Santander cedette Antonveneta a Monte Paschi prima di acquisirla
Esclusivo: Botin rifilò Antonveneta a Siena prima di averla comprata. Aggiudicandosi Abn senza aumento di capitale.
Banco Santander e Monte dei Paschi non avevano i soldi per acquistare nel 2007 Antonveneta: entrambi dovettero così ricorrere a una serie di operazioni a rischio per finanziare un azzardo pianificato, avvenuto nell'ambito della più grossa compravendita di un istituto di credito, il controllo da parte degli spagnoli e dei loro soci del colosso olandese Abn Amro, che da circa un anno aveva in mano la maggioranza azionaria di Antonveneta.
L'AFFARE SANTANDER-MPS. Secondo quanto Lettera43.it è in grado di rivelare, quando Santander concluse l'affare con Mps (l'8 novembre 2007), in realtà non aveva ancora comprato Antonveneta e mai la comprò davvero, se non per qualche ora e senza versare nulla: non aveva pagato un centesimo, si era solo impegnata con Abn e cedette così a Rocca Salimbeni qualcosa che ancora non era suo. Un immenso scaricabarile.
IL PACCHETTO ABN: 71 MLD. La prova che il rischio di questo mega acquisto fu rovesciato sin dall'inizio sui cittadini e sui governi è nelle carte di Santander, Mps e Antonveneta, dove sono raccontati passo dopo passo i dettagli del passaggio di un folle gioco di promesse di vendita futura da 71 miliardi di euro: cioè l'importo - ma solo nominale, perché nessuno aveva i quattrini veri - dell'acquisto del gruppo Abn da parte della cordata composta da Santander, Royal Bank of Scotland e Fortis, un gruppo assicurativo olandese, dissanguatosi - come Scotland, poi salvata dal governo britannico - in una scalata avvenuta senza soldi e, infine, soccorso dal governo de L'Aja.
L'Opa su Abn costò a Santander quasi 20 mld
L'8 ottobre del 2007 Santander, Scotland e Fortis diedero il lieto annuncio: l'Opa su Abn, lanciata nel maggio dello stesso anno, era andata a buon fine e la cassaforte olandese era nelle loro mani. Sì, presto ma non immediatamente. Infatti l'accordo con gli azionisti di Abn fu concluso, ma i pagamenti e i passaggi di azioni erano di là da venire.
L'importo dell'operazione era mostruoso: 71,1 miliardi di euro, il 27,9% del quale ricadde sulle spalle di Santander che, in cambio, prese le ricche banche sudamericane controllate da Abn, l'italiana Antonveneta e le finanziarie olandesi Interbank e Dmc. Costo totale per gli spagnoli - si legge nella relazione trimestrale fino al 31 marzo 2007, certificata da Deloitte Madrid - 19,9 miliardi di euro.
LE DATE CHE NON TORNANO. E già qui c'è una prima stranezza: come faceva la trimestrale di marzo a descrivere nei dettagli un'operazione del 29 maggio (il lancio dell'Opa)? Formalmente è tutto in regola, perché i revisori di Deloitte apposero come data del controllo quella del 22 giugno. Tanto che la relazione della banca inserì l'operazione in trimestrale come «fatto avvenuto dopo il 31 marzo».
Ma a essere ancor meno chiaro è come Santander pagò i suoi obblighi verso gli azionisti di Abn. Così nella trimestrale (pagina 13 della versione in inglese, anch'essa certificata da Deloitte per testo e traduzione) si legge che Santander prevedeva di reperire intanto 9 miliardi con un aumento di capitale, mediante sottoscrizioni ma anche in parte legato a non meglio specificati «strumenti convertibili in azioni».
L'EMISSIONE DEI VALORES SANTANDER. Di cosa si trattava in realtà gli spagnoli lo scoprirono amaramente in seguito: sono i Valores Santander, obbligazioni spazzatura simili ai bond Parmalat, venduti a 13 euro e precipitati poi a 2 euro, piazzati a oltre 100 mila piccoli e medi risparmiatori, per lo più clienti del banco, e ora al centro di innumerevoli cause giudiziarie a Madrid.
Nove miliardi - teorici - previsti dal futuro aumento di capitale in varie forme, dunque. Ma mancavano ancora circa 10 miliardi per saldare il conto. Derubricate, sempre genericamente, a «operazioni di bilancio» e di «vendita di asset».
LA CESSIONE DELLE AZIONI SANPAOLO. Ma la relazione dava anche una buona notizia: Santander aveva venduto le sue azioni di Intesa Sanpaolo (1,79% del capitale) a un prezzo pari a 1,2 miliardi di euro, ottenendo - rispetto al prezzo di acquisto - un «guadagno approssimativo di 566 milioni di euro per il gruppo».
Però non bastava. Perché, a parte questi denari, il resto era tutto teorico. Non esistevano ancora le risorse per acquisire la quota di Abn che conteneva Antonveneta. Così, a giugno, partì la prima emissione dei Valores, titoli spazzatura che tuttavia fruttarono a Santander la bellezza di 7 miliardi. Però per saldare il conto ne mancavano ancora 12, e nella trimestrale non era chiaro da dove sarebbero arrivati.
LA TRATTATIVA SIENA. Tra operazioni di bilancio, piccole vendite e partite di giro, si giunse alla trattativa con Monte dei Paschi, interessata pare ad Antonveneta. E Santander, che prima intendeva aggredire il mercato italiano con la banca veneta (settima in Italia), invece la vendette. E diede l'annuncio ai mercati con una lettera del presidente Emilio Botin agli azionisti (leggi il pdf).
Era l'8 novembre del 2007 e il semplice comunicato scosse la Borsa di Madrid: le azioni di Santander ebbero il loro massimo rialzo nella storia del listino (3,88%) e il volume negoziato in un giorno fu pari a 2,4 miliardi di euro, il doppio del record precedente.
Con l'offerta di Rocca Salimbeni Botin evitò la ricapitalizzazione
Nella lettera agli azionisti, Botin scrisse che Antonveneta, pagata 6,6 miliardi, «avrebbe rappresentato un interessante primo passo per entrare nel mercato italiano». Invece, guarda un po', nel giro di poche settimane Santander cambiò idea perché scoprì che il posizionamento di Antonveneta non era tale da permettere di stare nel mercato italiano senza altri «consistenti investimenti».
Basta spender soldi, diceva in sostanza Botin, era il momento di incassare. Anche se in verità nulla fu speso per davvero.
MPS OFFRE 9 MLD. Allora il presidente spiegò che il gruppo aveva deciso di accettare «l'offerta di Monte dei Paschi di Siena per acquistare Antonveneta a un prezzo di 9 mila milioni di euro (9 miliardi), cifra significativamente superiore ai 6.600 milioni di euro con cui abbiamo valutato il gruppo Antonveneta nell'ambito dell'Opa su Abn Amro».
Sì, «valutato» e non pagato, perché in quel momento Santander non aveva ancora speso un euro: Antonveneta restava in mano ad Abn fino al perfezionamento dell'intesa e al pagamento. Pagamento che non avvenne mai.
LO «SCONTO» SU ABN. Nella sua lettera infatti Botin spiegava agli azionisti che il provvidenziale intervento italiano avrebbe permesso di «diminuire l'importo totale dell'acquisto delle attività di Abn Ambro, dai 20 miliardi inizialmente previsti a 11 miliardi di euro». E, punto secondo, di «lasciare senza effetto, perché non necessario, l'aumento di capitale per 4 miliardi che avevamo previsto».
Mentre, spiegava ancora il presidente, Santander si teneva le banche brasiliane e le finanziarie al consumo olandesi, perché considerate preziose.
L'ORIGINE DEI TREMONTI BOND. In sostanza, nella spartizione con Fortis e Scotland, Santander si era dovuta ingoiare anche Antonveneta che tuttavia non le interessava. E così, nel giro di appena una notte, aveva trovato la soluzione con Mps: scaricare quel peso da circa 9 miliardi sulle spalle dei risparmiatori italiani e del governo di Roma, che poi sarebbe intervenuto a salvare Monte Paschi con i Tremonti bond. Quindi, per gli spagnoli, Antonveneta uscì subito dall'affare, perché Monte Paschi si impegnò a comprarla senza che Santander dovesse un euro agli azionisti di Abn.
L'OPERAZIONE SOSPESA. Ma nemmeno i senesi avevano 9 miliardi, poi divenuti 10 con oneri vari, per concludere l'operazione con gli spagnoli. Che infatti restò sospesa per molti mesi e venne perfezionata solo (confermarono le agenzie spagnole all'epoca, un po' trascurate in Italia) il 30 maggio del 2008. Quando ormai Santander aveva messo sul mercato 7 miliardi dei suoi Valores di scarso o nullo valore e anche Mps aveva fatto la sua provvista vendendo a sua volta obbligazioni ai risparmiatori.
L'EMISSIONE DI BOND DEL 2008. Il 26 marzo 2008, per esempio, Monte Paschi lanciò la sua 22esima emissione di «obbligazioni set up/step down», al prezzo di 50 euro ciascuna e per un valore complessivo di 35 milioni. Con un dettaglio che non è un dettaglio: il collocamento, spiegava la nota informativa agli investitori, era affidato guarda un po' ad Antonveneta, che ancora non era stata comprata da Mps (l'accordo, ricordiamo, venne concluso solo il 30 maggio).
IL CONFLITTO DI INTERESSI. In sostanza, Mps affidò ad Antonveneta il compito di fare un po' di provvista per il suo stesso acquisto, la incaricò di cannibalizzarsi. E informò, per obbligo di legge, che l'operazione era «a rischio di conflitti di interesse del soggetto incaricato del collocamento», poiché - si legge ancora nel prospetto di Mps - «in data 8 novembre 2007 l'emittente ha comunicato di aver raggiunto un accordo con Banco Santander» in base al quale «Santander, non appena avrà completato l'acquisizione di Antonveneta in corso con Abn Amro, ne cederà l'intero capitale a Mps al prezzo di 9 miliardi di euro».
I TITOLI TOSSICI. Cifra che la banca senese reperì con aumenti di capitale, «cessione di asset ed emissione di strumenti di debito» tra i quali i «subordinati», ancora bond considerati tossici, emessi sia da Mps sia da Santander per scaricare il rischio sui piccoli investitori.
Tra titoli tossici, soldi fantasma e promesse di vendita di banche non proprie, non stupisce il commento che Franciso Gonzales, presidente del secondo gruppo bancario spagnolo Bbva, fece alla notizia della vendita di Antonveneta da parte di di Santander. «A me», disse, «la notte piace poter dormire...».
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