Scandalo della carne, la selva dei mattatoi italiani
Macelli sequestrati e veterinari collusi. Nonostante il rispetto delle normative Ue, le falle del sistema abbondano
Sulla carta, tutto fila liscio: nei 27 Paesi europei i macelli rispettano il regolamento Ce 853/2004 sulle norme comuni di igiene e sicurezza delle bestie e di (eventuali) alimenti ricavati. Anche i piccoli mattatoi, pena la chiusura, dal 2010 si sono dovuti adeguare ai requisiti del “pacchetto igiene” Ue, per ricevere il bollo obbligatorio Ce.
Nella pratica, come sempre, la situazione è molto più critica. Le falle nel sistema abbondano, soprattutto da quando, con lo smantellamento dei macelli pubblici, il settore è finito per il 90% in mano alla galassia dei privati e la carne ha iniziato a sfuggire alla supervisione dei Comuni.
La globalizzazione, poi, ha fatto il resto e, con il via vai di container da un Paese all'altro, il controllo della carne è diventato, come dimostra l'ultimo scandalo dei surgelati, sempre più impalpabile.
FRODE O CONTAMINAZIONE. Finora non c'è prova che la carne di cavallo finita nelle lasagne precotte sia frutto di illeciti negli impianti di macellazione. Potrebbe trattarsi di frode alimentare nella commercializzazione di carne sana e non di carne contaminata immessa sul mercato con controlli blandi.
Tuttavia, è un dato di fatto che non esistano, dai tempi della mucca pazza, mappe e numeri accorpati dei macelli nei diversi Paesi europei. Lo stesso dipartimento Ue per la Salute dei consumatori ha ammesso una «stima approssimativa di 14 mila macelli approvati, solo nel settore di carne rossa, basata sulle liste nazionali dei singoli stabilimenti».
LA SELVA DEI MATTATOI. Come ha ricostruito Lettera43.it, a detta degli stessi esperti, la realtà resta disomogenea. In alcuni Paesi, come l'Italia, la scoperta di mattatoi illegali è più frequente e non di rado legata alle mafie locali e alla criminalità dell'Est. In altri, soprattutto al Nord Europa, prevalgono gli stabilimenti di grandi dimensioni e gli illeciti sono minori.
Macelli sequestrati e veterinari collusi: l'Italia non brilla nella Ue
Responsabile di certificare la salute degli animali, in ogni macello, è il veterinario delle strutture sanitarie (in Italia le Asl), che appone la bollatura su ogni pezzo di carcassa esaminata.
Solo nel 2012, tuttavia, nei palazzi di Bruxelles si parlava di introdurre nei mattatoi personale ausiliario al posto dei medici ufficiali.
La Commissione bocciò la proposta e i controlli nei singoli Paesi sono rimasti appannaggio di professionisti in grado di accertare se le bestie da abbattere abbiano subito, in passato, trattamenti con farmaci e sostanze dannose.
Tuttavia, questo sistema capillare è tutt'altro che infallibile. Solo in Italia, nel 2012, in Puglia è stata scoperta la collusione di cinque macelli e 13 veterinari, in un giro di carcasse di piccola e media taglia (polli, pecore e maiali in particolare) da animali pronti all'abbattimento per zoonosi e diossina, destinate invece alla produzione di grassi e farine.
CAVALLI DOPATI. Un anno prima, in Emilia Romagna, l'inchiesta “East Horses” del Corpo forestale smascherò 655 passaporti equini falsi dall'Ungheria e dalla Romania, in due mattatoi della Regione, per centinaia di cavalli da corsa, in realtà italiani, destinati alla macellazione dopo essere stati sottoposti per anni a trattamenti sanitari particolari (talvolta anche dopanti), vietati per l'alimentazione umana.
Il business, bloccato dalle autorità, avrebbe fruttato guadagni illeciti per 20 milioni di euro e tra i denunciati ci furono sette veterinari pubblici e privati compiacenti, di sei province del Centro e Nord Italia. Mentre a Trani, sempre nel 2011, fu scoperto dalla guardia di finanza un mattatoio completamente abusivo con 300 chili di carne di cavallo.
ILLEGALITÀ DIFFUSA. Non sono i livelli di illegalità diffusa di Paesi dell'Est come la Romania, dove pare vengano inviati - a fine carriera - i cavalli di diverse nazioni per la macellazione.
Ma certo si tratta di scandali meno circoscritti di quelli, per esempio, scoperti negli ultimi anni in Francia o in Germania: mattatoi casalinghi di pecore o agnelli, messi in piedi con l'aiuto di qualche veterinario nelle piccole aziende agricole, o da qualche comunità di immigrati.
Per Primo Mastrantoni, segretario generale dell'Aduc, l'Associazione per i diritti dei consumatori, «il pericolo si annida soprattutto nei piccoli macelli». I commercianti dichiarano che l'animale non è stato trattato, si chiude un occhio e la carne poi si perde nel circuito. «Altre frodi», ricorda Mastrantoni a Lettera43.it, «possono avvenire durante la commercializzazione. Di certo, i dati sui macelli europei sono frammentati. Le ultime indagini risalgono a più di 10 anni fa e tutto, nel frattempo, può essere cambiato».
Nel nostro Paese oltre il 70% dei capi viene macellato al Nord
Nel 2000, furono proprio l'Aduc e la rete sindacale Cgil-Cisl e Uil a rilevare che, in Italia, su circa 2.200 mattatoi, solo 330 potevano fregiarsi del bollo Ue, con standard su condizioni igieniche e controlli veterinari. «L'industria della macellazione bovina si presenta ancora polverizzata, tecnicamente e tecnologicamente arretrata», concludeva lo studio, precisando che al conto andavano aggiunti circa 700 impianti di altre specie animali.
Con il rinfocolare dell'allarme sul morbo della mucca pazza (Bse), gli esperti notavano come, «nonostante una progressiva diminuzione degli impianti» (nel 1993 oltre 6 mila), accorpati in strutture di maggiori dimensioni, «l'Italia non fosse ancora ai livelli degli altri Paesi europei».
FANALINO DI CODA IN UE. Solo il 15% del totale presentava il bollo, mentre la Spagna era al 38%, la Francia al 77% e Olanda, Germania e Danimarca, per lo più con impianti medio-grandi, sfioravano il 100%. In prospettiva, se l'Italia si fosse adeguata al modello francese «sarebbero bastati 244 macelli» e «soltanto 40 seguendo l'esempio dei Paesi Bassi».
Da allora, risalire ai numeri aggiornati è pressoché impossibile, anche se il bollo è diventato obbligatorio. Allo stesso dipartimento Ue per la Salute dei consumatori, contattato daLettera43.it, si fa riferimento ai numeri nazionali delle singole filiere - dal manzo al pollo, dal maiale alla selvaggina - e non a una banca dati centrale di macelli e veterinari incaricati.
EFSA: CONTROLLI INADEGUATI. Lo stesso meccanismo settoriale è impiegato per i controlli. Tanto che, nel 2012, l'Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), sulla base di ispezioni a tappeto negli allevamenti e nei macelli di pollame, denunciò, a livello europeo, una rete di controlli e di tutele igieniche ancora inadeguate, per «batteri e possibili contaminazioni alimentari» nel comparto dei volatili.
Di certo, si sa che in Italia oltre il 70% dei capi viene macellato al Nord, tra Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte, dove si trovano anche i maggiori impianti di macellazione industriale.
In Germania - dove pure scandali da diossina e carenza di controlli nella filiera alimentare non mancano - i quattro maggiori macelli suini controllano circa l'80% dei mercato e il Paese è al primo posto in Europa per produzione di carne maiale e al secondo per carne bovina.
ETICHETTATURA PARZIALE. L'accorpamento, nonostante tutto, è garanzia di maggiore individuazione delle frodi. Per Alessandro Mostaccio, responsabile del settore alimentazione del Movimento consumatori, il nodo sulla trasparenza nei macelli europei non è di facile risoluzione, purtroppo, «perché pone problematiche giuridiche, biologiche e produttive diverse da Paese a Paese».
All'obbligo di etichettatura (cioè alla tracciabilità) delle carni fresche nell'Ue, in fondo, si è arrivati solo nel 2011, «ed è stato necessario lo scandalo della mucca pazza», ha ricordato Mostaccio a Lettera43.it.
Ma dall'elenco sono ancora esclusi coniglio e cavallo, oltre a vari derivati. E il miraggio dei consumatori è arrivare, un giorno, a un «sistema integrato di sicurezza alimentare».
Mercoledì, 20 Febbraio 2013