lunedì 28 gennaio 2013

Antonini: prima del mio stipendio, la verità su Viareggio


Antonini: prima del mio stipendio, la verità su Viareggio


Mi restituite il lavoro? No, grazie. Prima di tutto, serve la verità sul rogo di Viareggio, quei 32 morti e 25 feriti del 29 giugno 2009. Riccardo Antonini è irremovibile: rifiuta l’accordo sul reintegro, già accettato dall’ad delle Ferrovie, Mauro Moretti, e vuole un regolare processo sul suo caso: licenziato per aver detto verità scomode su quel disastro. Il rogo di Viareggio, scrive Claudio Giorno sul suo blog, puzza di strage di Stato: mentre gli apparati di potere si coprono, per il momento a pagare è solo chi si è dato disponibile a testimoniare di fronte ai giudici le discutibili “scelte aziendali” all’origine del disastro. Tagli pericolosi, che forse nessun giudice riuscirà a individuare come causa diretta della morte di tante persone innocenti, ma che «sicuramente sono alla base dello stato di abbandono in cui nelle ferrovie italiane versa ogni settore che non sia funzionale agli appalti sempre più costosi del progetto Alta Velocità».
Riccardo Antonini, continua Giorno, è un macchinista ferroviere della vecchia guardia, di quelli che, con deferenza, i colleghi chiamavano Riccardo Antonini“maestro”. Ha i capelli bianchi, ma non è vecchio: «Appartiene a quella generazione cui dobbiamo i diritti», e per cui «l’etica dellavoro e la responsabilità civile debbono camminare perfettamente paralleli: proprio come le rotaie, solidamente ancorate alle traversine perché il treno possa viaggiare sì veloce, ma senza deragliare». Antonini? Una sorta di eroe civile, in quest’Italia scassata: onnipresente nelle manifestazioni di Viareggio ma anche all’Aquila di fronte alle macerie della “casa dello studente”, o a Milano durante l’ultimo congresso nazionale di “Medicina Democratica”. In giro per l’Italia, in servizio permanente: non si tira mai indietro, Riccardo, «dovunque lo si inviti a portare la sua testimonianza di uomo giusto».
Antonini è stato licenziato dalle Ferrovie il 7 novembre del 2011 «non per una grave negligenza – ricorda Claudio Giorno – ma per aver testimoniato la verità al processo in corso contro l’amministratore delegato di Fs ed altre intoccabili figure della catena di comando», fino ai responsabili della manutenzione degli impianti. Dirigenti e operatori a cui viene imputato un qualche ruolo nel terribile incidente: una vera e propria strage, «una delle tante stragi di questo paese di cui s’è persa la memoria». Storie atroci, «che debbono essere trasmesse ai giovani senza poter corredare il racconto coi nomi di chi ne sono stati i responsabili», commenta Giorno con amarezza. E allora, “Riccardo non mollare”: «E’ la frase che più volte mi sono sentito ripetere in questi mesi», scrive Antonini sulla sua mailing list, ormai una comunità di fedeli supporter. Suo malgrado, aggiunge Giorno, l’ex ferroviere «è diventato non solo un testimone in un normale processo che dovrebbe servire almeno a individuare le vere negligenze e i veri negligenti, ma un Viareggio, la disperazione dei familiari delle vittimesimbolo di chi non si vuole arrendere alla richiesta sempre più arrogante di omertà che viene dagli oligarchi delle aziende di Stato».
Uomini di potere, «che sempre più interpretano il loro ruolo col pugno di ferro, stroncando ogni accenno critico possa venirgli da sottoposti e persino dai cittadini», non solo vittime di disservizi ma anche di tragedie familiari devastanti e non risarcibili, come nel caso di Viareggio. Un comportamento tanto più sgradevole, continua Giorno, perché lo stesso Moretti ha raggiunto il vertice supremo delle Fs dopo aver militato a lungo nella Cgil come dirigente sindacale. «E chissà come deve avergli dato fastidio che proprio all’etica del sindacato si richiami continuamente Antonini», scrive Giorno, che cita i passaggi più forti dell’ultima esternazione pubblica di Riccardo: «Ho sempre dichiarato che questo licenziamento è un’offesa alle vittime, ai familiari ed alla città di Viareggio, oltre ad essere una vile intimidazione nei confronti di delegati Rls e lavoratori impegnati concretamente e coerentemente sul fronte della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro e nel territorio».
«Ogni rappresaglia nei confronti di chi si “spende” per questi diritti è un’aggressione all’intera collettività», sostiene Antonini. «Il licenziamento era un possibile conto da pagare proprio sulla base dell’esperienza di questi anni in ferrovia». Altri ferrovieri «sono stati intimiditi, minacciati, sanzionati con multe, sospensioni, licenziamenti». Lui non ha taciuto, non ha voluto «sottostare ad alcun ricatto», proprio in memoria delle vittime e dei loro familiari. L’enorme solidarietà individuale e collettiva ricevuta fin dal primo giorno del licenziamento – da parte di lavoratori, delegati sindacali, associazioni, Consigli comunali e provinciali – lo hanno aiutato a Mauro Morettitener duro: «Hanno rafforzato la mia convinzione a non mollare e di essere dalla parte giusta». Tutti con lui: “Riccardo, non mollare”.
Claudio Giorno, che segue il caso di Antonini da un’altra trincea ferroviaria – quella della valle di Susa in lotta contro il Tav Torino-Lione – teme che assisteremo ad «un tentativo dilatorio da parte dei gerarchi delle Ferrovie», perché quegli uomini di potere «non sono in condizione di accettare che l’esempio di Riccardo possa far proseliti». Il rischio? Evidente: la “resistenza” civile di Antonini può «aprire altre crepe nel muro di gomma eretto in questi anni per trasformare quella che era una rete di stazioni a servizio del territorio nella più grande “stazione appaltante” del paese», ormai «al servizio delle banche e della politica, che sempre più si scambiano i ruoli depredando i cittadini», magari fino a metterne a repentaglio la vita, come nel caso di Viareggio. «Per questo Riccardo non ha mollato e per questo Riccardo non mollerà».

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