolinea, non è il supporto che la Cina dà alle proprie aziende quanto “la scarsa considerazione che il nostro Ministero dello Sviluppo economico – invitato al PV Summit ma ingiustificatamente assente - ha nei confronti della nostra industria nazionale del fotovoltaico” .
Ovviamente la competitività cinese poggia anche su altre basi, come ricorda Guido Agostinelli di Syntegra Solar. Per citarne solo una, le grandi economie di scala: in Cina ci sono ben 10 aziende che producono più di 1 GW l'una, ricorda Sun Guangbin, responsabile del settore fotovoltaico della Camera di commercio cinese. La questione degli aiuti di Stato, specialmente sull'accesso al credito, in questa fase è però chiaramente centrale: “in questo momento servono investimenti per sopravvivere e colmare il gap negativo tra prezzi e costi di produzione – osserva Götz Fischbeck, presidente di Smart Solar Consulting – in Cina lo Stato sta finanziando l'innovazione. In Europa chi può farlo?”
Insomma, se gli aiuti di Stato cinesi danneggiano i concorrenti occidentali, aiutano comunque a spingere il FV mondiale verso la grid parity. Lo riconosce anche Reinhold Buttgereit, segretario generale dell'EPIA, l'associazione europea dell'industria fotovoltaica, che comunque è piuttosto sensibile al problema dell'asimmetria competitiva tra Cina e resto del mondo (Qualenergia.it, Come ridare energia all'industria europea del fotovoltaico).
I vantaggi che il fotovoltaico cinese dà al resto del mondo (calo dei prezzi dell'energia fotovoltaica, lavoro in occidente per la filiera, ecc.) non manca di ricordarli lo stesso Sun Guangbin che, come c'è da aspettarsi, condanna le barriere al commercio che “danneggiano prima di tutti il consumatore”.
“Con gli aiuti di Stato la Cina sta indirettamente finanziando energia verde a basso costo in Europa”, osserva Fischbeck, che con una domanda provocatoria introduce un altro tema importante, quello della domanda interna cinese che potrebbe dare un grosso sollievo al mercato mondiale del fotovoltaico. “Supportare le aziende per vendere sotto-costo all'estero moduli fotovoltaici – fa notare l'analista – è uno spreco di denaro pubblico cinese, visto che queste risorse economiche  darebbero più vantaggi al Paese se investiti nel fornire elettricità pulita in grado di colmare le carenze domestiche. Perché la Cina non rivede al rialzo l'obiettivo nazionale, oggi relativamente modesto, di 15 GW al 2015?"
Il rappresentante cinese non si sbilancia nella risposta, parlando di limiti di rete e pianificazione centrale, ma le possibilità che la Cina alzi l'asticella sul fotovoltaico nazionale è tutt'altro che remota. Finora – fa notare infatti Agostinelli - il Governo di Pechino è sempre venuto incontro all'industria nazionale, innalzando la domanda domestica in caso di sovrapproduzione, anche anticipando già ora progetti previsti nei prossimi anni; intanto nei discorsi non ufficiali si sente parlare di obiettivi più ambiziosi per il fotovoltaico cinese.

L'industria del fotovoltaico, dalla crisi al consolidamento


L'industria del fotovoltaico, dalla crisi al consolidamento

In 10 anni entrati nel mercato moltissimi operatori, con una capacità produttiva di circa 55 GW, il doppio rispetto alla domanda. Il rapido calo dei prezzi del 70% in 3 anni, con una produzione concentrata in Asia. La conseguenza è la crisi di molti produttori europei e USA, ma inizia anche così l'assestamento di un settore.
“Con un mercato fotovoltaico in piena maturazione, con crisi ripetute di crescita, l’industria procede spedita verso una fase di profonda ristrutturazione. La stessa incertezza normativa può accelerare o rallentare questo processo, ma in entrambi i casi procura un danno al settore produttivo, che ha bisogno di orizzonti temporali più ampi per investire. Tuttavia i fondamentali di lungo periodo per il settore a livello mondiale sono molto positivi soprattutto alla luce della veloce riduzione dei costi, della crescita di nuovi mercati e di altri sempre meno dipendenti dai sussidi”. Questa è in sintesi è la valutazione di Guido Agostinelli, analista di mercato di Syntegra Solar che ha esposto alcune riflessioni, nel corso della quarta edizione di Italian PV Summit di Verona, su uno scenario in rapido mutamento dal punto di vista dell’industria fotovoltaica.
Gli effetti di questa evoluzione del settore saranno caratterizzati nel breve periodo – secondo Agostinelli – da casi di insolvenza, da un incremento di acquisizioni e fusioni di aziende produttive, riposizionamenti, ristrutturazioni, cambiamenti di business model, ecc., con l’obiettivo di razionalizzare al meglio l’offerta e arrivare a una fase di consolidamento del settore nel suo complesso che potrà essere più sostenibile e redditizia.
Le difficoltà del settore fotovoltaico nascono da una tumultuosa entrata nel mercato negli ultimi 10 anni di numerose aziende, con una capacità diventata rapidamente troppo elevata rispetto alla domanda, che a sua volta è rimasta circoscritta in pochi mercati con incentivi particolarmente attraenti, anche se con normative spesso in bilico. Oggi la capacità produttiva di celle FV arriva a circa 55 GW (4,5 GW/mese), cioè circa il doppio della domanda (intorno ai 27 GW) e per il 40% è costituita dai primi 15 produttori al mondo, con un livello di competizione tra i più elevati nell’intera filiera, così come per la parte relativa alla produzione di moduli. Nel complesso, nella parte a monte della filiera (dal lingotto al modulo) ci sono oltre 160 operatori, e i primi 40 coprono l’80% del mercato.
C’è da aggiungere poi un calo dei prezzi di oltre il 70% in soli tre anni, che da una parte ha portato a una notevole crescita di installato, con vantaggi per i consumatori, ma dall’altra anche a una stagnazione se valutiamo il mercato in termini di giro d'affari. Si è accresciuto poi lo squilibrio tra una domanda mondiale concentrata nell’Unione Europea (65%) e una produzione di moduli localizzata soprattutto in Asia (in Cina per il 45%). Dal lato della domanda, la quota europea tuttavia è destinata a ridursi tra il 40 e il 50% entro il 2015 e tutto il comparto tenderà a riequilibrarsi.          
Quali saranno le strategie che le aziende adotteranno per sopravvivere, secondo l’analista di Syntegra Solar? Ci si muoverà su più fronti: miglioramento e ottimizzazione della fase produttiva, incremento del rendimento dei prodotti, verso un nuovo focus su specifici segmenti di mercato e altro ancora.
Sulle strategie e le prospettive del settore, una valutazione di Andrew Beebe, Chief Commercial Officer di Suntech: “un quadro regolatorio stabile e una crescente cooperazione internazionale sono elementi fondamentali per lo sviluppo del fotovoltaico. Il libero scambio e la concorrenza sono presupposti importanti per generare innovazione e creare posti di lavoro nel settore dell’energia solare. Al momento assistiamo quindi con soddisfazione anche al rafforzamento della cooperazione economica tra Italia e Cina, e al supporto di entrambi i Paesi alla crescita di un settore dinamico come quello del solare a livello globale”.
Intanto il mercato mondiale - che ha una potenza cumulata di circa 70 GW (realizzata in soli 11-12 anni), di cui 51,7 GW nell’Unione Europea - si appresta a tagliare, tra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo, la soglia dei 100 GW installati, ha annunciatoReinhold Buttgereit, segretario generale dell’EPIA (European Photovoltaic Industry Association). Ma forse il segnale più significativo del cambio di paradigma del sistema energetico europeo è riscontrabile nel dato sull’evoluzione della nuova potenza installata per le varie tecnologie per la produzione elettrica: sono quasi 22.000 i nuovi megawatt fotovoltaici installati nella UE nel corso del 2011; per il gas si arriva intorno ai 9.000 MW, al netto delle dismissioni, e per il carbone a meno di 2.000 MW. Per il nucleare, quasi solo dismissioni nel corso del 2011 (-6.200 MW). E questo trend si registra ormai da circa un decennio.

SCUOLA


 Tfa e non solo: una "nota", e il Profumo-pensiero cambia la scuola

mercoledì 9 maggio 2012
SCUOLA/ Tfa e non solo: una nota, e il Profumo-pensiero cambia la scuolaO
Retromarcia. Con una “Nota a margine sul Tfa” pubblicata ieri, il Miur ha fornito nuovi argomenti alle dichiarazioni che il ministro Profumo ha rilasciato domenica in un’intervista al Corriere della Sera. Sono molte le novità contenute nella Nota del Miur. Andiamo con ordine. Da domenica fino a ieri, i docenti non abilitati ma con 36 mesi di servizio nella scuola sono stati una categoria a parte, cui è stato garantito dal ministro Profumo la possibilità di saltare il test d’ammissione al Tirocinio formativo attivo. In barba alla normativa vigente. Facevano testo, infatti, le dichiarazioni del ministro al Corriere, domenica 6 maggio. «I docenti con almeno tre anni di servizio verranno ammessi al Tfa senza dover sostenere alcuna prova preselettiva». Come, senza dover sostenere alcuna prova? E il regolamento Gelmini?
Ora la Nota precisa che «il primo corso di Tfa  sarà attivato con la preselezione nazionale nelle date già fissate», «indipendentemente dal diverso percorso abilitante previsto per i docenti con 36 mesi di servizio, laureati ma senza il possesso della prescritta abilitazione». Questi prof, infatti, saranno abilitati con modalità a parte, che il ministero deve ancora predisporre. La Nota non potrebbe essere più chiara. «La procedura  per i docenti con 36 mesi di servizio sarà costituita da un percorso formativo e da un esame da sostenere e superare per conseguire l’abilitazione. Tale procedura fa eccezione alla logica programmatoria cui è improntato il Tfa disciplinato dal D.M. n. 249 ma cerca di dare risposta all’esigenza di regolarizzare la situazione di migliaia di persone che hanno permesso negli ultimi anni alle scuole statali e paritarie di funzionare nonostante l’assenza di abilitati».
Dunque il comunicato fornisce finalmente la giusta esegesi delle parole del ministro. Viene da pensare che già tutto stesse bollendo in pentola, che quando il ministro parlava col Corriere, gli uffici fossero già al lavoro, lavorando pancia a terra per intervenire su tutti i gangli del sistema. Come si spiegherebbe, infatti, che la Nota dà finalmente una risposta ai principali punti interrogativi rimasti aperti in questi mesi? Non solo si dà ai docenti non abilitati con esperienza la garanzia di un percorso abilitante ad hoc, ma si dice come e quando saranno banditi i prossimi concorsi e pure che il sospirato reclutamento del personale docente abilitato dal nuovo Tfa è in fase di studio, e «introdurrà modalità innovative».
Bene, benissimo. Intanto, il problema dei non abilitati che da anni insegnano, sia nella scuola statale che in quella paritaria, è un problema reale, lo è da tanto tempo e da altrettanto tempo è ben noto sia al Miur che ai sindacati. Si potrebbe perfino dire che configura chiaramente una perversa forma di sfruttamento da parte dello Stato, ed è vergognoso che non si sia mai voluto affrontarlo prima. Ma occorreva farlo mettendo sabbia negli ingranaggi del Tfa? Per due giorni ci sono stati motivi di dubitare che una politica fatta pro tempore dai tecnici potesse realmente forzare la mano dell’Aula e concludere l’iter di un nuovo Dl entro il 4 giugno.
Tutti più tranquilli, dunque, anche se forse conviene dormire con un occhio aperto. Non pare, infatti, che i prof non abilitati ma con 36 mesi di servizio siano davanti ad una scelta facile. Conviene tentare l’accesso al Tfa di luglio, oppure confidare in un «percorso formativo» per il quale il Miur usa tempi verbali declinati al futuro?Tanto più che, dice la Nota, si deve «procedere ancora alla  stesura del provvedimento amministrativo di istituzione dei suddetti percorsi e di individuazione degli aventi titolo, oltre all’acquisizione preventiva delle prescritte autorizzazioni e consensi». Non vorremmo essere nei loro panni, anche se essere prudenti, alla luce di come funziona la scuola italiana, non guasta.
Infine, c’è un ultimo dato su cui riflettere. Visto che secondo il ministro «sono persone che nella realtà il tirocinio l’hanno già fatto», forse si sarebbe potuto dare ai «prof  36 mesi» la possibilità di sostenere direttamente l’esame finale di abilitazione, senza caricarli anche dei costi del TFA; oppure bandire un concorso riservato, tanto più che la maggioranza occupa da tempo le stesse cattedre con contratti annuali sempre reiterati, magari sullo stesso posto. In ogni caso, ora queste sono solo ipotesi che si possono definire – appunto – di scuola. La realtà è che, stando al pensiero del ministro, i percorsi abilitanti non saranno unici, ma doppi: quelli per i candidati che saranno ammessi al Tfa transitorio, e quelli destinati ai docenti con 36 mesi di servizio. Se questi ultimi vogliono l’abilitazione “riservata”, potranno risparmiare – oggi – i 150 euro di iscrizione e i 3mila per il TFA (che avrebbero dovuto comunque sborsare se fossero stati ammessi senza fare le selezioni), ma sborseranno – domani – i quasi 3mila euro una cifra non molto diversa per il corso di formazione che dovranno fare quando sarà il loro turno. E i corsi vien da pensare che a farli saranno le università, esattamente come oggi. Un bel «regalo» agli ex-colleghi (rettori)?
Troppa dietrologia è sbagliata, ma in modiche quantità potrebbe avere qualche fondamento.

Calcioscommesse: deferiti 22 club


Calcioscommesse: deferiti 22 club

E 61 tesserati, di cui 52 calciatori

08 maggio, 21:30

Il Procuratore Federale Stefano Palazzi Il Procuratore Federale Stefano Palazzi
Calcioscommesse: deferiti 22 club
Prima i numeri, tra poche ore i nomi, con le notifiche a società e giocatori indagati dalla Procura della Repubblica di Cremona che ha cominciato ad incidere il bubbone Calcioscommesse. Ennesima bordata alla credibilità di un calcio italiano sempre più malato, che vede invischiate 22 società e 61 tesserati, di cui 52 calciatori. Cifre relative ai deferimenti che si riferiscono solo alla prima parte dell'inchiesta che ha messo nel mirino 33 partite di cui 29 in Serie B.
E mentre cominciano a trapelare i nomi dei primi club (tra cui Siena, Atalanta e Novara, che quest'anno hanno giocato in A) tirati in ballo per la condotta tenuta dai alcuni loro tesserati nel corso della passata stagione in Serie B, bisognerà aspettare ancora qualche ora per conoscere le notifiche alle parti e il contenuto del provvedimento frutto dell'attività inquirente del gruppo di lavoro della Procura Federale, formato da vice procuratori e sostituti e coordinato da Stefano Palazzi.
I deferimenti riguarderanno anche due partite di due differenti edizioni di Tim Cup (Chievo-Novara 3-0 del 30 novembre 2010 e Cesena-Gubbio 3-0 del 30 novembre 2011), due di Coppa Italia della Lega Pro nella stagione sportiva 2010/2011 e in particolare 52 calciatori in attività al momento delle rispettive contestazioni, due calciatori non in attività, quattro dirigenti o collaboratori di società e tre iscritti all'Albo dei tecnici, di cui due in attività al momento delle rispettive contestazioni. Tutti quanti in attesa del giudizio sportivo che concluderà questa prima tranche di indagini che sta facendo tremare club fra serie B e Lega Pro e tesserati sfilati in via Po in due mesi di audizioni (dal 29 febbraio al 26 aprile, con un'appendice il 4 maggio quando è stato riascoltato l'ex Mantova Tomas Locatelli).
Un tornado sulla serie cadetta che rischia di riscriverne completamente la classifica (nella giurisprudenza sportiva la pena deve essere afflittiva, quindi qualche club sarà penalizzato in questa stagione; mentre, per qualche altro che, ad esempio, è già retrocesso sul campo, inciderà sul punteggio del prossimo anno). Tra i club nel mirino, oltre alle tre attualmente in A, anche Albinoleffe, Ascoli, Bari, Crotone, Empoli, Grosseto, Livorno, Modena, Padova, Piacenza, Pescara, Sassuolo, Reggina, Torino, Varese e Verona (in Lega Pro Cremonese, Frosinone, Rimini e Mantova).
Il grosso dei club di Serie A, invece - compresi quelli citati dai supertesti Carlo Gervasoni e Filippo Carobbio dinanzi al pool di magistrati di Cremona guidati dal pm Di Martino (Lecce, Bari, Siena, Genoa, Chievo e Lazio) - dovrebbe slittare nel secondo troncone di inchiesta. Si aspetta il termine del campionato, domenica prossima, e, in ottica futura, si vuole evitare che il processo si sovrapponga mediaticamente agli Europei di calcio
. Nel frattempo, il procuratore federale Palazzi riceverà le carte delle Procure di Bari e di Napoli, e sentirà il presidente del Siena Massimo Mezzaroma (la cui audizione è slittata a metà maggio per motivi di salute) e l'ex allenatore del Siena Antonio Conte, campione d'Italia con la Juventus (che probabilmente sarà ascoltato dopo la finale di Coppa Italia con il Napoli, il 20 maggio).

ELEZIONI. Ecco chi ha vinto e chi a perso


ELEZIONI. Ecco chi ha vinto e chi ha perso 


L'analisi dell'Istituto Cattaneo e l'analisi su M5S
08 maggio 2012
L’Istituto Cattaneo di Bologna ha effettuato alcune elaborazioni dei risultati del voto amministrativo appena conclusosi (in 24 comuni capoluogo) per capire quanto i contendenti abbiano riscosso maggiori o minori consensi rispetto alle precedenti elezioni regionali.
Nella nostra analisi non facciamo riferimento alle percentuali su voti validi – come di consueto viene fatto – ma ai voti in assoluto presi dai partiti e dai candidati. Nella nostra analisi le variazioni temporali sono presentate sia in valore assoluto che in valore percentuale con riferimento ai valori di partenza: se un partito passa da 150.000 voti a 135.000, diremo che ha perso 15.000 voti pari al 10% dei suoi voti iniziali.
Dall’analisi dei dati emerge che sia il centro-sinistra sia il centro destra perdono molti consensi. Tuttavia il centro-destra ha subito una contrazione maggiore.
Centro-sinistra
Nelle 24 città analizzate il centro sinistra ha perso circa 40.000 voti rispetto alle regionali del 2010, pari al 7 per cento dei propri voti del 2010. Tuttavia esistono forti differenze territoriali. Mentre al Nord perde circa un quinto dei suoi consensi, nella Zona rossa contiene le perdite in linea con la media nazionale, mentre al Centro-Sud avanza significativamente (+20mila voti).
Per quanto riguarda i partiti, il Partito Democratico ha subito una contrazione pari al 29 per cento dell’elettorato che lo aveva scelto nel 2010 (pari a un decremento di 91.000 voti): anche nel caso dei Democratici, abbiamo rilevato importanti differenze tra aree del Paese. Una perdita che si attesta attorno al 30 per cento nelle città del Nord (- 60.000 voti) e in quelle della Zona rossa (-19.000 voti), a fronte di una riduzione dei consensi del 20 per cento circa nei capoluoghi del Centro-Sud (- 12.000 consensi).
L’Italia dei Valori ha una perdita di 55.000 voti, omogeneamente distribuita in tutti i capoluoghi senza distinzione di area geografica, pari a oltre la metà del proprio elettorato (-58 per cento a livello nazionale). Si tratta di una delle formazioni politiche che hanno perduto più voti rispetto alle regionali del 2010.
partiti della sinistra (Sinistra Ecologia e Libertà e Federazione della Sinistra) perdono un sesto dei consensi ricevuti nel 2010 (-16 per cento, pari -12.000 voti), ma la loro prestazione è m differenziata per ambito territoriale dei comuni al voto. Un crollo pari a quasi alla metà dei voti al Centro-Sud (-48 per cento) a fronte di una avanzata di circa il 7 per cento nel Nord e nella Zona rossa.
Centro-destra
Rispetto alle regionali del 2010, il centro-destra registra un forte calo su tutto il territorio. Le perdite riguardano soprattutto la Zona rossa (46.000 voti in meno) ed il Nord (123.000 voti in meno). Rispettivamente, -58 e -41 per cento.
Quanto ai singoli partiti, il Popolo della Libertà perde 175.000 voti rispetto alle precedenti regionali. Se il calo riguarda soprattutto il Nord (-61 per cento, pari a – 101.000) e la Zona rossa (- 60 per cento, ossia -33.000 voti), nel Centro-Sud l’arretramento è comunque consistente (40 per cento in meno).
La Lega Nord è il partito che, in percentuale, arretra più di tutti (-67 per cento). Le sue perdite sono molto forti nelle città del Nord, ma sono ancora più consistenti nella Zona rossa, con una perdita di quasi l’80 per cento dei voti conquistati nel 2010.
L’Unione di Centro tutto sommato tiene, contenendo le perdite al 6,5 per cento a livello nazionale rispetto alle regionali del 2010. Questo dato nasconde però dinamiche differenziate a livello territoriale. Il partito di Casini accusa forti perdite nelle città del Nord (-44 per cento circa), mentre guadagna consensi nella Zona rossa (+13 per cento) e soprattutto nel Centro-Sud (più 32 per cento).
In generale, i dati mettono in evidenza che sia il centro-destra, sia il centro-sinistra, sia i partiti maggiori, perdono consensi soprattutto al Nord e nella Zona rossa. Nel Centro-Sud, Pd e Pdl (così come il centro-destra nel suo complesso) hanno perdite minori che nel resto del paese. Nella stessa area, il centro-sinistra nel complesso avanza.
Qui l'analisi delle performance del Movimento 5 stelle