di Jacopo Fo
Vendevo generatori solari nelle campagne tra Siena e Citta' di Castello.
Giravo a bordo del mio furgone giallo alimentato da un micro gassificatore di scarti legnosi. Era un lavoro che mi piaceva. Ogni generatore che riuscivo a piazzare in una fattoria o in un ecovillaggio era un piccolo calcio negli stinchi al sistema delle multinazionali del petrolio e della guerra.
In un tardo pomeriggio mi trovai a risalire una stradina di terra battuta, ripida come il collo di un asino. In cima c'era una casa colonica di pietra dalla forma stranamente ottagonale. "Podere Falco", diceva una scritta dipinta sopra un grande masso di pietra lavica, quasi nera. I miei clienti li trovavo inviando centinaia di mail ad aziende agricole e agriturismi, centri culturali, comunita' ecologiche o religiose. Ex comunisti, buddisti, cristiani risvegliati, protestanti, inarco-hippy. Chiunque fosse fuggito dalle citta' con l'idea di vivere in maniera diversa era un mio potenziale cliente.
Il mio furgone faticava a prendere la salita per il verso giusto. I sassi schizzavano da sotto le ruote facendo perdere la presa dei pneumatici sul terreno. Spingendo lo sguardo in cima all'altura vidi che il cielo si stava guastando e si addensava la tempesta. Lo trovai strano perche' fino a quel momento era stata una giornata serena. Arrancavo su per il pendio tenendomi fisso sulla prima marcia, senza variare la pressione sul pedale del gas. Sulle strade bianche in salita, se non mantieni regolare la velocita', finisci con le ruote che perdono aderenza.
Arrivato alla casa notai che il tramonto era arrivato d'un tratto, senza che me ne accorgessi. Era quasi buio quando mi avvicinai alla porta massiccia. Stavo cercando il campanello in mezzo all'edera che avvolgeva la parete esterna quando la porta si spalanco' inondandomi di luce. Misi a fuoco l'immagine e vidi davanti a me una donna di una bellezza strana e imbarazzante, i capelli neri, gli occhi neri, un viso ovale, naso deliziosamente minuto e labbra piene. Ma c'era qualche cosa di inspiegabilmente asimmetrico nel suo viso. Era vestita con un abito tra il blu, il grigio e il nero, una specie di tunica che poteva fare di lei una giovane figlia dei fiori con la passione per l'oriente o una donna sbucata da qualche meandro medioevale.
Mi presentai: "Buona sera, sono Flavio Santagata, vi ho scritto per proporvi l'acquisto di un generatore solare..."
Lei mi sorrise, provocandomi un fremito di emozione mentre mi faceva accomodare in una grande cucina-soggiorno. Intanto che le descrivevo i vantaggi della tecnologia rivoluzionaria che ero venuto a proporre, non potei non fantasticare sui possibili sviluppi di quell'incontro. In effetti nel mio lavoro a volte capitava di arrivare in case nelle quali le donne si interessavano piu' al venditore che alla merce proposta. Un marito in citta' o lontano nella macchia a lavorare offrivano opportunita' di nuove esperienze, in quei luoghi piuttosto monotoni. Alcune afferravano al volo l'occasione con grande soddisfazione da parte mia. E piu' di una volta ero capitato in comunita' che praticavano una forma non teorica di liberta' sessuale o che avevano un senso sacro e molto aperto dell'ospitalita'. Ma quella donna non mi degno' di nessun segnale che comprendesse qualche forma di invito, di approccio o di promessa.
Mi ascolto' attentamente mentre le spiegavo la differenza tra un generatore solare Stenton e un pannello fotovoltaico tradizionale. Lo Stenton usa il calore dei raggi per dilatare alcune barrette di metallo, poi raffreddate da una reazione chimica indotta anch'essa dal calore del sole. Si produce cosi' un susseguirsi di allungamenti e contrazioni che hanno una potenza molecolare e producono una quantita' di energia notevole.
Lei decise di acquistare 3 generatori grandi, ognuno della potenza di dieci chilowatt. Mi stupi' la richiesta di una tale potenza elettrica. Vendere piu' di un sei chilowatt in un piccolo podere e' raro. Provai a chiederle se ne era sicura. Per tutta risposta mi firmo' un assegno e mi chiese di installare subito i generatori. Ne avevo giusto tre nel furgone. Impiegai un'ora a scaricarli e assemblarli nell'annesso dietro a casa. Poi collegai i cavi elettrici al contatore.
A quel punto era ormai ora di cena. Fuori diluviava. La donna mi disse che a momenti lei e il marito si sarebbero seduti a tavola e mi invito' a mangiare con loro. Mi offrì anche ospitalità per la notte, così che il giorno seguente avrei potuto terminare il mio lavoro. Dopo aver venduto tre generatori da dieci chilowatt e verificato sul mio portatile che l'assegno fosse coperto, mi sembrava scortese rifiutare. E poi mi piaceva l'idea di restare ancora un po' al cospetto di quella bellezza. Se fosse dipeso da me avrei potuto restare la' anche per anni. Ma probabilmente il marito non sarebbe stato d'accordo...
La donna, che aveva firmato l'assegno col nome di Damiana Assati, mi fece accomodare a tavola offrendomi un aperitivo leggermente alcolico che sapeva di frutti sconosciuti. Quando il marito entro' nella stanza mi stupii della sua enorme corporatura. Era piu' alto di due metri e largo come un armadio a due ante. Mi saluto' con cortesia ma senza calore, scrutandomi con due occhi piccoli e ravvicinati sotto a sopracciglia spesse e unite. Non era certo un uomo gradevole e mi chiesi quale qualita' nascondesse per tenere vicino a se' una donna cosi' attraente, in un posto sperduto come quello. Mi venne in mente la storia della bella e della bestia.
In compenso la cena fu deliziosa. Non avevo idea di quando la donna l'avesse cucinata. Si assentava per pochi istanti e tornava dalla cucina con piatti fumanti. Stupito le chiesi se ci fosse una cuoca ai fornelli. Lei rise e disse che in quella casa vivevano solo loro due. Finita la cena il marito si ritiro' scusandosi perche' doveva rispondere ad alcune e-mail.
Restai seduto a finire un bicchiere di grappa mentre Damiana sparecchiava. Osservavo i suoi movimenti aggraziati non riuscendo a non immaginarla nuda. Provai a chiedermi di che colore potessero essere i suoi capezzoli sotto gli strati di indumenti. Per un istante lei si blocco' e mi guardo' come se avesse letto nei miei pensieri. Nel suo sguardo lessi un'angoscia infinita. Subito lei interruppe il contatto con i miei occhi. Appoggio' il vassoio che aveva tra le mani e disse: "L'accompagno alla sua camera."
Si incammino' oltre la porta, prendendo le scale ampie che salivano a destra. Fu un'uscita rapida e dovetti alzarmi alla svelta e affrettarmi a seguirla. Sentivo la sua agitazione. Giunta in cima alle scale percorse il corridoio mentre le luci si accendevano automaticamente al suo passaggio. Il suo modo di camminare somigliava a una danza. Si fermo' di fronte all'ultima porta a destra. La socchiuse indicandomela: "Questa e' la sua stanza." Non aggiunse altro, anche se ebbi la sensazione che avrebbe desiderato farlo. Sentivo in lei forze contrastanti dibattersi. La stanza era ampia, ben illuminata e aveva un odore gradevole di fiori secchi. Una stretta porta immetteva in un bagno rivestito di piastrelle blu scuro fino al soffitto laccato di rosso. Mi tolsi i vestiti, mi sciacquai e mi misi a letto spegnendo la luce. Mi addormentai velocemente.
Stavo sognando qualche cosa di inquietante quando venni svegliato da un tocco leggero sulla mia fronte. "Che succede?" chiesi al buio. Per tutta risposta sentii la voce di lei che mormorava '"Non dire una parola!" Scivolo' nel letto, era nuda. Quello che segui' fu un amplesso nel quale persi ogni coscienza razionale travolto dalle emozioni e dal suo modo di amarmi, selvaggio e quasi disperato, famelico.
Improvvisamente la porta si spalanco', la luce si accese, il marito entro' e io vidi torreggiare su di noi la massa enorme del suo corpo. Fece un movimento rapido come lo scatto di un serpente e mi trovai a sentir bruciare tutti i nervi del mio corpo sotto la pelle. Ero completamente paralizzato. Potevo muovere soltanto gli occhi. Vidi che Damiana si allontanava da me senza guardarmi in viso. Se ne stava, nuda, in fondo alla stanza quasi avesse perso ogni volonta' e interesse. Osservava suo marito mentre si avvicinava a una parete e la spingeva di lato apparentemente senza sforzo. Intravvidi una specie di stanzino dove era posta una poltrona metallica simile a quella di un dentista. L'uomo mi sollevo' come fossi stato un bambino, mi sistemo' sulla seduta e inizio' a legarmi e ad attaccarmi fili e tubi a varie parti del corpo. Degli aghi mi penetrarono le carni mentre condotti flessibili mi entravano nella bocca, nel naso e nell'ano. Quel bestione agiva in modo asettico, professionale, senza emozioni. Ero furente ma non potevo reagire in nessun modo. Quando ebbe finito fece scorrere di nuovo la parete e io mi trovai da solo al buio in quella situazione assurda. Mentre la parete stava per serrarsi intravidi per un istante gli occhi della mia amante cercare i miei per un ultimo contatto. Poi fu il buio.
Non potevo sapere quanto tempo fosse passato. Cercavo di arginare la paura e l'ansia che mi attanagliavano usando le molte tecniche che avevo imparato per gestire le emozioni negative. Ma era difficile e dovevo affrontare crisi di panico che mi agitavano costringendomi a immaginare le possibilita di sviluppo piu' terribili. Ero completamente in balia di forze sconosciute e non avevo la minima idea di cosa intendessero fare di me. E mi sembrava assurdo e incomprensibile l'essere tenuto prigioniero la' dentro. Ma la stessa esistenza, in quella casa, di quella stanza nascosta dietro a una parete scorrevole mi pareva intrinsecamente piena di presagi di orrore. Passarono ore o forse giorni senza che succedesse niente. Poi accadde che la parete si mosse, la luce mi feri' gli occhi e la mia mente venne risvegliata dal torpore animale nel quale si era perduta. Faticai a riconoscere la mia ex amante. Ma poi non potei non notare che era bellissima. Aveva con se' una bacinella di acqua e una pezza di tessuto.
(Parte seconda)
E cosi' vagai per gli spazi infiniti tra i pianeti, nelle terre di confine tra il passato e il futuro. E scoprii che potevo visitare regioni lontane e vedere come vivevano esseri di altre galassie prima che si scoprisse come fondere i metalli e dopo che furono inventate macchine che sapevano tradurre i pensieri in immagini. Ed entrai nei corpi di altre creature e sentii le loro sensazioni spiando le emozioni che sconvolgevano il loro respiro. E fui un guerriero Hang che combatteva enormi insetti senzienti e amava una donna dalla carnagione blu. Fui un giove, che viveva nelle campagne fuori Acerra, la' dove ci sono montagne di rifiuti tossici. E lessi dai suoi occhi un documento ufficiale dove era scritto che la' c'era piu' diossina che a Seveso. E mentre morivo avvelenato mi chiedevo perche' Seveso fosse stata evacuata mentre nelle campagne inquinate di Acerra nessuno era stato sgombrato, nessuno aveva neppure portato via quell'immondizia che uccide.
In quel tempo la mia regione era governata da un uomo famoso per la sua probita', un paladino dei deboli. Ma egli non fece nulla per impedire che la diossina ci uccidesse tutti insieme alle nostre pecore e alle nostre bufale. Morendo non riuscivo proprio a spiegarmi perche' non avessero mandato uomini con tute bianche impenetrabili a sgombrare uomini e animali, a recintare la zona e a cospargere il suolo con schiuma assorbente.
Fui un vecchio Eburone, l'antico popolo celtico, e vidi la mia gente sterminata fino all'ultimo essere dai banditi protetti dai soldati di Giulio Cesare. E poi fui una bimba, che studiava la gloria di Roma e l'augusta esistenza dei cesari. Una bimba che poi scopri' di essere ebrea e venne deportata a Therensiestadt, dove una donna strana, Friedl Dikers-Brandeis, prima di passare attraverso la camera a gas, ottenne dal direttore del campo di sterminio carta, colori e pennelli per poter insegnare ai bambini condannati a morte a dipingere. Ma quella bambina sopravvisse e divento' una grande pittrice e si ricordo' sempre la frase scritta dalla sua insegnante: "In questo momento terribile l'unica cosa che mi sembra veramente importante e' l'arte."
E fui un soldato italiano in Serbia. E mi chiedevo perche' i soldati inglesi venissero li' dove noi eravamo appostati, con l'elmetto e la giacchetta mimetica, mentre loro avanzavano con tute spaziali anti radiazioni. Quando i primi quaranta di noi morirono di una rara forma di tumore, si inizio' a capire cosa preoccupasse gli inglesi: li' dove noi eravamo dislocati, con addosso soltanto la tuta mimetica, avevano sparato con proiettili all'uranio impoverito. Tutti lo sapevano. Anche il capo del nostro governo lo sapeva. Anche lui era conosciuto come un paladino del popolo... Ma nessuno fece niente per impedire che restassimo contaminati. E cosi' anch'io morii ascoltando le mie ossa esplodere lentamente.
E fui un vecchio vietnamita che per combattere i soldati americani si procuro' una divisa statunitense e costrui' un manichino dotato di un braccio che impugnava un bastone. Inizio' a girare per la foresta e a nascondersi in buche per terra e con una corda muoveva il braccio del manichino in modo che colpisse un alveare. Cosi' insegno' a milioni di api ad attaccare chiunque vestisse quella divisa. E le api lo insegnarono alle loro figlie.
E fui una giovane somala, stuprata con tante altre dai soldati italiani ai tempi di internet. Ci tenevano in un capannone e ogni sera venivano a prendere un gruppo di noi e ci violentavano decine di volte. Anche i giornali italiani parlarono di questi stupri. Una giornalista, una notte, era stata testimone di quell'orrore e ne aveva scritto. E non c'erano solo stupri. Anche torture con i cavi elettrici su prigionieri legati per terra con le braccia a croce. Ci fu un piccolo scandalo. Poi la giornalista fu uccisa e tutto fu presto dimenticato.
E vidi altre epoche e altre terre. Fui con gli indiani Seminole, uno di quei nativi americani che non furono mai sconfitti dalle giubbe blu. Ma nessun regista di Hollywood racconto' mai la nostra storia. Neanche quelli piu' di sinistra.
E vagai sui monti di Hillion, dove vivono gli uomini dalla pelle verde come lo smeraldo. E fui un servo della gleba Urriano, tenuto in schiavitu' dai Dalton con quattro braccia che maneggiavano spade di ossidiana.
E vidi le navi della regina di Inghilterra, ai tempi delle locomotive a vapore, cannoneggiare la citta' cinese di Nanchino per conquistare la liberta' di vendere l'oppio ai cinesi.
E navigai sulle astronavi prigione di Surma, immense scatole che vanno alla deriva nello spazio mentre gli umani che trasportano si divorano tra di loro.
E iniziai a chiedermi perche' l'umanita', in tutte le galassie, fosse cosi' folle. Perche' l'uso della capacita' di pensare non avesse dato a nessuna specie "intelligente" la capacita' di scegliersi governanti onesti, intelligenti e generosi.
E iniziai a chiedermi cosa ci fosse dentro di noi di sbagliato.
E fui un bramino che si interrogava sulle scritture e piangeva contemplando la carenza di pieta'.
E fui un gladiatore mandato a combattere contro i leoni di Baath, nell'arena, per divertire i cittadini del Potentato.
E poi entrai nella mente di Oklan la strega, che meditando sul significato dei 22 simboli comprese intimamente la sacralita' dell'esistenza. Essa vide chiaramente che ogni istante era qualche cosa di travolgente proprio perche' la vita e' cosi' aleatoria, fragile e momentanea. Se lo capisci provi un senso di vertigine. A essere viva.
E diventai un vecchio commerciante di libri di Axxion che studiava tutte le manifestazioni dei demoni. E intuii che qualche cosa scattava in una parte nascosta della mia mente. E restai dentro di lui e lo spinsi a leggere tutto quanto era stato scritto su cio' che questi mostri sono capaci di fare.
Intanto il mio corpo era immobile, nella cella dove non arrivavano ne' luce ne' suoni. Non potevo sapere da quanto tempo fossi imprigionato.
Solo ogni tanto lei, di cui non ricordavo piu' neppure il nome, veniva da me riempiendo quella stanza di luce, mi lavava con una pezza bagnata, risvegliava la mia virilita' e poi prendeva il suo piacere unendosi a me.
E una notte lessi sopra un libro di carta di riso, dell'esistenza di un demone che aiutato da una succube attirava giovani uomini nella sua dimora e li imprigionava per succhiare loro l'energia vitale fino a che, lentamente, morivano. E allora ebbi una grande paura. Perche' anche se la materia e' illusione e solo le emozioni sono reali, non ero pronto a finire di vivere. Cosi' costrinsi il mio ospite a uscire di casa nella notte e a vagare per i sobborghi della citta' alla ricerca di una strega che sapesse come sconfiggere quel tipo di demone. E Ouluck la Nera, mentre esplorava il sub-universo in stato di possessione, mi rivelo' che a causa delle inestricabili leggi che regolano le corrispondenze tra microcosmo e macrocosmo e a causa degli obblighi di gemellizzazione ai quali ogni entita' esistente e' sottomessa, vi era un solo modo per sconfiggere il demone e liberare il prigioniero. Bisognava trovare il suo gemello che viveva esattamente a 1111 anni luce di distanza in direzione di Vega.
Bisognava sfidare questo gemello e batterlo. Fu allora che abbandonai il corpo del vecchio commerciante di libri. E vagai per gli empori di schiavi alla ricerca di un guerriero delle province che fosse abile con tutte le armi e privo di paura. Penetrai la sua mente e lo indussi a cercare il demone gemello. E alla fine lo trovai. Era un gladiatore famoso a Shantoon. Nessuno poteva fronteggiarlo e lui godeva divorando i corpi dei suoi nemici. E lo attaccai fuori dall'arena, cogliendolo alle spalle in un vicolo. Ma la reazione del demone fu spaventosa e il guerriero che mi ospitava fu travolto e fatto a pezzi. Mentre spirava io usai però la sua bocca per ringhiargli in faccia: "Tornero' per avere i tuoi occhi"!
Dovetti armare le mani di dieci guerrieri che furono spazzati via. E di altri dieci che fecero la stessa fine. Capii che nessun uomo avrebbe potuto sconfiggere quel mostro. Cosi' presi il corpo di una giovane donna e la indussi ad avvicinare il demone gemello facendogli credere che potesse diventare sua succube. E dopo che il demone l'ebbe posseduta lei aspetto' che si addormentasse e poi appoggio' sulla sua fronte un cubo di rame nativo. Cosi' il suo cranio esplose.
Istantaneamente mi ritrovai nella mia cella. Ma i lacci d'acciaio che mi immobilizzavano erano aperti. Mi liberai dei tubi e degli aghi, barcollando dopo tanta immobilita', mi appoggiai con tutto il mio peso alla parete scorrevole e riuscii a smuoverla. Ero libero. Scesi le scale con grande difficolta', aprii la porta e mentre uscivo, tremando per lo sforzo, vidi il demone che nel soggiorno si trasformava in una piovra crescendo a dismisura. Mi misi a correre. La casa esplose. Quasi non potevo crederci quando vidi che il mio furgone giallo era ancora la'. La terra si stava aprendo, le fiamme si levarono dalla casa. Misi in moto.
Stavo per partire quando vidi affiancarsi al finestrino la succube del demone. Piangeva. Mi imploro' di portarla via. Ingranai la marcia, lasciai andare la frizione e fuggii. Avrei voluto portarla con me ma non ero abbastanza coraggioso. Nessuno e' capace di essere quello che vorrebbe essere...
Jacopo Fo