Lavoro, il diktat della Coop
Dopo la lettera a Littizzetto, le dipendenti svelano i ricatti dei capi. Ma c'è chi difende l'azienda.
Non si conoscono le lavoratrici dei supermercati Coop di Lazio e Campania - alcune decine - che hanno sottoscritto la lettera a Luciana Littizzetto, pubblicata in Rete dell’Unione sindacale di base (Ubs). Eppure l'obiettivo era chiaro. Invitare l’attrice, testimonial del marchio, a considerare il «lato oscuro» del lavoro nei negozi Coop. Ovvero quel mondo poco conosciuto intriso di stress e di frustrazione dei dipendenti, dove un contratto part-time da 20 ore è un traguardo prezioso, ma oltre il quale è quasi impossibile progredire, dove scendere a patti con i manager è impensabile e dove piccoli ricatti quotidiani scandiscono le giornate.
PROTESTE DA ROMA E DINTORNI. In realtà lo scadimento delle relazioni all’interno dei supermercati sembra aver riguardato più la realtà di Unicoop Tirreno piuttosto che le altre sedi regionali. Le testimonianze di chi ha firmato la lettera arrivano infatti tutte da Roma e immediati dintorni.
Marzia (il nome è di fantasia) ha un'esperienza pluridecennale in azienda: «Quello che la società non dice», spiega a Lettera43.it, «è che la maggior parte dei contratti a tempo indeterminato sono part-time, ma non per scelta del lavoratore e prevedono 650 euro con i quali una persona deve pianificare la sua vita».
Tuttavia sono sempre possibili i prolungamenti temporanei dell’orario di lavoro. Ma non per tutti: «Capita che questi straordinari», prosegue Marzia, «non vengano assegnati a colleghi che hanno avuto recenti battibecchi con i superiori».
Mostrare i muscoli può non essere la soluzione migliore: «Da quando ho cominciato a difendere le mie idee, hanno cominciato a negarmi cambi turno e straordinari, mentre le colleghe continuano a usufruirne».
ANCHE UN EPISODIO DI MOLESTIE. C’è spazio anche per un episodio di molestie, risolto direttamente dall’azienda, ma di cui è stato testimone Francesco Iacovone, sindacalista dell’Usb: «Dopo due mesi dalla denuncia interna delle dipendenti molestate - durante i quali il protagonista della vicenda ha continuato a ricoprire il ruolo di capo delle lavoratrici - sono stati ascoltati i testimoni e il presunto molestatore alla fine è stato prepensionato».
Il luogo dell’avvenimento sarebbe un grande centro commerciale di Roma città. Dell’argomento delle molestie si è occupata anche la trasmissione Servizio Pubblico, in una puntata del mese di febbraio.
Ampio uso dei contratti stagionali con richieste di estendere l'orario
I problemi però riguardano soprattutto l’ampio uso dei contratti stagionali e il disagio di alcune lavoratrici, come fotografato anche dalla trasmissione di La7 Piazza Pulita.
L'iter degli assunti in Coop sarebbe questo: da stagionale, a 20 ore, si vive sotto la pressione psicologica dell’obiettivo del posto fisso. Una volta guadagnato il contratto a tempo indeterminato, la nuova esca che spinge a dire sempre di sì è il passaggio alle 37 ore, che però è provvisorio. E per non perdere il 'privilegio' e continuare a sperare nel contratto full-time, è meglio mantenere il controllo sul posto di lavoro.
I RICATTI DOPO LE CONCESSIONI. Gabriella lavora in un supermercato dell’immediato hinterland romano. Racconta: «Ho il contratto a tempo indeterminato part-time e, per un anno, mi hanno dato l’estensione a 37 ore. Ma per questo sono sempre stata ricattabile, mi si diceva di fare gli straordinari pena il non rinnovo del contratto».
Si tratterebbe di ore in più che vanno in flessibilità e non garantiscono alcun pagamento extra. «Quando dici sempre di sì a queste richieste, poi diventa un problema dire di no una volta», è il punto di Gabriella.
SI PAGANO I DISSAPORI COI CAPI. Ma non è tutto: «Avevo chiesto con due mesi di anticipo di poter usufruire delle ore libere destinate a noi dipendenti - non ferie o flessibilità - e la mia responsabile mi ha portata nella stanza del direttore, noi tre soli, per spiegarmi che la cosa non si poteva fare».
Anche per lei i dissapori con il caporeparto non sono restati senza conseguenze: «Recentemente avevo discusso con lui e sono stata cambiata al volo di reparto, mandata in una sezione in cui non ero per nulla pratica e senza affiancamento».
In un’epoca di crisi poi, capita di trovarsi per un pomeriggio con solo quattro addetti a governare tutti i reparti del supermercato, casse escluse: «Si capisce che in questo modo», sottolinea Gabriella, «andare al bagno diventa un problema».
IL PERICOLO DI TORNARE A 20 ORE. «Trascorsa una mattina al lavoro», chiarisce Gabriella, «capita che il pomeriggio riceva la chiamata per rimodulare il turno del giorno successivo. Non si può organizzare una vita così. Intanto, pur di inseguire le 37 ore e lottare per il posto fisso, ho per anni accettato di gestire un reparto senza il relativo riconoscimento di ruolo».
Poi c'è il pericolo di essere «retrocessi»: «La minaccia di tornare alle 20 ore è reale», garantisce Gabriella.
Le lettere delle lavoratrici a sostegno dell'azienda
Alla lettera delle lavoratrici indirizzata a Littizzetto la Coop aveva prontamente replicato sostenendo che «l'occupazione si è mantenuta stabile» e sono garantite le «condizioni di qualità». E di star perseguendo politiche di stabilizzazione del personale con contratti più rispettosi dei diritti dei lavoratori rispetto alla concorrenza.
Inoltre in due punti vendita, uno ad Avellino e l’altro a Roma, sono state affisse delle lettere di lavoratrici in difesa di Coop.
«Siamo state messe al corrente che queste situazioni si sono verificate in alcuni negozi», recita una, «ma questa denuncia può trasmettere ai lettori un'immagine distorta della cooperativa, che nella maggior parte dei casi non è quella descritta».
Le dipendenti avellinesi invece si sono dissociate completamente dall’iniziativa delle colleghe dell’Usb: «Non è vero che a comandare sono tutti uomini e che esiste un clima di ricattabilità».
PROMESSE MAI MANTENUTE. Eppure le testimonianze delle lavoratrici vanno in un altro senso.
Lucia ha lavorato 10 anni con contratti stagionali e ricorda: «Dire no era impossibile. 'Puoi?' era sinonimo di 'devi'. Chi si opponeva era tagliato fuori dal giro degli stagionali». Aggiunge: «Ora con le 20 ore a tempo indeterminato vivere dignitosamente non è comunque possibile».
«Anche io svolgo ruoli superiori al mio inquadramento professionale», prosegue Lucia, «da addetta alle vendite a coordinatore. Ogni promessa di formale riconoscimento al riguardo è caduta nel vuoto».
IL «FILO DIRETTO» DEI DIPENDENTI. Anche per lei non sono passate inosservate le repliche dei lavoratori ai superiori: «Quando si viene convocati in direzione per una questione disciplinare, chiedere la partecipazione del sindacato è un problema».
In Coop esiste, però, un numero verde per i dipendenti, si chiama «filo diretto», per segnalare le anomalie sul posto di lavoro. «Ma il giorno dopo una mia chiamata», racconta la dipendente, «si presenta il responsabile e mi chiede perché mai abbia chiamato, perché ho 'saltato' le figure interne del negozio. Evidentemente perché non avevo trovato nessuno con cui parlare, per esempio dell’assegnazione delle ferie, o del fatto che la domenica non è presente neppure un responsabile in negozio».
E ancora: «Ho rifiutato di firmare per le 37 ore per evitare l’obbligo di fare tre volte l’orario spezzato in settimana». E poi: «Venire spostati da un negozio all’altro sembra una scelta insindacabile, che prescinde dalle valutazioni riconosciute sul lavoro».