lunedì 12 maggio 2014

Ucraina gli USA vogliono una tensione permanente

In Ucraina gli USA vogliono una tensione permanente
La situazione rischia di andare fuori controllo

di Osvaldo Pesce

La situazione ucraina è pericolosa e in continuo sviluppo, è un conflitto che
provoca qualche morto e feriti in varie località ma resta in un equilibrio precario che potrebbe durare a lungo o saltare improvvisamente. I governanti USA, che sono stati dietro al colpo di stato contro Janukovic strumentalizzando le proteste di  piazza, vogliono mantenere nel paese una tensione permanente.
L’attacco è diretto ovviamente contro la Russia, contro i suoi interessi militari (la base di Sebastopoli) ed economici (i gasdotti verso l’Europa); la crisi ucraina è scoppiata durante le olimpiadi di Sochi, rovinando un po’ la vetrina della Russia di Putin. In realtà, meno ovviamente, questo attacco è diretto anche contro l’Europa, ma non tutta; è in particolare contro la Germania. L’Europa dei 28 esiste sulla carta geografica ma non ha consistenza reale, ha una politica estera comune talmente flebile da essere inudibile e nessuna politica militare comune se non sotto controllo USA entro la NATO; anche l’area euro dei 18 ha molte disparità economiche e scarsa omogeneità politica. Chi traina in Europa è la Germania.
Forte della sua potenza economica, che ha eroso i mercati degli altri paesi industriali dell’area (Italia soprattutto), la Germania rinsalda l’integrazione con i paesi renani e baltici, erige una sorta di confine col sud Europa considerandolo solo terra di scorrerie finanziarie succhia-risorse (Grecia) e punta a est. Questa politica indebolisce ancor più l’Europa e accresce le disparità politiche ed economiche al suo interno, ma implica un certo grado di
autonomia politica dagli USA; ora gli avvenimenti ucraini sconvolgono tutta questa situazione.
Con il crollo del muro di Berlino e il collasso dell’URSS la Russia ha dovuto ritirarsi: si è avuta la riunificazione tedesca e l’inclusione graduale dell’ area ex patto di Varsavia ed ex Comecon nella NATO e nell’UE, e gli USA che tenevano in Europa 200 mila militari li hanno potuti ridurre a 40 mila. Se l’ Ucraina entra anch’essa nella NATO e nella UE, la Russia avrà grosse difficoltà a gestire la base navale che condivide con l’Ucraina, Sebastopoli, l’unica sul Mar Nero – quindi verso il Mediterraneo, Suez e Gibilterra – e  sempre liber dai ghiacci, diversamente dalle basi sul Baltico (tranne Baltiisk, nella regione di Kaliningrad circondata da territori UE) e sul Pacifico. L’unica base navale nella disponibilità della Russia nel Mediterraneo, Tartus, è a rischio in Siria causa la guerra civile (dove pure l’ingerenza USA è palese).
L’assetto europeo delineato a Jalta, che in sostanza perdurava fino al 1989- 91, è ormai superato, ma quando un accordo cessa i pericoli di reazione e guerra aumentano. La guerra era già tornata in Europa con la dissoluzione violenta della Jugoslavia. I governanti dell’UE accettano ormai tranquillamente il rafforzamento delle destre, nazionalista in Polonia, fasciste  in Ungheria e Grecia, e ora il colpo di stato ucraino con milizie fasciste in piazza, come documentano varie fonti d’informazione alternative tra cui la web-tv Pandora.
Mosca ha bisogno di buone relazioni con  Kiev non solo per Sebastopoli, ma anche perché per l’Ucraina passa il gas russo verso il suo più importante compratore, l’Europa, che dipende da esso per buona parte del proprio consumo energetico (v. la nostra scheda “l’Europa e il problema del gas”). Oggi l’Europa non può permettersi di fare a meno del gas russo, se non per periodi molto limitati: benché i consumi della Ue-28 siano calati nel 2013 per il terzo anno consecutivo (-1,4% a 492 miliardi di metri cubi), Mosca è rimasta il primo fornitore straniero e soddisfa tuttora il 27% del fabbisogno, contro il 23%
della Norvegia, l’8% dell’Algeria e il 4% del Qatar, il cui gas naturale liquefatto (Gnl) prende sempre più spesso la via dei mercati asiatici, più redditizi: il Giappone paga il 40% in più (art. di Sissi Bellomo – Il Sole 24 Ore – leggi su http://24o.it/pdpL8). Estonia, Finlandia, Slovacchia, Rep. Ceca importano tutto il gas dalla Russia, Polonia e Austria dipendono dalla Russia per quasi l’80% delle importazioni, la Grecia per il 60%, Slovenia e Ungheria per più del 40%, la Germania per quasi il 40%, l’Italia stessa per il 30% circa
che utilizza per il 15% circa della produzione di riscaldamento ed elettricità (fonte Linkiesta da International Energy Agency).
Per Van Rompuy (presidente del Consiglio europeo) di fronte alla crisi ucraina si è “inviato un chiaro segnale che l’Europa sta intensificando una marcia per ridurre la dipendenza energetica, in particolare dalla Russia”; ulteriori misure dovranno essere prese “per sostenere lo sviluppo del Corridoio Sud”, compresi “ulteriori percorsi di deviazione attraverso l’Europa dell’Est”, e si dovranno esaminare “modi per agevolare le esportazioni di gas naturale dal Nord America”, cosa che potrà essere fatta anche attraverso i “TTIP [negoziati sul libero scambio, vedi nostro articolo del 3 marzo] con gli Stati Uniti”.
Il Corridoio Sud connette i giacimenti di gas dell’Azerbaigian – e potenzialmente del Medio Oriente (Iraq) – all’Europa e dal Mar Caspio dovrebbe sfociare in Italia con la TAP (Trans Adriatic Pipeline); la sua espansione è all’ordine del giorno al summit UE di giugno, ma il gas azero copre meno del 2% del fabbisogno UE e arriverà solo nel 2019. Il gasdotto North Stream, costruito dai russi, dal 2011 consente di inviare gas in Germania aggirando l’Ucraina (art. cit. di Sissi Bellomo), e ciò spiega la prudenza tedesca sulla crisi ucraina. Il gas statunitense sarebbe disponibile dal 2015-6, ma in quantità tale da non farlo rincarare in patria: Washington ha rilasciato finora solo sei permessi, l’UE vorrebbe importare senza permessi. Altri fornitori sarebbero Cipro e Israele (e l’Australia).
Gli USA si presentano quindi a contrastare direttamente la Russia in Europa – via Ucraina – sia sul piano militare che economico. La Cina è preoccupata per tutta la situazione europea, in particolare per la crisi ucraina, sia dal punto di vista politico che economico, visto che sta intensificando i suoi investimenti in quest’area (in Italia per es. nell’ENEL,
in Ucraina in terreni); d’altra parte la battuta d’arresto nelle relazioni Germania – Russia apre nuove possibilità di mercato tra Russia e Cina su tecnologie, materie prime, prodotti di consumo di massa.
Quanto all’ONU, ha una posizione ambigua, Ban Ki-mun deplora il referendum in Crimea, e tace sul colpo di stato e sulle leggi dell’attuale governo ucraino contro la minoranza russa: proibizione della lingua russa, “operazione antiterrorismo” contro edifici pubblici occupati per difendere i propri diritti contro un governo ostile e per garantire le relazioni economiche con la Russia, in particolare la funzionalità del gasdotto che passa per Odessa (mentre gli USA sanzionano la società del gas in Crimea, Chernomorneftegaz).
La NATO si mobilita. Il segretario generale Anders Fogh Rasmussen dopo il Consiglio transatlantico (16 aprile), ha spiegato che saranno rafforzati i “dispiegamenti via terra, aria e mare” ed è quindi stato deciso di schierare “immediatamente” aerei nei cieli orientali, navi nel mar Baltico e nell’Est Mediterraneo, e uomini e mezzi sul terreno; da un mese aerei radar pattugliano i confini orientali dell’UE. Eurofighter britannici, F-16 danesi e
probabilmente anche Rafale e Mirage 2000 francesi saranno schierati nei tre paesi baltici (Estonia, Lettonia, Lituania, privi di aviazione) e in Polonia, affiancando gli F-15 ed F-16 già inviati dall’Usaf americana. Hollande è quello che si è mosso subito, è l’uomo della guerra non solo nel bacino mediterraneo e in Africa (Libia, Siria, Mali, Rep. Centrafricana) ma in Europa; la Francia ha sospeso le attività di cooperazione militare con la Russia.
La Merkel è stata costretta ad allinearsi con gli USA. C’è però un suo sforzo di mediazione, motivato dai commerci e dagli accordi economici con la Russia: nella telefonata con Putin del 15 aprile pare che lei abbia chiesto il ritiro delle truppe russe schierate al confine con l’Ucraina e che lui abbia ribadito che l’ uso della forza da parte del governo ucraino contro la minoranza russa è incostituzionale. 
L’incontro a quattro -USA, Russia, Ucraina, UE- del 17 aprile ha deciso la cessazione della violenza e il disarmo di tutte le formazioni illegittime, la liberazione degli edifici occupati, una riforma costituzionale e la considerazione degli interessi dell’Est dell’Ucraina, l’amnistia per i manifestanti, il rispetto dei diritti della popolazione russofona; il processo sarà controllato da osservatori dell’OSCE.
Si tratta di vedere cosa avverrà davvero sul terreno (l’Ucraina è tra i maggiori produttori di armi al mondo, i kalashnikov in circolazione sono 4 milioni). Obama ha dichiarato il suo scetticismo, intanto il boicottaggio della Russia da lui chiesto fin dall’inizio ha avuto seguito limitato (l’UE attua “sanzioni mirate” contro 33 alti responsabili russi e ucraini: restrizione dei visti, congelamento dei beni).
Putin propone per Crimea e Ucraina sud orientale un assetto federativo, il governo post colpo di stato sembra ora disposto a indire un referendum tra quelle popolazioni per garantire un’ampia autonomia, il partito di Janukovic chiede la fine dell’ “operazione antiterrorismo” governativa e dell’occupazione di sedi politiche locali da parte della popolazione russa. Il governo di Kiev però ha già ripreso le operazioni, e il ministro degli esteri russo Lavrov ha reagito duramente: se non si rispettano gli accordi e gli interessi russi saranno attaccati, Mosca risponderà come in Georgia nel 2008 (guerra di 5 giorni per l’Ossezia del sud, territorio contestato vigilato da truppe georgiane, russe e dell’Ossezia del nord: a un attacco  georgiano nella notte del 7-8 agosto, le truppe russe reagirono immediatamente e con forza). I soldati ucraini all’interno delle basi, come quelli inviati dal governo, cercano di evitare scontri o solidarizzano con i dimostranti: il popolo –
ucraini, russi, cosacchi, tatari di Crimea – non vuole scivolare nella tragedia di una guerra civile. Il pericolo permane grave, ma una soluzione razionale e pacifica è ancora possibile, è nell’interesse non solo delle popolazioni coinvolte ma di tutti i popoli europei: dobbiamo sostenerla con tutte le nostre forze. Il governo di Washington semina il caos per mantenere il predominio mondiale, in Ucraina come altrove; l’unico possibile futuro dell’Europa è in una politica che conquisti l’ indipendenza politica, economica e militare dagli USA, rafforzi le proprie risorse interne e si ponga in rapporti di collaborazione e sviluppo con gli altri paesi in un mondo che si muove in direzione multipolare.

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