La politica come volontà e rappresentazione.
La politica non è realtà, è rappresentazione. Perdonate l’apertura molto schopenhaueriana, ma ciò che vorrei sottolineare in queste prime righe è che il ruolo (teorico) del Parlamento è quello di sintetizzare il pensiero di un abbondante mezzo centinaio milioni di persone in poche centinaia rappresentanti. Buon politico è colui che riesce ad incarnare contemporaneamente la prospettiva e le aspettative di un grande numero di cittadini, politico malizioso (anch’egli bravo, ma i un altro senso) è invece quello che riesce a dire ai cittadini cosa devono pensare e, poi ottenere voti su quegli stessi princìpi.
Indipendentemente da quale tecnica venga utilizzata (argomento interessante, ma che non tratterò ora), la caratteristica che un sistema parlamentare deve raggiungere per funzionare è la perfetta similitudine tra Parlamento e società civile, in cui il termine simile deve essere inteso in modo propriamente matematico-geometrico, ovvero come l’uguaglianza dei rapporti tra le parti dei due oggetti presi in esame.
Quando questa similitudine sussiste, incominciano i problemi. Se analizziamo i dati delle recenti elezioni siciliane, per esempio, ci viene spontanea una domanda: a parte l’astensione degli elettori mafiosi o simpatizzanti di Cosa Nostra -dato sul quale non mi azzardo a fare stime di grandezza-, chi non è andato a votare? La mia impressione è che la delusione da mala-politica non basti a spiegare il 19% e più di elettori in meno rispetto alla scorsa edizione (66,68%, contro il 47,42%), soprattutto considerando che il Movimento 5 Stelle, spiaggia dei delusi per eccellenza, ha raggiunto il 18.
Probabilmente mi sbaglio, ma credo che quell’abbondante 19%, sia costituito solo da un 1-2% da delusi dalla politica che hanno deciso di non votare nessuno, nemmeno il M5S; la maggioranza di questi, tenendo conto del discorso di apertura, credo non abbia votato a causa di alcuni vuoti, alcune mancanze, in quel rapporto di necessaria similitudine tra cittadini e rappresentanti. Ma cosa manca? Di quali idee politiche non esiste il corrispettivo votabile nella classe dirigente? I vuoti maggiori, in questo senso, sono due (e sono anche i luoghi politici in cui si stanno muovendo più cose negli ultimi giorni).
Da una parte, a sinistra, c’è un buco ideo-logico tra il Movimento 5 Stelle e l’asse Pd-Sel: manca, ad esempio, una forza potentemente di sinistra (ma post-comunista) che si opponga frontalmente al blairismo del Pd ma che, contemporaneamente, si proponga come forza costruttiva e propositiva prendendo le distanze da Grillo e soci; unitamente all’Italia dei Valori, una forza di questo tipo potrebbe raggiungere il 3-4% degli italiani. Dalla parte opposta, a destra, non c’è un vero e proprio vuoto, ma manca un polo moderato credibile e post-berlusconiano che sia in grado di proporsi al posto di Monti correggendone il tiro (o per lo meno promettendo di farlo in campagna elettorale), ma senza avere la necessità di osteggiarne l’opera per partito preso (e senza esserne necessariamente dipendente come Casini). Questa grande forza rappresentante ha un corrispettivo reale intorno al 14-15% dei suffragi, che sommati ai 3-4% di cui sopra e ai “delusissimi” fanno 18-19%, relegando il voto “mafioso” al restante 0,5%. Mi pare verosimile.
Dal lato sinistro, come ho anticipato, è l’Italia dei Valori a dover prendere l’iniziativa, perché è l’unica forza in quella zona desolata e, ormai fuori dalla “coalizione vastese”, è a rischio per lo sbarramento (ma ci sono uno o due punti percentuale da giocarsi). Le vie possibili sono diverse e passano tutte, ovviamente, da quello che deciderà di fare Antonio Di Pietro, centro delle attenzioni nell’ultima settimana: al di là del fato che ha dichiarato di voler «collaborare con Grillo», rimarrà nel partito che ha fondato, o se ne staccherà per creare un nuovo movimento personale? Se rimarrà, ci sarà una scissione -magari guidata da Donadi- per portare parte dell’Italia dei Valori dentro il Centrosinistra di Pd e Sel senza l’Antonio nazionale? Oppure l’Idv resterà dov’è e cercherà solo di allargare i suoi orizzonti facendo da ponte tra il Centrosinistra e i Cinque Stelle e/o diventando polo aggregativo per nuovo formazioni? Io credo che, alla fine, i Radicali andranno ad unirsi al Centrosinistra, ma gli operai delusi dal montismo (magari vicini alla Fiom) e gli universitari della sinistra radicale, soprattutto in grandi città come Milano, Napoli e Roma, rappresenterebbero dei buoni alleati per l’ex PM (soprattutto se uniti in movimenti nuovi in cui potrebbe confluire l’esperienza di qualche Comunista Italiano, ex Rifondazione e simili), il cui partito ha un baricentro troppo spostato sulla questione giustizia per essere anche espressione di certe categorie.
A destra, invece, il gioco che si configura è molto delicato, e sembrerebbe essere un superamento di Berlusconi da parte del Pdl tramite le primarie per trovare un nuovo candidato-segretario e, contemporaneamente, attraverso un riavvicinamento a Monti (che sarebbe inteso come segno di responsabilità e di distacco dalla vecchia matrice populista). Facendo questo, però, è fondamentale tenere rapporti di non-ostilità con Berlusconi, in modo che il 10-12% di voti che questi, per natura, si porta dietro possano essere indirizzati dentro il nuovo Pdl moderato che, a questo punto, il Cavaliere potrebbe davvero appoggiare dall’esterno. Con le scuse di ieri per la mancata rivoluzione liberale (osteggiata dalla crisi) e il riavvicinamento ad Alfano, la direzione sembrerebbe questa, ma la partita è ancora aperta, da tutte e due le parti.