Dietro alle “lacrime napolitane”, i boss del vero potere
Il governo Letta è andato a gambe all’aria. L’annuncio, con le dimissioni dei ministri Pdl, è arrivato un sabato di settembre e subito è partito il coro greco degli italiani, abituati al pianto a comando. Un governo sciapo, inconsistente, immobile. Perché piangere? Guardi Letta, imbronciato come un bimbo cui sia stato rotto il trenino e pensi, quest’uomo conosce la coerenza? Il 24 giugno 2012, intervistato da Arturo Celletti di “Avvenire”, s’era scagliato contro Berlusconi e Di Pietro parlandone come di «un male per l’Italia» e, della crisi, come «ossigeno per le forze antisistema», tanto da augurarsi un «grande progetto per il paese» sotto forma di «offerta politica capace di attrarre e convincere: noi, Casini e Vendola. Funzionerebbe. Avrebbe appeal europeo. Avrebbe forza». Sappiamo com’è andata a finire. E ancora, il 26 giugno, intervistato da Teresa Bartoli del quotidiano “Il Mattino” di Napoli, eccitato dall’idea di un patto per arginare il populismo incarnato da Berlusconi, Di Pietro e Grillo: «La questione chiave è l’esclusione del populismo. Che in Italia oggi ha tre interpreti: Grillo per l’evidente alternatività di proposte come il non ripagare i debiti; Berlusconi con la sua scelta anti euro ed anti Europa; Di Pietro con i suoi attacchi al Quirinale che archiviano una logica istituzionale. Deve essere chiaro che con queste forze non si può governare».
No, non si può governare, solo farci un governo insieme. Come Letta ha fatto con il Pdl del “populista” Berlusconi. Quando Letta, naufragato Bersani fra i marosi del tatticismo, accettò l’incarico per la formazione di un nuovo governo, la stampa circondò il personaggio di quell’aurea mistica spennellata su Mario Monti ai tempi. Roba stucchevole. La stampa italiana, si sa, ha un debole per gli uomini del Bilderberg, della Trilaterale, dell’Aspen Institute. Letta era il loro uomo, uno e trino. Quando nella tarda primavera del 2012 fu invitato dal Bilderberg a Chantilly, in Virginia, accettò senza battere ciglio. Fu presentato come “Deputy leader, Democratic Party (Pd)”. Dal Nazareno in Virginia, timbrando il cartellino del club. Sbarcato negli Stati Uniti, vi trovò Franco Bernabè, presidente esecutivo Telecom, Fulvio Conti, amministratore delegato e direttore generale Enel, Lilli Gruber, giornalista La7, John Elkann, presidente Fiat.
Lilli Gruber al Bilderberg è ormai di casa. Era fra gli invitati alla riunione del Bilderberg a Hertfordshire, nell’Inghilterra orientale, il giugno di quest’anno. E chi c’era ancora fra gli italiani? C’era Franco Bernabè e c’erano Enrico Tommaso Cucchiani, consigliere delegato e Ceo di Intesa San Paolo, Alberto Nicola Nagel, amministratore delegato di Mediobanca, Gianfelice Rocca, presidente di Techint e Assolombarda, nonché il senatore a vita Mario Monti, tornato alla casa madre dopo aver soggiornato a Palazzo Chigi. Mario Monti c’era anche nel 2011, quando la riunione fu tenuta a St. Moritz, in Svizzera, con il leghista Mario Borghezio, che avrebbe voluto tanto assistervi, preso a legnate, e che nel giugno di quest’anno, intervistato da Alessandro da Rold de “L’Inkiesta”, s’è tolto un sassolino dalla scarpa profetizzandovi la partecipazione di Matteo Renzi nel 2014: «Toccherà a lui. Faranno come per Enrico Letta, un fungo spuntato all’improvviso, con poco consenso popolare, pochi voti, che è diventato poi presidente del Consiglio. Così succederà pure per il sindaco di Firenze: li fanno emergere, accadde per primo a Bill Clinton».
C’era Mario Monti nel 2011 e c’erano Franco Bernabè, John Elkann, Paolo Scaroni, amministratore delegato Eni, e Giulio Tremonti, ministro dell’economia e finanze del governo Berlusconi e, fra gli altri ospiti, lo spagnolo Joaquín Almunia, vicepresidente della Commissione Europea e commissario alla concorrenza. Nel 2013 alla riunione del Bilderberg è invece andato direttamente il presidente della Commissione Europea, il portoghese José Manuel Durão Barroso. Oggi Mario Monti fa parte con Franco Bernabè, unici italiani, della Steering Committee del Bilderberg, presieduta da Henti Castries di Axa, con Monti ricordato come Senator for Life. In passato hanno fatto parte della Foreign Steering Committee del Bilderberg, oltre a Monti, Gianni e Umberto Agnellli, il nobile e politico Gian Gasperi Cesi Cittadini, l’economista Tommaso Padoa-Schioppa, poi ministro dell’economiae finanze con Prodi, lo stesso Romano Prodi, il diplomatico Renato Ruggiero, poi ministro degli esteri con Berlusconi, l’economista Pasquale Saraceno, Stefano Silvestri dell’Istituto di Affari Internazionali, Vittorio Valletta, presidente Fiat del dopoguerra, Paolo Zannoni, un passato in Fiat e oggi della scuderia Goldman Sachs.
Letta non poteva pertanto non gioire quando nel 2012 gli arrivò l’invito. E quando gli fu chiesto il perché di quella partecipazione, spiegò la cosa, tempi moderni, su Facebook, dove c’è ancora la sua nota delle 12.14 del 5 giugno di quell’anno: «In molti in questi giorni mi fanno domande sul meeting Bilderberg al quale son stato invitato a Washington lo scorso fine settimana. In sintesi, era presente una parte importante dell’amministrazione Obama e dei partiti democratico e repubblicano americani. C’erano poi leader socialisti, liberali, verdi e conservatori di molti Paesi europei. E, inoltre, sindacalisti e imprenditori, docenti universitari e finanzieri. Senza contare rappresentanti dell’opposizione siriana e russa. La lista dei partecipanti è stata peraltro resa pubblica dagli stessi organizzatori. Si è discusso dei principali temi in materia di economia e di sicurezza al centro dell’agenda globale. Ed è stata per me un’occasione interessante e utile per ribadire la fiducia nei confronti dell’Euro e per rilanciare con grande determinazione l’invito a compiere i passi necessari (e indispensabili) verso gli Stati Uniti d’Europa».
«Nulla di queste discussioni, e del franco e ‘aperto’ dialogo tra i partecipanti, mi ha fatto anche solo per un momento pensare a quell’immagine di piovra soffocante che decide dei destini del mondo, incurante dei popoli e della democrazia, descritta da una parte della critica sul web e sulla stampa. È vero: la discussione era a porte chiuse. Ma la presenza dei direttori di alcuni dei principali giornali internazionali (di tutte le tendenze politico-culturali) mi pare possa ‘rassicurare’ i sostenitori di una lettura complottistica del meeting». Letta sarebbe potuto essere più preciso; temi di economia e sicurezza al centro dell’agenda globale: e qual era questa agenda? Gliela ricordiamo noi. Fra il 31 maggio e il 3 giugno 2012, a Chantilly, in Virginia, con Washington a ventiquattro miglia, s’è parlato di relazioni transatlantiche, evoluzione del panorama politico in Europa – e già in Italia Mario Monti era stato messo in sella – e negli Stati Uniti, austerità e crescita delle economie avanzate, cybersicurezza, sfide energetiche, futuro della democrazia in Russia, Cina e Medio Oriente. E c’era, seduta fra i commensali, per stessa ammissione di Letta, l’opposizione siriana, ospite di riguardo, considerate le manovre per la destabilizzazione della Siria, ora benedetta anche dall’acqua santa del Bilderberg.
A sentir Letta il Bilderberg è un ritrovo di dame di carità, lui che è anche uomo della Trilaterale, un think tank fondato nel 1973 su iniziativa di David Rockefeller, presidente della Chase Manhattan Bank, Henry Kissinger, consigliere per la sicurezza nazionale e segretario di Stato di Nixon, Zbigniew Brzezinski, un politico e politologo di origini polacche. La Trilaterale, uomini d’affari, politici, intellettuali europei, giapponesi, americani, tutti insieme appassionatamente. In un documento della Trilaterale del settembre 2013 Letta è ricordato per la branca europea con Grete Faremo, Lord Green, Toomas Hendrik Ilves, Francis Maude, Margrethe Vestager tra i “former members in public service”: «Enrico Letta. President of the Council of Ministers, Italy; former Member of the Italian Chamber of Deputies; former Under State Secretary in the Office of Prime Minister Prodi; former Minister of European Affairs, Industry, and of Industry and International Trade, Rome». È in buona compagnia. Della Trilaterale, prima di approdare alla Casa Bianca come consigliere per la sicurezza nazionale di Obama, faceva anche parte Susan H. Rice, un passato come fellow della Brookings Institution, un think tank di Washington che sforna rapporti e vademecum su come attaccare e invadere paesi sovrani e, fra gli asiatici, Hisashi Owada, oggi presidente della International Court of Justice a Ginevra. Le pedine giuste al posto giusto.
Ma cos’è la Trilaterale? Che percezione se ne ha? Nel 1990 il canadese Gilbert Larochelle, professore di filosofia politica, nel suo “L’imaginaire technocratique: la Commission Trilaterale et sa définitiion d’un nouvel être ensemble” ne parlò come espressione di una classe privilegiata di tecnocrati, paragonandola a una cittadella, a un luogo protetto dove «la téchne è legge» e dove «sentinelle dalle torri di guardia vegliano e sorvegliano». Una “cittadella” di “migliori” che nella loro «ispirata superiorità elaborano piani per poi inviarli verso il basso». Più critico era stato nel 1985 lo scrittore francese Jacques Bordiot, che su “Présent”, raccontando come solo chi era giudicato capace di «comprendere il grande disegno mondiale dell’organizzazione e di lavorare alla sua realizzazione» ne diventasse membro, precisò come vero obiettivo della Trilaterale fosse quello di «esercitare una pressione politica concertata sui governi delle nazioni industrializzate per portarle a sottomettersi alla loro strategia globale».
Oggi a capo della branca europea della Trilaterale c’è Jean-Claude Trichet, ex presidente della Banca Centrale Europea e, fra gli italiani, Paolo Andrea Colombo, presidente Enel, Enrico Tommaso Cucchiani di Intesa San Paolo, John Elkann, Federica Guidi di Ducati Energia e già al vertice dei Giovani Imprenditori di Confindustria, il banchiere Maurizio Sella, presidente del Gruppo Sella, Giuseppe Recchi, presidente Eni, il generale Luigi Ramponi, ex direttore del Sismi, Gianfelice Rocca di Techint, Marcello Sala, vice presidente vicario del consiglio di gestione di Intesa San Paolo, Franco Venturini, editorialista di politica internazionale del “Corriere della Sera”. Il 30 aprile di quest’anno Francesco Colonna, scrivendo su “l’Espresso” nell’articolo “Perché ha vinto il gruppo Bilderberg?” del libro del giornalista e studioso Domenico Moro “Club Bilderberg. Gli uomini che comandano il mondo”, si chiedeva fino a che punto si potesse definire democratica una società in cui i posti di potere sono in mano a «poche e potentissime lobby», per poi riflettere sulle coincidenze: due premier italiani, due uomini del Bilderberg, l’indebolimento del Parlamento, l’abuso dei decreti legge usati come maglio dall’esecutivo, la presidenza della Repubblica sempre più invadente.
«Fino a un paio di anni fa in pochi parlavano di gruppo Bilderberg e Commissione Trilaterale. E quei pochi venivano facilmente tacciati di complottismo (non sempre a torto, per la verità). Gli eventi successivi hanno però cambiato le cose, almeno in Italia. Nell’ultimo anno e mezzo il Parlamento e i partiti si sono indeboliti, i decreti-legge hanno sempre più spesso sostituito l’attività legislativa delle Camere, il ruolo della presidenza della Repubblica si è espanso come mai era avvenuto e sono stati scelti due premier (Mario Monti ed Enrico Letta) che sono membri o habituée del gruppo Bilderberg. E tutto questo è successo in un periodo nel quale i paradigmi auspicati dalla grande finanza internazionale, cioè proprio dai membri del Bilderberg e della Trilaterale (avvicinamento al sistema presidenzialista, finanziarizzazione dell’economia, liberismo e libero scambio senza barriere, politiche di austerità, lenta erosione dei salari e dello Stato sociale) sono diventati in buona parte esplicito programma di governo. Oggi insomma diventa difficile sostenere che le riunioni semi-segrete di queste due organizzazioni (e un discorso simile si potrebbe fare per le centinaia di associazioni e think thank liberal-conservatori sparsi per il mondo) non influiscano pesantemente sui destini delle democrazie». Con buona pace dello psicodramma che nelle ultime ore sembra aver assalito gli italiani, la caduta del governo Letta non potrà pertanto che essere accolta come una benedizione, sempre che il suo predecessore, quel Mario Monti senatore a vita, il Senator for Life dei documenti del Bilderberg, non torni ad accarezzare sogni di gloria. Sarebbe uno schiaffo alla decenza e alla democrazia offesa dell’Italia.