.Crisi: ride solo la Germania, che sta sfasciando l’Europa
Così forte, così fragile. Corsi e ricorsi storici: la Germania è tanto aggressiva e intransigente perché basa la sua potenza sul più incerto e rischioso dei mercati, quello dell’export, che secondo gli economisti democratici della Modern Money Theory produce ricchezza volatile al prezzo di fortissime compressioni salariali. Un regime in bilico, dominato dall’ansia commerciale? Non solo. Secondo
Aldo Giannuli, la vastità dell’area germanica, estensibile all’Est, contribuisce a rafforzare la percezione di stabilità del paese, in proiezione pluriennale, anche qualora le economie del Mediterraneo – i “compratori” che hanno favorito il recente boom industriale tedesco – dovessero collassare sotto il ricatto finanziario dell’euro-rigore voluto dalla Merkel. In ogni caso, annota Gad Lerner, dalla grande
crisi la Germania continua a guadagnare: i suoi “bund” costano sempre meno. Ma attenzione, c’è il trucco: è rimasto pubblico il controllo del capitale delle grandi
banche di Berlino, che accedono all’euro a costi agevolati e, per prima cosa, acquistano titoli di Stato tedeschi.
L’eurocrisi non provoca solo perdite, scrive Lerner nel suo
blog. Nell’unione monetaria c’è anche chi guadagna dalle inquietudini che scatenano le
turbolenze dei mercati. «La Germania continua a trarne un profitto, visto che il costo del suo debito sta scendendo in modo costante da quando le elezioni politiche italiane hanno provocato una nuova ondata di difficoltà per l’unione monetaria, cristallizzatesi nella
crisi di Cipro». I tassi di rendimento dei titoli di Stato di lungo periodo della Germania sono scesi ai valori più bassi degli ultimi otto mesi. «I timori per perdite significative sugli investimenti dei paesi in eurocrisi più a rischio tornano a spingere i capitali verso il lido più sicuro dell’unione monetaria, i titoli di Stato della Germania». I Bund, le obbligazioni decennali dalle quali viene calcolato anche lo spread, sono sempre più ricercati, e questo incremento di richieste – aggiunge Lerner – provoca l’abbassamento dei loro rendimenti, scesi ai livelli di fine agosto. Valori sempre più bassi, da otto mesi a questo parte, che testimoniano come la divergenza finanziaria dell’Eurozona, il vero problema di questa
crisi, sia tornata a minacciare l’integrità dell’unione monetaria.
L’estate scorsa, aggiunge Lerner, la Bce aveva garantito per le finanze pubbliche dei paesi in
crisi, convincendo così gli investitori sull’inutilità di scommettere sul fallimento dell’unione monetaria, ma l’ultimo mese è stato l’ennesimo campanello d’allarme sulla profondità dell’eurocrisi: prima il caos uscito dalle elezioni italiane, e poi il controverso salvataggio di Cipro hanno reso inquieti i mercati. Il ritorno in massa verso i Bund tedeschi sottolinea una situazione di tensione che potrebbe diventare alla lunga esplosiva: una divergenza così marcata del costo del debito tra i paesi membri rende insostenibile un’unione monetaria. E nel frattempo, Berlino continua ad accumulare vantaggio: «Come già si è verificato nel recente passato, la Germania guadagna dalle difficoltà altrui; il costo del suo debito scende, così da garantire al governo maggiori risorse. Allo stesso tempo il suo sistema creditizio ed il suo settore economico riescono a finanziarsi a costi più bassi», e non solo col contributo di investitori esterni. Come, esattamente? Lo spiega Pietro Cambi sul blog “
Crisis”, di Debora Billi: “nascondendosi” dietro le sue grandi
banche, il governo di Berlino accede
agli euro a costi bassissimi, quelli del settore bancario privato, per continuare a finanziare lo Stato.
Sostanzialmente, è come se Berlino stesse barando: si avvantaggia a spese dei partner europei. Berlino, dice Cambi, ci impone lo spietato regime di austerity e il taglio della spesa pubblica, mentre – sottobanco –
usa nientemeno che il proprio
debito pubblico (quello che ci impedisce di utilizzare) per lucrare sulla nostra
crisi, aggravandola e pilotandola attraverso il mercato finanziario dei titoli di Stato. La “virtuosa” Germania ricorre proprio alla vituperata
finanza pubblica per ricattare l’Italia e gli altri “Piigs”, grazie ad un semplice artificio bancario: «Se lo adottasse anche l’Italia, potrebbe abbattere di colpo gli interessi sul debito e tagliare lo spread dell’80%». Pochi lo ricordano, ma è tuttora largamente pubblico il controllo sul capitale delle maggiori
banche tedesche, dalla Commerzbank alla Kwf. Soggetti di diritto privato, in base ai trattati europei accedono all’euro al tasso agevolato dello 0,75%. Ma la maggioranza azionaria, governativa, dirotta quel denaro verso il sostegno sistematico della
finanza pubblica, attraverso l’acquisto massiccio di titoli di Stato.
All’Italia, sostiene Cambi, basterebbe “imitare” la Germania e, ad esempio, nazionalizzare una banca, magari in cattive acque come il Monte dei Paschi di Siena, usandola come veicolo – attraverso l’acquisizione facilitata di euro – per sostenere i titoli di Stato italiani e abbattere rapidamente lo spread, senza la necessità di sottostare ai diktat del rigore, quelli che impongono il “massacro sociale” aggravando ulteriormente la
crisi. In regime pre-euro, la funzione di “prestatore di ultima istanza” era prerogativa di Bankitalia: anche oggi, se fosse autorizzata, la banca centrale potrebbe approvvigionarsi presso la Bce di liquidità ad un tasso privilegiato, come tutti gli istituti bancari privati europei: in questo modo, Bankitalia potrebbe «comprare i titoli di Stato italiani immessi sul mercato» e «spegnere immediatamente la febbre da spread». In concreto: gli interessi su Bot e Btp lo Stato li pagherebbe a se stesso, perché «sarebbe debitore di una banca di cui è il proprietario». Quindi quei soldi «tornerebbero allo Stato o, cosa equivalente, andrebbero a ricostituire le riserve della banca stessa, che così potrebbe meglio adempiere alle proprie funzioni e, alla fine, fare da sé»,
ovvero «comprare i titoli Btp senza più chiedere soldi alla Bce».
Operazione oggi impossibile, grazie alla totale privatizzazione del sistema bancario italiano, “consigliata” da un uomo chiave della
crisi europea: Mario Draghi. Nel ’91, ricorda l’economista italo-danese
Bruno Amoroso, l’allora economista della Banca Mondiale divenne improvvisamente direttore generale del Tesoro e, «da quella posizione, promosse ufficialmente la privatizzazione di tutte le
banche italiane», destinate a diventare veicolo dei titoli-spazzatura creati da Lehman Brothers, Ubs e il colosso statunitense Goldman Sachs, presso cui Draghi “migrò” per poi tornare in Italia come governatore della banca centrale e, a quel punto, “stupirsi” dell’indebolimento del sistema bancario italiano. Lettura della
crisi: siccome ci hanno “rubato” 5 punti di Pil, dobbiamo riformare il mercato del lavoro, tagliare pensioni e sanità, riformare la scuola. «Ma che c’entrano il lavoro, la scuola, la sanità e le pensioni con la truffa dei banchieri-spazzatura?».
Chiusura del cerchio: la nomina al vertice della Bce, poltronissima da cui «riacquistare, anche dalle
banche italiane, i “titoli spazzatura” in cambio di denaro contante». Tecnicamente: per Amoroso, Draghi «sta facendo il riciclaggio dei “titoli spazzatura” che la Goldman Sachs ha esportato in Europa e anche in Italia (e che noi oggi paghiamo per riciclare), cosicché poi nessuno riesca neanche più ad identificarli». Nel frattempo, la Germania ride: nessuno fa caso al “trucco” con cui il governo tedesco accumula euro a basso costo, approfittando di un sistema fondato sull’imbroglio che ha indotto i “concorrenti” a privatizzarsi. Di questo passo, l’Europa va incontro a una catastrofe, ripetono i Premi Nobel statunitensi Krugman e Stiglitz, che invocano un ritorno alla sovranità monetaria, passando per la nazionalizzazione delle
banche e cancellando di
fatto la
politica europea imposta da Berlino.
Per gli economisti neo-keynesiani, la Germania non andrà lontano: è troppo vincolata all’export, quindi esposta all’instabilità dei mercati – l’industria
Usa, ad esempio, è largamente vocata al consumo interno. Ma il punto è un altro: fino a quando il resto dell’Europa continuerà a sopportare vessazioni come quelle inflitte alla Grecia, ben oltre i confini della civiltà? Il guaio è che la Germania è incorreggibile, accusa
Paolo Barnard: «Per tre volte hanno cercato di distruggere l’Europa, e stavolta ci sono riusciti». François Mitterrand, il politico che più di ogni altro promosse l’euro-sciagura della moneta unica non-sovrana allo scopo di imbrigliare Berlino, disse: «Amo così tanto la Germania che preferisco averne due». Riletta oggi, si ammanta di luce sinistra l’analoga battuta di Giulio Andreotti: «E’ bene che le due Germanie restino divise». L’euro? «Sarà la fine dell’Europa unita», profetizzò Ida Magli. E ancora una volta, non appena il copione collettivo scivola verso il dramma, la storia europea sembra costretta a fare i conti con la fatale Germania : così forte, e così fragile