Don Andrea Gallo, Salvatore Borsellino, Carlo Rubbia, Roberto Scarpinato, Giulietto Chiesa. E magari anche Jeremy Rifkin e Pepe Mujica, «se l’Uruguay ce lo prestasse». E’ il fanta-profilo del “governo dei sogni” che Simone Santini disegna per “Megachip”, immaginando che sia Grillo a proporlo al Capo dello Stato. E Napolitano? «Credo che lo stiano ancora raccogliendo dal pavimento». Scherzi a parte: o Grillo rilancia, chiedendo un super-governo clamoroso, o dovrà subire l’assalto di partiti e media intenzionati a “smontare” il suo movimento, per insediare il tandem prossimo venturo, formato da Renzi e Montezemolo, ovvero la “Dc 2.0” incaricata di non cambiare niente e continuare ad obbedire agli ordini del super-potere. Dunque: meglio giocare il tutto per tutto, ora o mai più. Obiettivo: un’altra
Europa, un’altra energia, un altro made in Italy. E lavoro per tutti, nel solo modo possibile: cioè con l’intervento diretto dello Stato.
Il cerino è in mano al Pd, che farà di tutto per
scaricarlo nelle mani dei grillini, facendoli apparire ottusi, sfascisti e irresponsabili. Bersani? Era il
candidato naturale in caso di vittoria, cioè con una maggioranza autonoma: visto che non è accaduto, il segretario del Pd «non è più il candidato naturale di nulla», e un incarico dal Quirinale potrebbe solo accelerarne il naufragio. Le opzioni sono solo due: accordo coi grillini o col centrodestra. Se gli ammiccamenti col “Movimento 5 Stelle” fossero sinceri, «sarebbe un’occasione storica (come indicato anche dal sindaco di Bari, Michele Emiliano), probabilmente l’ultima per questo partito di cosiddetto centrosinistra, per compiere quella svolta che la gran parte del suo elettorato da sempre vuole e non è mai stata realizzata». In questa direzione, però, Bersani «non dovrebbe mettere spalle al muro Grillo, ma tutta la dirigenza attuale del Pd, partendo da se stesso per passare attraverso i D’Alema e i Veltroni, i Letta e i Franceschini, le Bindi e le Finocchiaro, i Gentiloni e i Fioroni e giù giù fino agli ultimi Renzi».
Alternative? Una sola: il “governissimo” con
Berlusconi, cioè «un suicidio politico che regalerebbe la maggioranza a Grillo alle prossime elezioni», salvo calamità straordinarie: «Una
crisi internazionale di vaste proporzioni, una nuova ondata speculativa contro l’Italia, attentati terroristici». Altrimenti, ci sono solo nuove elezioni, magari precedute da un breve “governo di scopo”, autorizzato a cambiare la legge elettorale e poco più, o una eventuale “prorogatio” dell’attuale esecutivo, incaricato di gestire gli affari correnti, mentre in Parlamento si tenterebbe l’approvazione di singoli progetti di legge, con maggioranze estemporanee. «Tornare a votare entro il 2013 (a luglio o più probabilmente in autunno) potrebbe essere per il Partito Democratico l’unica mossa, anche se rischiosa, vincente», osserva Santini. In coalizione con Monti, il Pd potrebbe tentare di centrare il doppio risultato – maggioranza alla Camera e anche al Senato – grazie a una legge
elettorale apposita: proporzionale con premio di maggioranza su base nazionale anche a Palazzo Madama o maggioritaria a doppio turno.
La “blindatura” Pd-Monti ha bisogno di tre presupposti: demolire Grillo e il suo movimento, screditando sui media i grillini neo-eletti, agire nell’arco di 6-8 mesi per impedire un secondo e più devastante “tsunami” e mandare in pensione il binomio Bersani-Monti, «ormai bruciato e impresentabile», puntando sul ticket Renzi-Montezemolo. «Se, in un’astuta e accurata campagna elettorale, tale schieramento riuscisse a coniugare i messaggi di novità, freschezza e cambiamento con quelli di solidità, affidabilità e stabilità, potrebbe rappresentare un polo di attrazione anche per quei milioni di voti che erano stati in fuga dal centrodestra per poi rifluire, nelle ultime settimane prima del voto, sulla figura del rinato Silvio
Berlusconi». Secondo Santini, «è impossibile che qualcuno dei grandi strateghi che si muovono dietro le quinte non stia pensando o già predisponendo tale scenario, un nuovo successo del già sperimentato modello greco con il M5S nella parte di Syriza e il neo-centrista Matteo Renzi in quelle dell’attuale premier greco Antonis Samaras».
Un governo del genere, continua Santini, sarebbe la perfetta espressione dei cosiddetti “poteri forti”, visibili e occulti, nazionali e internazionali, e avrebbe le carte in regola per governare un quinquennio senza scossoni, bloccando ogni velleità di cambiamento sostanziale del nostro paese ma dosando anche opportune boccate d’ossigeno per arginare altre distruttive derive anti-sistema. «Insomma, una sorta di nuova, grande e moderna “balena bianca”, una
Democrazia Cristiana 2.0 che sarebbe il peggior governo della storia della Repubblica italiana». E’ contro questo pericolo che Beppe Grillo deve combattere, assumendosi la responsabilità del cambiamento promesso. In altre parole: «Massimo rigore nel richiedere una compagine governativa, a partire dal presidente del Consiglio, in radicale discontinuità col passato: nessun esponente dei partiti parlamentari potrà farne parte». Altro fronte, la società civile: apertura e dialogo coi movimenti, mettendo fine all’autosufficienza del “Movimento 5 Stelle” che «non fa alleanze con nessuno» e aprendo la possibilità di un fronte comune
con le tante voci che chiedono la rottura degli schemi.
Cambio di passo improrogabile anche sui programmi, avverte Santini, con idee-forza da tradurre subito in pratica. Primo: stracciare i trattati-capestro di questa Unione Europea, puntando ad una “
Europa dei popoli” basata sulla devoluzione volontaria di sovranità dagli Stati verso un governo europeo nei settori della
politica internazionale e della difesa comune. «Significa avere un governo europeo che tratti alla pari e con voce sola, tanto verso gli Stati Uniti quanto verso i Brics», sviluppando «un partenariato privilegiato con la Russia» e, al tempo stesso, una «demolizione controllata della Nato». La futura
Europa? Civiltà e pace: «Un ponte gettato tra Occidente e Oriente, tra Nord e Sud». Meno
Europa? «Vuol dire meno tecnocrazia, lobbismo, burocrazia», perché «non si possono decidere a Bruxelles regole che valgano allo stesso modo tanto per i pescatori danesi del Mare del Nord quanto per i pescatori sardi o siciliani del Mediterraneo». Serve una nuova Costituzione europea, archiviando i trattati di Maastricht e di Lisbona.
L’euro? Un orrore, ma abbandonarlo “sic et simpliciter” per una moneta nazionale potrebbe non bastare a restituirci sovranità monetaria, sostiene Santini, se poi dovessimo finire dalla padella tecnocratica di Bruxelles alla brace del potere politico-militare del dollaro. «Prima, usciamo politicamente dalla gabbia di questa
Europa, di conseguenza decideremo se e che tipo di moneta unica ci servirà». Altro fronte, i sistemi criminali mafiosi: l’impasto di criminalità organizzata, corruzione, cricche massonico-affaristiche e poteri occulti. «Finché l’Italia continuerà a portarsi dietro il fardello di tutto un sistema complesso che comunemente chiamiamo mafia, nessuna riforma potrà restituirle dignità. Ma anche quando si parla di lotta alla mafia – aggiunge Santini – si deve avere il coraggio di guardare fino in fondo la faccia del potere, perché la mafia è un sistema di potere, un metodo di vassallaggio dei popoli». Apriamo gli occhi: a due passi da noi, il Kosovo è diventato un narco-Stato che di fatto è un protettorato militare della Nato, «un’entità ricettacolo e snodo dei più infami traffici criminali tra Est ed
Ovest scientemente creata con una guerra voluta o accettata da tutte le leadership occidentali».
Altro esempio? I paradisi fiscali: «Altro non sono che lo strumento per il riciclaggio di denaro dei grandi traffici criminali e delle grandi evasioni fiscali, comprese quelle italiane». Li si accetta come ineluttabili, dimenticando che sono protettorati anglosassoni: «Basterebbe la semplice volontà
politica per cancellarli o dichiarare che, chi apre una società offshore in quei micro-Stati o vi ha un conto bancario, è semplicemente fuori legge». Metterli al bando è necessario, «purché non serva semplicemente a drenare meglio i capitali verso Wall Street, come vorrebbero gli architetti di una unione economica transatlantica da costruire a spese dei popoli europei», messi alla frusta – intanto – dalla drammatica “estinzione” del lavoro, provocata dalla globalizzazione e dalla grande
crisi mondiale, la coperta sempre più corta, la competizione esasperata, le risorse planetarie in via di esaurimento, il boom demografico. Secondo Santini, se ne esce solo mescolando Keynes con la decrescita: meno lavoro, ma per tutti. E comunque: lavoro diverso, pulito, utile. In altre parole: investimento occupazionale dello Stato per una vera riconversione economica.
Prima di tutto, serve «un grande piano energetico nazionale con una prospettiva di alcuni decenni, che segni l’inizio di un cambio di civiltà: mentre si concepisce un nuovo modo di produrre, si apriranno le porte a milioni di nuovi occupati». Il concetto di rete applicato all’
economia: «Tanti piccoli produttori nel settore delle rinnovabili a bassissimo o inesistente impatto ambientale». Ci sarebbe da ricoprire di fotovoltaico i tetti di tutti i capannoni industriali d’Italia, a cui affiancare mini-impianti eolici o a biomassa, e le nuove tecnologie da sviluppare: idrogeno, solare termodinamico, fusione fredda. «E poi la riqualificazione, la ristrutturazione, il risparmio». Per fare questo, è necessario rivoluzionare la “narrazione” corrente, fondata sulla demonizzazione della spesa pubblica, senza mai distinguere tra spreco e spesa strategica, in mancanza della quale
– lo stiamo toccando con mano, grazie a “Rigor Montis” – a crollare, a ruota, è anche il sistema privato delle imprese, con annessi posti di lavoro.
Un altro grande piano nazionale, sempre secondo Santini, dovrà riguardare il settore primario, l’agricoltura. «Anche qui c’è ampio spazio per tornare a creare posti di lavoro, produttivi, sani, col “passo dell’uomo”». Un’agricoltura nuova, ovviamente, altamente tecnologica e innovativa, ma “verde”, cioè organica e biodinamica. «L’Italia può e deve diventare il leader mondiale del settore, confermando e rilanciando il senso più profondo del made in Italy». Infine, serve «un nuovo patto sociale tra gli italiani, fondato sul lavoro». Nell’attuale panorama politico, solo il “Movimento 5 Stelle”, «in quanto organizzazione idealista ma post ideologica», potrebbe sintetizzare le molteplici istanze derivanti dal mondo del lavoro, subordinato e autonomo, pubblico e privato: dagli operai di Pomigliano al “popolo delle partite Iva”, fino alla piccola e media impresa. «Un patto che rifondi la comunità italiana e guardi verso le prossime generazioni», dentro un nuovo contesto istituzionale: «La
democraziaeconomica, per meglio dire la
democrazia diretta applicata all’
economia, dovrà sganciarsi dalle tradizionali sedi della
democrazia politica rappresentativa», per esempio attraverso «una Camera legislativa del Lavoro», i rappresentanti di lavoratori, produttori e consumatori, «guardandosi negli occhi, troveranno le più opportune soluzioni per il lavoro di oggi e di domani».