mercoledì 6 febbraio 2013


Finmeccanica, la super-holding per la guerra che ci attende


Per metà “bancomat” destinato ad alimentare il sistema di corruzione politico nazionale, e per metà centro dispensatore di incarichi, consulenze e prebende per mogli, amanti e figli dei potenti di turno. Dopo la Fiat, Finmeccanica è la seconda holding industriale d’Italia: produce aerei, elicotteri, locomotive, carri armati, missili, satelliti e centri di telecomunicazione, con una spiccata vocazione per gli strumenti di morte da esportare ad ogni esercito in guerra. Dal 2009 è tra le dieci regine del complesso militare industriale mondiale e ha intrecciato partnership con i giganti d’oltreoceano moltiplicando ordini e commesse. Una gallina dalle uova d’oro per manager e azionisti, inclusi il ministero dell’economia e delle finanze, che ancora controlla il 30,2% del pacchetto azionario.
E’ il ritratto che di Finmeccanica traccia Antonio Mazzeo nel suo blog, in un intervento ripreso da “Megachip”: «Grazie ad un complesso meccanismo di Il caccia F-35scatole cinesi, rigorosamente con sedi all’estero, Finmeccanica gode d’immensi privilegi fiscali al limite dell’evasione», finendo anche al centro di indagini giudiziarie «come quella sugli affari a suon di tangenti tra l’Enav, l’ente nazionale per l’assistenza al volo, e la controllata Selex Sistemi Integrati che ha costretto il potente amministratore delegato di Finmeccanica Pier Francesco Guarguaglini e la moglie Marina Grossi (ad di Selex) ad abbandonare prematuramente i profumatissimi incarichi». Il successore di Guarguaglini, Giuseppe Orsi, «è indagato per corruzione internazionale e riciclaggio relativamente alla fornitura di 12 elicotteri Agusta-Westland alle forze armate dell’India», una commessa che secondo i magistrati romani avrebbe comportato il versamento di tangenti per 41 milioni di euro ad alcuni funzionari indiani e di 10 milioni alla Lega di Bossi.
Sempre a Roma s’indaga sulle presunte tangenti versate durante la vendita al Comune di bus prodotti da Breda-Menarini, altra controllata Finmeccanica. E pure sulle consulenze “inutili” che sarebbero state affidate a Lisa Lowenstein, cittadina statunitense ed ex moglie di Vittorio Grilli, ministro dell’economia del governo “tecnico” diMario Monti. Nello scorso ottobre è stato ordinato l’arresto dell’ex direttore commerciale di Finmeccanica, Paolo Pozzessere, nell’ambito dell’inchiesta sulle presunte tangenti per la vendita di aerei ed elicotteri a Panama e Russia e, con Fincantieri, di unità navali al Brasile (nelle indagini è stato coinvolto anche l’ex ministro Claudio Scajola), mentre un mese prima era finito in manette Pierluigi Romagnoli, ex manager Alenia-Finmeccanica e responsabile export di Eads, il consorzio internazionale di cui l’holding è socia nella produzione dei cacciabombardieri “Eurofighter Typhoon”. Romagnoli è stato accusato diVittorio Grillibancarotta fraudolenta e riciclaggio: nel mirino degli inquirenti, la vendita sospetta di 15 aerei alle forze armate austriache.
«L’ultimo anno – continua Mazzeo – è stato uno dei più difficili della storia di Finmeccanica anche dal punto di vista economico-finanziario». Nel 2011 l’azienda ha perso due miliardi di euro, contro il mezzo miliardo guadagnato nel 2010. Ordini in calo e occupazione a picco: nell’ultimo biennio, Finmeccanica è passata da 75.000 a 69.000 dipendenti, con un indebitamento che supera i 4 miliardi e mezzo mentre il valore delle azioni è precipitato a 3,8 euro, contro i 21,2 di cinque anni prima. «A complicare il quadro è giunta qualche settimana fa la notizia del declassamento del rating dell’azienda da parte di “Moody’s”», relativo alla capacità di ripagare i debiti a breve termine. Crisi accelerata dalla scelta di puntare tutto sul settore degli armamenti, sostiene Mazzeo. Nonostante ciò, l’ultimo piano di rilancio aziendale scommette quasi esclusivamente nel settore aerospaziale e delle telecomunicazioni militari. Tra gli obiettivi a breve e medio termine: la dismissione delle aziende del settore energetico (sprerando di ricavarne un miliardo di euro), il taglio di oltre 900 dipendenti nelle industrie aeree e l’emissione di “corporate bond” per 750 milioni di euro, «misura che sovraesporrà debitoriamente l’holding con il sistema bancario».
Intanto proseguono le ristrutturazioni e le fusioni aziendali nel settore a prevalente produzione bellica. Il polo aeronautico (Alenia e Armacchi) sforna velivoli come i caccia “Tornado” ed “Eurofighter”, ed è capo-commessa per l’Italia del contrioverso F-35, mentre partecipa allo sviluppo di un nuovo drone, l’Ucav. Nel settore degli elicotteri militari, la holding conta su Augusta-Westland, che produce velivoli d’assalto come l’A-129 “Mangusta”. Grazie ad Oto Melara, Finmeccanica controlla inoltre una fetta del mercato internazionale delle artiglierie navali e terrestri, dei carri armati, dei blindati e dei sistemi antiaerei. Attraverso le controllate Selex-Galileo, il gruppo si è affermato nel business dell’elettronica e dei sistemi di comando, controllo, comunicazioni e intelligence, mentre il settore spaziale è coperto Telespazio, joint-venture con la francese Thales, tra i principali operatori mondiali nella gestione di satelliti, civili e militari. Altra joint-venture di importanza strategica è Mbda, azienda leader nella produzione di dronesistemi missilistici, dove Finmeccanica è presente insieme ai colossi europei Bae Systems e Eads.
«Nonostante l’ampio ventaglio di clienti internazionali (compresi quei paesi che dovrebbero essere posti sotto embargo perché belligeranti o violatori dei diritti umani), nell’ultima decade è cresciuto il pressing e il corteggiamento dei dirigenti di Finmeccanica verso l’Alleanza Atlantica e il suo paese-guida, gli Stati Uniti d’America». E gli affari non sono certo mancati, racconta Mazzeo: forniture di supporto per “Eurofighter” e “Tornado”, programmi avanzati di sicurezza cibernetica, sviluppo di centri di telecomunicazione satellitare in Belgio, Grecia e Turchia. “Made in Italy” anche l’avanzato sistema “Nacma” per siti terrestri in tutta Europadestinati al controllo dello spazio aereo e, sempre in ambito Nato, Finmeccanica è in corsa per aggiudicarsi una porzione consistente del business relativo all’acquisizione di nuovi sistemi di comando, telecomunicazione e intelligence per la gestione di missili balistici.
Sistemi radar “made in Italy” per la «costruzione di un’architettura anti-missili balistici» sarebbero stati testati «con successo» lo scorso settembre, quando sono stati provati anche i «sistemi di difesa da missili superficie-aria a medio raggio» di coproduzione franco-italiana e il nuovissimo “Principal Anti Air Missile System” (Paams), il sistema di armi anti-aeree che sarà installato a bordo delle fregate europee di nuova generazione “Horizon”. «L’holding italiana – prosegue Mazzeo – si è preparata da tempo all’appuntamento con lo scudo anti-missili che la Nato intende dislocare anche “fuori dai confini geografici dell’alleanza” per la “protezione” delle unità impegnate in operazioni internazionali». Nel settembre 2005, Finmeccanica è entrata a far parte di Alliance Shield, un consorzio di cui fanno parte anche Bae Systems e Lockheed Martin. Dello stesso periodo il consolidamento della partnership di Finmeccanica con il colosso missili navalistatunitense delle armi, produttore dell’F-35 e del sistema anti-missile “Meads”, destinato a sostituire i “Patriot”.
Mentre Finmeccanica accede alle commesse del Pentagono, tutti i governi italiani – Prodi, Berlusconi, Monti – concedono il territorio per installazioni militari per il riarmo di Washington: dalla base Dal Molin di Vicenza a Sigonella, “capitale mondiale dei droni”, senza contare i comandi Us Africom di Vicenza e Napoli e il controverso impianto Muos di Niscemi, di cui proprio Lockheed è il principale contractor. «Una specie di do ut des, commesse in cambio di basi, facilitato dall’incondizionato sostegno italiano agli interventi Usa e Nato in Afghanistan e Iraq nel nome della “lotta al terrorismo” internazionale», sottolinea Mazzeo. Dopo che l’ammiraglio Giampaolo Di Paola, ora ministro, fu promosso a capo di Stato maggiore della difesa nel 2004, l’Italia ha accolto le maggiori richieste di Washington, come quella di installare in Sicilia il Muos e “Global Hawk”, trasformando l’intera penisola «in piattaforma avanzata per le nuove operazioni delle forze armate nel continente africano».
La sapiente tessitura di relazioni politiche, diplomatiche, militari e industriali – aggiunge Mazzeo – sarà premiata nel 2008 dalla firma del trattato siglato da Ignazio La Russa e Robert Gates, in base al quale «ogni governo dà accesso al suo mercato della Difesa all’industria dell’altro paese», standardizzando procedure, forniture e sistemi d’arma. Ma quello che era stato festeggiato come un affare da 6-7 miliardi di dollari, continua Mazzeo, rischia di trasformarsi in un flop: commesse a rilento, dopo i tagli decisi da Obama, che ha irrigidito la politica protezionista per fronteggiare la crisi americana oppure imposto clausole-capestro come nel caso dell’acquisizione della Drs Technologies, una delle maggiori fornitrici alle forze armate Usa di apparecchiature di comando e controllo su mezzi terrestri e aeronavali. Per impossessarsene, Finmeccanica ha dovuto sborsare miliardi lasciando però il controllo dell’azienda agli americani, padroni assoluti delle “informazioni  sensibili”, i segreti militari che, di fatto,Giampaolo Di Paolaconfermano la nostra sudditanza rispetto alle scelte strategiche degli Usa.
«La progressiva americanizzazione del complesso industriale militare nazionale è confermata pure dalla scalata azionaria di importanti fondi d’investimento privati Usa», conclude Mazzeo. Meno di un anno fa, tra i maggiori azionisti di Finmeccanica comparivano Tradewinds Global Investors, Deutsche Bank, BlackRock e Grantham Mayo Van Otterloo & Co. Ad essi vanno aggiunti società e fondi-pensione statunitensi che detengono rilevanti pacchetti azionari. «Insieme, il capitale finanziario a stelle e strisce dovrebbe controllare già più del 18% della sempre meno italiana Finmeccanica». Di contro, a riprova del processo di globalizzazione di quello che ormai legittimamente può essere definito il complesso militare-finanziario-industriale, i gruppi bancari italiani più importanti, contestualmente azionisti e creditori di Finmeccanica – attraverso una moltitudine di fondi flessibili, bilanciati e misti – hanno fatto incetta di importanti quote azionarie dei colossi bellici Usa come Lockheed Martin, Northrop Grumman, Boeing, General Electric, L-3 Communications. «Un’evoluzione dei mercati che nell’ultima decade ha reso sempre più inestricabile la partnership di guerra Italia-Stati Uniti d’America».

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