Il sapere ci può salvare, per questo tagliano la cultura
Apprendo con il grande senso di nausea che accompagna, ormai, la lettura dei giornali mattutini, che l’Italia perderà lo spazio espositivo, presso il campo di concentramento nazista di Auschwitz, già chiuso da due anni perché mal curato, vecchio, illeggibile e fuori contesto. Il giorno dopo il 25 Aprile, la notizia appare ancor più nauseabonda, ma in fondo, davvero ci si potrebbe aspettare qualcosa di diverso da questo paese votato all’autodistruzione? Il non attendersi altro è forse già il segno della fine, ma come non essere intellettualmente onesti? Il presidente dell’Aned, ex deportato, fa sapere che nulla potrà essere fatto in mancanza delle sovvenzioni dello Stato italiano. E questa ormai sembra la risposta preconfezionata a qualunque domanda, un po’ come quelle che ricevi dal risponditore automatico di e-mail.
Lo Stato non finanzia la cultura. Lo Stato non finanzia il sapere, e tantomeno gli incentivi alla civilizzazione del popolo. È uno dei pochi “tagli” scientifici apportati negli ultimi nefasti anni di decadimento. Non facciamo finta che il problema sarà affrontato con la decenza che merita, semplicemente verrà sepolto da tutte le altre notizie più idonee a tener alto il morale degli italioti. L’Italia è l’unico paese europeo che ha tagliato la cultura, essendo proprietario di un immenso patrimonio culturale, che avrebbe potuto concorrere a risanare la carestia dovuta al ladrocinio capitalista radicalizzato dalle mafie al potere. Di qualche tempo fa la notizia dei “guadagni” del Louvre, che solo quelli superavano di gran lunga gli introiti annuali di “tutti” i musei pubblici italiani; notizia che non ha fatto inorridire, e non ha mosso a Rivoluzione (notoriamente i musei son pieni di vecchiume).
L’Italia è il paese che ha cancellato l’insegnamento della musica dalle scuole pubbliche, mentre in Venezuela con la musica si sono salvati i bambini di strada (ma Chávez era un dittatore). E in Italia chiudono i conservatori, i teatri, le biblioteche e le librerie (tanto i libri si vendono anche al supermercato). In Italia c’è gente delle istituzioni che, levato l’elmetto cornuto dalla testa e ripristinate così le sinapsi, si chiede: «Perché mai regalare soldi a Pompei, per quel cumulo di pietre?». E si potrebbe allungare la lista delle brutture, e dell’abbrutimento arrecato dalla devastazione del nostro patrimonio culturale e dell’abolizione del sapere, fino ad arrivare ai giorni nostri, quello del nuovo che avanza, e dell’imperativo assoluto: non sprecare.
Così che, in Toscana, salta su l’ultimo arrivato, il probo, che propone di tagliare lo spreco: niente più finanziamenti per “i viaggi della memoria” ad Auschwitz, appunto, per i ragazzi delle scuola; ma per fortuna la richiesta è restata inascoltata. Quindi, oltre la nausea, nessuno stupore. Se così non fosse stato, se il decadimento culturale non fosse una sorta di arma di distruzione di massa, certa feccia ce la saremo tolta di torno molto tempo fa. Sarebbero rimasti al chiuso delle loro fogne, e non sarebbero tornati mai in superficie. E nemmeno possiamo incoraggiarci a riprendercela, la cultura, perché questo sì, non ce lo faranno mai fare. Questo sì, potrebbe essere pericoloso. Sapere, studiare, conoscere, potrebbe anche salvarci la vita.
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