L'8 agosto 2012, su richiesta del cardinale Martini, gli ho fatto visita a Gallarate insieme a Federica Radice Fossati Confalonieri; è stato il nostro ultimo incontro. Abbiamo celebrato la Santa Messa in quattro nella cappella della casa dei gesuiti. Pregava, ormai con un filo di voce, per una missione a favore dei bambini di strada della Transilvania, per i giovani e per la donna impegnati in quel Paese. Al momento della Comunione ha voluto alzarsi e con un aiuto ci è riuscito. Non dimenticherò mai quella scena, quanto fosse profondamente prostrato e nello stesso tempo forte. La fiducia di quest'uomo proveniva da un altro mondo. Dopo la Messa l'ho riportato in camera sulla sua sedia a rotelle. Era la stanza modesta di un gesuita.
Nel parlare, il cardinale cercava faticosamente ogni parola. Compiangeva la Chiesa che pure amava. Solo la sua fede in Dio spiega perché abbia lasciato le istituzioni ecclesiastiche e il ricco mondo occidentale con parole di critica radicale.
«La Chiesa deve riconoscere i propri errori e deve percorrere un cammino radicale di cambiamento, cominciando dal Papa e dai vescovi». Con fede, fiducia, coraggio. Per consentire l'ingresso dello Spirito Santo nell'Istituzione il cardinale ha suggerito al Papa e ai vescovi di circondarsi di persone vicine ai giovani e ai poveri. Naturalmente tra queste vi devono essere anche donne. Solo con uomini anziani sarebbe impossibile.
La principale preoccupazione del cardinale era la perdita di credibilità che la Chiesa aveva subito presso vaste schiere di persone. Non si trattava delle leggi o dei dogmi, ma della capacità di assistenza, di ascolto. «Sappiamo occuparci delle domande dei giovani, dei problemi delle famiglie allargate, dei non credenti?», chiedeva dubbioso. Coloro che sono lontani dalla Chiesa hanno un messaggio per noi, sosteneva. Più che la coincidenza di vedute gli interessavano il dialogo, la comune ricerca. Il suo pensiero ammetteva le contraddizioni, come la Bibbia.
Più volte ha chiesto che la Chiesa si scusasse per quanto aveva affermato in passato sul tema della sessualità. Con un coraggio, come quello che aveva mostrato Giovanni Paolo II quando in Israele chiese perdono agli ebrei per i peccati della Chiesa. A questo proposito scrisse a papa Benedetto XVI personalmente. Spesso citava ad esempio l'enciclica Humanae Vitae di Paolo VI, un Papa al quale era particolarmente legato. Affermava poi che la medicina e la psicologia avevano molto di nuovo da dirci sulla famiglia e la sessualità.
Le critiche espresse dal cardinale nel suo ultimo colloquio erano come un testamento, scritto per amore. Con fermezza poneva alcune persone al centro: i poveri, coloro che ricercano la fede, le donne e gli stranieri. A loro si era dedicato con tutte le forze per l'intera vita. Non a caso le sue richieste hanno preso il nome di «Agenda Martini» per il conclave.
Il cardinal Martini era molto vicino a papa Benedetto XVI. Per oltre un decennio, come cardinali sono stati membri della Congregazione per la Dottrina della Fede, avevano anche la stessa età. Eppure i due uomini avevano sentimenti e pensieri molto diversi. Ciò nondimeno la lealtà dell'anziano cardinale al Santo Padre era indiscutibile. Era il giugno del 2012 quando il cardinal Martini ha visto per l'ultima volta papa Benedetto XVI, in visita a Milano. In quella occasione, è tornato nel palazzo che aveva lasciato nel 2002. Lo ha fatto in sedia a rotelle e il Papa si è chinato su di lui. Quando ha quasi ordinato al Pontefice di accomodarsi, questi contro ogni regola dettata dal protocollo si è seduto e l'anziano vescovo ha potuto ravvisare nei suoi occhi stanchi la fragilità del coetaneo. Il coraggio l'ha così abbandonato, non poteva fargli le proposte che aveva preparato. Gli ha detto solo: «Santo Padre, prego per Lei e per la Chiesa».
Il cardinale ha raccontato commosso di quell'incontro con il Pontefice e aggiunto con una nota umoristica: «Il sarto del Papa dev'essere un artista per fargli star bene gli abiti». La sua infermiera gli ha chiesto allora: «Eminenza, Lei, debole e anziano, lascerebbe l'ufficio di Papa o vescovo?». Il cardinale deve aver risposto: «Sì, mi ritirerei a Montecassino». Era come se avesse spianato la strada alla grande e sorprendente decisione del Pontefice.
Cosa dice l'«Agenda Martini» a proposito del profilo del nuovo Papa?
Deve essere un ottimista come Giovanni XXIII: non difendere ciò che è antiquato, ma aprire le porte della Chiesa al nuovo. Deve avere molta comprensione umana e fiducia nel futuro.
Deve avere amore come Paolo VI. Forse aveva un eccessivo timore delle possibilità offerte dalla tecnologia, dalla medicina e dalla libertà sociale, ma era una preoccupazione per l'uomo, come amava sottolineare il cardinal Martini quando criticava l'Enciclica Humanae Vitae . Lo poteva testimoniare egli stesso, poiché Paolo VI lo invitava spesso come un amico, a discutere di questioni bibliche.
Deve essere deciso come Giovanni Paolo II. Il cardinal Martini raccontava che il Papa polacco aveva nominato lui, originario di Torino, arcivescovo di Milano, senza ascoltare le obiezioni. Aveva deciso e basta. Con la sua forza riusciva a muovere molte cose in Vaticano e nella politica ecclesiastica. Una forza che ha fatto addirittura crollare la cortina di ferro.
Cosa deve avere dei suoi predecessori il nuovo Papa? Può costruire su ciò che ha fatto Benedetto XVI che voleva preservare la Chiesa dai pericoli, voleva tenere tutti nella comunità ecclesiastica, anche la Fraternità San Pio X. Puntava sulle élite , che vedeva nei nuovi movimenti. Ora ci vuole l' agere contra , un movimento rivolto alle parrocchie, la rivalutazione delle chiese locali e l'ascolto del mondo intero, come coraggiosamente faceva il cardinal Martini. Benedetto XVI nel suo clericalismo era spinto da forze centripete, ora occorrono energie centrifughe. Con un vescovo proveniente dal Nuovo Mondo, dall'Africa o dalle Filippine, lo Spirito Santo ci può sorprendere più che con un difensore del Vecchio Mondo. Quanto deve essere giovane, straniero, sfrontato o di colore oggi uno strumento dello Spirito Santo?