Un anno senza Lucio
BOLOGNA - Lucio era fiero di essere nato in una piazza bolognese, «al numero 2 di piazza Cavour», precisava; ed era nato in casa, come si faceva una volta. Crescendo, nella stessa casa aveva cominciato a suonare, prima la fisarmonica («che però un giorno, non potendone più, buttai dalla finestra», raccontava) poi il clarinetto, lo strumento che gli cambierà la vita per sempre. Dopo piazza Cavour, vennero gli anni nella casa di via delle Fragole. Proprio dentro un bar sotto casa Lucio incrociò i destini di Anna Bellosgaurdo e di Marco Grossescarpe. Anni e anni dopo, venne la casa in vicolo Mariscotti, che vide nascere, fra le altre, anche Se io fossi un angelo: l’ispirazione del testo sarebbe venuta a Lucio perché la casa pare fosse abitata da un fantasma buono.
E infine quella di via Massimo D'Azeglio 15. «(... ) A Bologna, Lucio era per tutti l’amico che incontri per strada e saluti chiamandolo per nome. Era il vicino di casa ideale, oppure il Cicerone preparato e sempre pronto a svelare i capolavori nascosti della sua città, come il Compianto di Niccolò dell’Arca, davanti a cui ci siamo esibiti insieme, o i dipinti di Amico Aspertini, per il quale abbiamo scritto una canzone.
A Bologna, chiunque poteva tranquillamente trovarlo e ritrovarlo nei suoi storici ristoranti, come da Cesari, dove andava già con sua madre dall’amico Paolino, o al Diana, alla Cesarina, da Nello, alla trattoria Corte Galluzzi o alla pizzeria La mela, oppure seduto per ore a un tavolino del Gran Bar di via D’Azeglio o, più recentemente, al Duca d’Amalfi in piazza dei Celestini, a prendere «giusto un briciolo di sole», come ripeteva per gioco, anche a gennaio. Nei giri semplici di tutti i giorni, Lucio non mancava mai di regalare un sorriso alla fioraia Milly e al suo vicino di bottega Luca Dandy; all’amica argentiera col suo cane minuscolo che «cantava» ululando ogni volta in cui lo vedeva, e agli amici profumieri Lia e Giovanni da cui passava a «scroccare uno spruzzo», entrando nel loro negozio e prendendo a caso una boccetta qualunque di profumo che poi si spargeva copiosamente sul collo e sulle mani.
Poi proseguiva il suo giro passando prima per la prodigiosa «cartolaia matta» Germana che gli vendeva ogni volta giocattoli vintage improbabili e fantastici; poi per il negozio di antichi oggetti orientali dei cari Rosanna e Andrea; fino ad arrivare dalla Natalizia, vale a dire la sua affezionata spacciatrice personale di addobbi, candele profumatissime e mille giostrine tutte neve, luci e suoni. A due passi da casa c’era anche il suo studio di registrazione, davanti al quale c’eravamo tra l’altro incontrati la prima volta, ricreato dentro una cantina medievale e a cui aveva messo il nome curioso di Cagnara Records, e in cui abbiamo passato mesi interi a registrare i suoi ultimi dischi» (tratto dal libro Dalla Luce alla notte; Bompiani).
Lucio ha amato Bologna teneramente, con spirito familiare e con animo complice e partecipe. In un articolo del 1987 l’ha definita «un’anziana e simpatica signora, quasi una ricca zia, che passa i suoi giorni senza traumi, prendendo il tè con le amiche languidamente adagiata sul divano». Bologna diventò da subito la camera dei suoi sogni, da cui un giorno partì alla conquista del mondo «con la furia degli stupidi e il delirio dei miei quindici anni», diceva. Bologna, da cui molto spesso anche scappava, ma che poi gli mancava e allora aumentava la voglia di rivederla il prima possibile. La sua amata Bologna, tanto da volerla ricordare con queste parole: «La città dove è caduto il mio cuore».
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