Il ritiro dell’ambasciatrice americana all’Onu Susan Rice dalla corsa per segretario di Stato è la prima sconfitta per il presidente Obama, dopo la vittoria nelle presidenziali di novembre. Una partita che ha perso prima ancora di giocarla ufficialmente, rinunciando alle contrastate audizioni che il Senato avrebbe dovuto tenere per confermare la nomina, dove sarebbero tornati al centro dell’attenzione nazionale gli errori commessi all’epoca dell’assalto al consolato di Bengasi.
La Rice era la stella nascente nel firmamento della politica estera democratica. Nera, giovane, molto determinata, aveva già servito nell’amministrazione Clinton come vice segretario di Stato per l’Africa. Obama l’aveva promossa ambasciatrice all’Onu, e in questo ruolo ha combattuto molte battaglie di alto profilo, che hanno fatto salire la sua reputazione. Le sue caratteristiche personali ne facevano la scelta politica perfetta per Obama, allo scopo di sostituire Hillary Clinton. Dopo l’assalto di Bangasi, però, l’amministrazione le ha chiesto di andare in tv a difendere l’operato del governo, usando informazioni di intelligence secondo cui l’attacco era nato dalle manifestazioni spontanee provocate da un video offensivo su Maometto. Questa versione, a pochi giorni dalle presidenziali, tornava utile alla Casa Bianca, perché la riparava dall’accusa di non aver capito le minacce che il terrorismo poneva in Libia, e non aver fatto abbastanza per prevenire e fermare l’assalto in cui erano morti quattro americani, tra cui l’ambasciatore Stevens.
Quando poco alla volta si è capito che la realtà era un’altra, e l’aggressione era stata pianificata da alleati di al Qaeda in coincidenza con l’anniversario dell’11 settembre, i repubblicani hanno attaccato l’amministrazione, focalizzando l’attenzione in particolare sulla Rice. Il senatore McCain, ex candidato presidenziale, ha guidato la carica, avvertendo che si sarebbe opposto alla sua nomina come segretario di Stato perché aveva mentito al paese. Obama l’ha difesa con forza, definendo vergognoso l’atteggiamento dei suoi critici e invitandoli invece a prendersela con lui. Susan fa parte del circolo ristretto del presidente, che teneva molto alla sua nomina. Inoltre per i repubblicani sarebbe stato rischioso accanirsi troppo contro una donna nera durante le audizioni.
Giovedì pomeriggio, però, è arrivata la sorpresa. La Rice ha inviato una lettera ad Obama, dicendo che ritirava il suo nome dalla considerazione come segretario di Stato, perché il braccio di ferro rischiava di diventare una distrazione troppo costosa per il capo della Casa Bianca e per il paese. Con riluttanza, il presidente ha accettato la sconfitta prima ancora di averla nominata ufficialmente. Questo sembra aprire la porta alla nomina del senatore John Kerry come segretario di Stato, e dell’ex senatore repubblicano Hagel al Pentagono.
Le vere motivazioni dell’assalto del Gop contro Susan sono politiche: non hanno a che vedere con le sue capacità personali, e forse neanche troppo con la vicenda di Bengasi, che è diventata solo un pretesto per azzoppare Obama subito dopo la sua rielezione. La Rice era percepita come una nomina molto politica, e le dichiarazioni che aveva rilasciato sulla Libia erano apparse come una strategia per proteggere la rielezione del capo della Casa Bianca. Quindi quando i repubblicani hanno visto l’occasione per colpirlo, l’hanno sfruttata.
Obama sembrava determinato ad andare avanti fino in fondo, ma poi qualcosa gli ha fatto cambiare parere. Si era esposto molto per difendere Susan, lasciandosi poco spazio di manovra. Continuare su questa strada, però, esponeva l’amministrazione al rischio di problemi ancora più gravi non tanto sulla comunicazione relativa a Bengasi, quanto sul comportamento sul terreno. La settimana prossima Hillary Clinton dovrebbe testimoniare in Congresso su questo punto, e le audizioni per la conferma della Rice sarebbero diventate un’altra occasione per rivangare i fatti. Mentre è impegnato nel difficile e cruciale negoziato sul “fiscal cliff”, finalizzato ad evitare che l’economia americana torni in recessione, il presidente deve aver deciso che la battaglia per Susan non valeva più il costo che richiedeva.