martedì 3 febbraio 2015

Jazzista ebreo anti-sionista: e gli annullano il concerto

Jazzista ebreo anti-sionista: e gli annullano il concerto


Non può suonare in città, perché è un ebreo che non perdona Israele per i crimini commessi contro i palestinesi. Tutto ciò, a prescindere dal fatto che nella sua musica – il jazz – non vi sia traccia delle sue opinioni politiche, peraltro nobili. Tanto è bastato, in ogni caso, per fargli saltare un concerto nel cuore della civilissima Europa, quella che a Parigi ha appena celebrato il lutto per il martirio civile dei vignettisti di Charlie Hebdo. La vittima in questo caso è un musicista di origine israeliana, Gilad Atzmon, e il paese non è la Francia ma la Gran Bretagna. Il jazzista, racconta il quotidiano israeliano “Haaretz”, doveva esibirsi il 15 gennaio al Bonington Theatre di Arnold, un sobborgo di Nottingham. Ma a fermare lo spettacolo è bastata una lettera aperta, sottoscritta da 13 sudditi di Sua Maestà e indirizzata ai dirigenti del teatro: impossibile, secondo i benpensanti, consentire al musicista di esibirsi. Atzmon ma punito nel modo più arcaico, con la censura del silenzio, solo perché professa opinioni non allineate alla teologia politica del mainstream occidentale sionista, secondo il quale Israele ha sempre ragione.
Insieme alla sua band, “The Whistle Blowers”, il sassofonista avrebbe dovuto esibirsi nel teatro della cittadina inglese, scrive “Haaretz” citando il “Nottingham Post”, in un servizio tradotto da “Come Don Chisciotte”. Il Gedling Borough Council, che Gilad Atzmonamministra il centro culturale, s’è visto recapitare la missiva dei 13 abitanti in rivolta, scandalizzati da diverse affermazioni di Atzmon. Per esempio: «E’ sempre il pessimo comportamento degli ebrei che provoca disastri agli ebrei». Oppure: «Il Tribunale di Norimberga era finto, ce ne vorrebbe uno vero per Israele». Affermazioni che, secondo il teatro britannico, «toccano dei punti che preoccupano i residenti locali», al punto da sposare il loro punto di vista e proibire l’esecuzione del concerto. «Pur riconoscendo e apprezzando l’importanza della libertà di parola, il Consiglio ha la responsabilità legale di costruire e mantenere buone relazioni tra i membri della comunità, anche tra persone di razze e religioni diverse», affermano gli amministratori del teatro, secondo cui «la presenza di Gilad Atzmon potrebbe essere un atto non conciliabile con questa responsabilità».
Atzmon, 51 anni, lasciò Israele per emigrare in Inghilterra molti anni fa. «Non so cosa gli sia passato per la mente», dice. «Non mi interessa se la gente non condivide quello che scrivo, ma la mia musica non ha nulla a che fare con quello che scrivo. Penso che sia una cosa ingiusta». Autore nel 2011 del libro “The Wandering Who?”, uno studio di politicasull’identità ebraica, Atzmon è anche un blogger molto attivo. Secondo “Haaretz”, il sassofonista è una figura controversa: alcuni anti-sionisti lo considerano addirittura «un ebreo antisemita», mentre altri «lo apprezzano come una voce originale e senza paura». La società laica di Nottingham ha intanto reagito alla brutale imposizione, manifestando per protestare contro la cancellazione dello show. Resta ovviamente il vulnus inferto alla società civile: non si è impedito lo svolgimento un comizio anti-sionista, ma solo un concerto. Tutto questo, nell’imbarazzante Europa del 2015. Come se non si tollerasse più la semplice presenza di idee scomode: idee possibilmente da cancellare dalla faccia della terra, esattamente come gli “scarafaggi” palestinesi e i bambini di Gaza.

Perché in Italia un vero leader non viene mai eletto al Colle

Perché in Italia un vero leader non viene mai eletto al Colle


Sei un vero leader, stimato dagli elettori? Non abiterai mai al Quirinale. Lo dice la storia della Repubblica italiana, che nei suoi settant’anni ha avuto una quindicina di figure eminenti, statisti e capi di partito che l’hanno fondata, guidata e dominata. Nessuno di loro, però, ha mai raggiunto il Colle, annota Marcello Veneziani. Alla guida del paese si sono infatti succeduti «statisti come De Gasperi, padri fondatori come Sturzo, padri costituenti come Calamandrei, uomini di governo e di partito come Fanfani e Moro, Andreotti, De Mita, capi socialisti come Nenni e Craxi, laici come Malagodi, La Malfa e Spadolini, comunisti come Togliatti e Amendola, oppositori di destra come Almirante e radicali come Pannella». Tutte figure di primo piano, «assai diverse tra loro, per ruolo, indole e giudizio, ma unite da un destino: nessuno di loro è diventato presidente della Repubblica». Osserva Veneziani: «Sorte curiosa per una Repubblica, ma i suoi presidenti sono stati piuttosto notabili, a volte anche di secondo piano».
Un analista “eretico” come Marco Della Luna sostiene che il profilo “defilato” della classe dirigente italiana, specie degli esponenti politici chiamati a rivestire le cariche istituzionali più eminenti, non è casuale: un leader forte, capace di incarnare Mario Draghiuna vertenza sovranista in nome del futuro della comunità nazionale, sarebbe percepito come un pericolo, sia in sede europea che sul versante atlantico. Le eccezioni – da Mattei a Moro – non sono arrivate all’età della pensione: qualcuno le ha tolte di mezzo. Prevale il grigio: in generale, la nomenklatura italiana si segnala per l’alto tasso di corruzione, clientelismo e degrado delle strutture partitiche. Più che ovvio, sostiene Della Luna: solo una partitocrazia corrotta, e quindi debole perché ricattabile, può “obbedire” senza fiatare alle direttive e ai diktat che provengono dai poteri forti che risiedono all’estero. Dopo il “golpe dello spread” architettato per l’insediamento di Monti e il varo definitivo dell’austerity, l’economista Nino Galloni ha svelato la vana ma serrata resistenza condotta da Giulio Andreotti per evitare che l’Italia finisse nella morsa dell’euro, che l’avrebbe condotta alla catastrofe economica. Galloni racconta che il governo subì fortissime pressioni dalla Germania, operate direttamente dal cancelliere Kohl.
Un altro studioso “fuori ordinanza”, l’insigne esoterista Gianfranco Carpeoro, sostiene che Bettino Craxi fu liquidato in modo brutale proprio dai poteri che già allora puntavano a demolire la sovranità italiana: un leader troppo ingombrante col quale fare i conti. Nel libro “Il golpe inglese”, edito da Chiarelettere, Giovanni Fasanella e Mario José Cereghino evocano il ruolo costante di potenze straniere come quella britannica nel destino politico del Belpaese. E un altro libro di Chiarelettere, l’esplosivo “Massoni” di Gioele Magaldi, illumina il grande retroscena massonico di ogni decisione storica, mettendo in fila nomi come quelli di Mario Draghi, Giorgio Napolitano e Mario Monti. La sorte dell’Italia viene sempre decisa lontano da Roma? Lo sostiene anche Paolo Barnard: nel saggio “Il più grande crimine” documenta la “svendita” del paese da parte dei tecnocrati del centrosinistra, cooptati dall’élite finanziaria europea prima ancora che la classe dirigente della Prima Repubblica venisse spazzata via dal ciclone Mani Pulite. L’Italia del boom economico “doveva” piegarsi ai tormenti di Maastrich e alle torture Gioele Magaldiimposte dall’euro, pareggio di bilancio e Fiscal Compact, riforme strutturali (azzeramento del welfare) e taglio della spesa pubblica, cioè demolizione – mediante crisi – del tessuto socio-economico nazionale.
Chiedetevi perché non si fa mai “la cosa giusta”, suggerisce Barbard: scoprirete che i partiti, specie quelli del centrosinistra, sono stati tutti reclutati dal “vero potere”, quello dell’oligarchia neo-aristocratica, per sabotare lo Stato e servire gli interessi delle multinazionali finanziarie. Questo spiega l’altrimenti incomprensibile, cronica mediocrità del ceto politico italiano. Sul “Giornale”, alla vigilia dell’elezione di Mattarella al Quirinale, Marcello Veneziani riflette sullo strano veto che impedisce l’accesso al Colle ai leader più carismatici. Veneziani passa in rassegna i presidenti finora succedutisi: «Il più autorevole fu Einaudi e prima di lui De Nicola, entrambi monarchici; e poi notabili democristiani da Gronchi a Scalfaro, o Segni, Leone e Cossiga, su cui si esercitò la macchina del fango; esponenti come Saragat e Napolitano, capi partigiani come Pertini o banchieri come Ciampi. Ma nessun vero leader o statista, nessun leader di partito di massa o di grande popolarità, nessun riformatore con significative esperienze di governo, se non di governi di transizione o balneari (e nessun romano, lombardo o adriatico)». Per Veneziani, «è questa l’anomalia della Repubblica italiana: senza presidenzialismo niente capi alla De Gaulle o Mitterrand, alla Kennedy o Nixon, solo gregari o notabili. Così Venezianisarà pure stavolta. Il galletto è Renzi, per il Colle cercano la gallina».
Tra le mille dietrologie fiorite attorno all’anomala elezione di Mattarella, si segnala per inappuntabile coerenza la spiegazione fornita da Francesco Maria Toscano, stretto collaboratore di Gioele Magaldi: Renzi avrebbe “mollato” Berlusconi dopo aver promesso obbediente devozione al “venerabile” Mario Draghi, vero padre del rigore europeo. Il Patto del Nazareno? Un bluff di Renzi per alzare la posta: accoglietemi a corte, o rimetto in gioco l’odiato Berlusconi. Detto fatto: secondo Toscano, a Renzi sarebbe stato finalmente accordato l’accesso al mondo ultra-riservato delle “Ur-Lodges”, le massime strutture di potere della massoneria internazionale, di cui Draghi sarebbe uno dei leader più importanti, insieme alla presidente del Fmi, Christine Lagarde. In pegno, come garanzia di sottomissione, il mite Mattarella sul Colle. Un uomo destinato a non ostacolare il manovratore Renzi, in realtà mero esecutore dei diktat di Bruxelles? E’ presto per dirlo, ovviamente. Ma certo è da interpretare il primo gesto del neo-presidente: che evoca il nazismo alle Fosse Ardeatine per lanciare un monito contro “il terrorismo”, e non il nuovo nazismo della Troika Ue che governa col ricatto e senza più ombra di democrazia, piegando i popoli al volere di ristrettissime élite neo-feudali.

Elezioni Spagna 2015, sondaggi: la sinistra radicale di Podemos primo partito

Elezioni Spagna 2015, sondaggi: la sinistra radicale di Podemos primo partito


Se si votasse oggi la sinistra radicale sarebbe il primo partito in Spagna, finirebbe così il bipolarismo di popolari e socialisti.



Il 2015 potrebbe essere un anno di svolta per la vita politica spagnola. Sono tante le tornate elettorali in programma. Si parte con le elezioni comunali e regionali del prossimo 24 maggio (si vota tutte le comunità ad eccezione di Catalogna, Andalusia, Paesi Baschi e Galizia), si concluderà con l'evento più atteso: le politiche di novembre. Lo scenario che sembra delinearsi all'orizzonte è assolutamente inedito, questo perché ad un anno dalla sua fondazione il partito della sinistra radicale Podemos sta vedendo aumentare i suoi consensi con grandissima velocità. Nato dal movimento degli Indignados e tenuto unito dal carisamtico leader Pablo Iglesias, Podemos ha ottenuto il suo primo grande successo alle ultime Europee, quando con un sorprendente 8% è riuscito a conquistare cinque seggi.
Quella percentuale nel frattempo è cresciuta, tanto che oggi Podemos potrebbe essere il primo partito. Lo svela un sondaggio commissionato da Cadena Ser, l'emittente radiofonica di El Pais, il primo quotidiano del paese per diffusione. I risultati sono inaspettati, soprattutto per le proporzioni. Il 27,5% degli spagnoli ha infatti dichiarato che voterebbe per Podemos se le elezioni si tenessero oggi, crolla il partito di Mariano Rajoy che otterrebbe soltanto il 24,6% delle preferenze. Per strada ha lasciato quasi il 50% dei voti visto che nel 2011 era riuscito ad ottenere la maggioranza assoluta con il 44,6%. E pesante è anche il tonfo dei socialisti, la cura di Pedro Sanchez non sembra funzionare se è vero che oggi il PSOE si fermerebbe al 19%, quattro anni fa aveva ottenuto un già deludente 28,7%. Quasi scompare la sinistra di Izquierda Unida che passerebbe dal 6,9% al 3,7%.
Podemos raccoglie i suoi voti soprattutto nell'elettorato di sinistra, ma è evidente che molti nuovi sostenitori vengano anche dal fronte popolare. La notizia è ancora più clamorosa se si pensa che la Spagna sta raccogliendo oggi i frutti della politica fatta di tagli e sacrifici imposta da Rajoy. Se i numeri del sondaggio dovessero confermarsi, anche in parte, assisteremmo ad un cambiamento storico: per la prima volta infatti nel paese non esisterebbe il bipolarismo perfetto fatto dell'alternanza tra popolari e socialisti. Questo porterebbe ad un periodo di maggiore instabilità politica, a meno che non vengano fatte alleanze di governo, ipotesi che per il momento Iglesias esclude nel modo più assoluto.
La sinistra radicale spagnola in qualche modo potrebbe guadagnare ancora voti nel momento in cui le elezioni in Grecia dovessero concludersi con un successo di Syriza di Tsipras. I due partiti sono molto simili, non a caso fanno parte dello stesso eurogruppo, quello della Sinistra Unitaria Europea, e Iglesias parteciperà ad un comizio di Tsipras in Grecia nei prossimi giorni. Mancano ancora dieci mesi alle elezioni, ma il 2015 spagnolo si preannuncia caldo, i due grandi partiti hanno il tempo per provare ad arginare l'emorragia di voti, ma l'ascesa di Podemos è qualcosa con cui sarà necessario fare i conti.