Ecco chi vuole il suicidio dell’Europa (e dell'Italia)
lunedì 14 maggio 2012
Il ministro delle finanze tedesco, Wolgang Schäuble, ha dichiarato venerdì che la Grecia può lasciare l’area dell’euro, viste le sue condizioni economiche. Queste parole sono terribili, ma comprensibili se si pensa alla sfida elettorale a cui la Cdu è stata sottoposta proprio ieri nel più importante e popoloso Land tedesco: la Vestfalia-Renania. Poi non mi si venga a dire che il populismo è un tratto solo italiano: ne abbiamo viste ondate alte come tsunami durante la campagna elettorale francese e le stesse onde si stagliano all’orizzonte in Germania.
La crisi della classe politica tedesca è evidente. Crisi di prospettiva e di mancata autonomia dalla società civile. Quindi crisi pedagogica. Se la politica non orienta, muore. Su questo potremmo scrivere intere pagine e non è il caso di farlo qui. Ma la cosa più stupefacente e terrificante è l’intervista di quella controfigura di Groucho Marx da piccolo, ossia il Presidente della Commissione europea José Manuel Barroso, che si può riassumere in questo modo: i greci fanno parte di un club; ci sono delle regole e se i membri di un club non rispettano le regole debbono lasciare il club; l’Europa è un club e quindi i greci devono andarsene.
Qui cominciamo a spaventarci. Parla il capè della cosiddetta tecnocrazia europea, il quale non sa che nel Trattato di Maastricht non è prevista l’uscita di uno dei componenti del club dal club medesimo, dimostrando di quale levatura tecnica sia appunto la suddetta tecnostruttura. Anche qui la boria dei tecnici insieme alla loro incompetenza è evidente, quindi noi italiani non continuiamo a strapparci le vesti se abbiamo i tecnici che ci meritiamo. C’è di peggio.
Tutti questi signori non si rendono conto che la Grecia è un componente storico della Nato e anche se non è più un antemurale contro il comunismo è una piattaforma strategica verso il Medio Oriente in fiamme e un avamposto storico verso i mari caldi della Russia. Tanto più ora che i russi rischiano di perdere la storica base navale che hanno in Siria. Aggiungo che i cinesi si sono già comprati buona parte del porto d’Atene e il quadro è completo. Se la Grecia dovesse mai uscire dall’euro, la terra di Pericle diverrebbe con Cipro dominio incontrollato delle mafie internazionali e avamposto territoriale della criminalità che marcerebbe più spedita verso il cuore europeo.
La crisi europea con la questione greca sta entrando in una nuova prospettiva. Dopo quella dei fallimenti bancari, che hanno provocato la crisi dei debiti sovrani, la mancanza di una strategia keynesiana e il dominio deflazionistico tedesco stanno ponendo le basi per una gigantesca crisi della legalità europea di una tale portata che gli accordi di Schengen mi ricordano la linea Maginot e le truppe della Wehrmacht, il crollo della Francia e il trionfo di Petain. Barroso è il nuovo Petain e non se ne accorge. Forse non sa neanche chi era Petain e questa è la prova che la storia non insegna mai niente a nessuno e che tutte le generazioni devono compiere gli stessi errori.
La crisi economica ora sale di livello, oltre alla Grecia in grave pericolo è la Spagna, dove la nazionalizzazione delle vecchie caixa de arroyos è ormai inevitabile. Il recente fallimento di fatto del gruppo Bankia pone all’ordine del giorno una nuova ondata di nazionalizzazioni bancarie in Europa. La rinegoziazione del Trattato di Maastricht è all’ordine del giorno. Non potranno più esserci tetti ai deficit. La salvezza delle basi strutturali non dell’economia ma delle società europee lo imporrà. In questa luce bene ha fatto il governo Monti ad avanzare la proposta di non considerare nelle medie di deficit gli investimenti pubblici diretti alle infrastrutture, unitamente ai deficit in cui si può incorrere da parte delle pubbliche amministrazioni verso i privati. Se lo dico io c’è da crederci.
È in questa situazione che si colloca la vittoria di Hollande in Francia. L’Italia non si faccia illusioni, però. Il potere europeo è saldamente nelle mani del nocciolo franco-tedesco: litigano ma sono costretti a parlarsi e a decidere insieme. Non sono più i tempi del Mitterand del 1981 che nazionalizzò banche e assicurazioni, salvo poi fare un bel passo indietro due anni dopo. La rete europea costringe tutti a fare dei passi insieme. Quindi la vittoria di Hollande può essere un primo importante avvenimento che costringerà la Merkel, se Hollande non si spaventa delle minacce dell’oligopolio finanziario mondiale, a cambiare politica tutti insieme: dalla politica deflattiva a una tendenzialmente inflattiva che, come ci insegnano i i testi di Ben Bernanke, si può benissimo ormai tenere sotto controllo (e Bernanke non è l’ultimo accademico, né l’ultimo banchiere centrale del mondo).
Naturalmente il passo avanti che deve essere fatto è la comprensione, sulla scia della vittoria dei socialisti francesi, che il nocciolo duro deve trasformarsi in un carciofo, con la corona di foglie franco-tedesche, circondata dalle corone dei Paesi che si affacciano sull’Europa baltica - Olanda in primis - e quelle dei Paesi che si affacciano nel Mediterraneo, Italia e Spagna, più naturalmente l’isolato Portogallo. Solo la solidarietà europea può salvare l’Europa, solo una superiore visione teleologica può far dimenticare gli errori del passato, errori greci compresi.
La solidarietà implica anche che i singoli Paesi possano votare sinché non raggiungano un accordo, come accadrà in Grecia. Se non si capisce questo non ci si prepara ad affrontare con la solidarietà l’ulteriore passo sul cammino della crisi: quello della disintegrazione politica dei partiti tradizionali. Che ne dice la signora Merkel, che ne dice anche l’Spd del crollo dei liberali e del trionfo dei Piraten?
La tragedia è appena iniziata. Tremo quando penso che a recitare sul palco saranno attori come Barroso.