Scandalo Don Uva/ Di Gioia a Rizzi: “Fatemi una statua”. Il telefonino bollente della Vasiljevic
Nell’operazione “Oro Pro Nobis” (titolo mai così azzeccato), emerge un sistema consolidato che vede legati a doppio filo il management dell’ente, professionisti e politici. Nell’ordinanza di quasi 600 pagine, spicca il rapporto tra Dario Rizzi, ex direttore del Don Uva a Foggia e il parlamentare di San Marco La Catola, Lello Di Gioia. Nessuno sembra muovere un muscolo a meno di tornaconti personali. Primo fra tutti proprio l’onorevole, deciso a sfruttare a pieno il suo ruolo di presidente della Commissione parlamentare di controllo sulle attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale, oltre che componente permanente della Commissione Bilancio e Tesoro della Camera dei Deputati.
Di Gioia a Rizzi: “Dovreste farmi una statua”
Stando alle carte di “Oro Pro Nobis”, Di Gioia avrebbe bloccato sul nascere l'iniziativa del commissario straordinario Bartolomeo Cozzolitendente all'emanazione di un bando pubblico per l'acquisizione di tutti gli istituti Don Uva (su l’Immediato scrivemmo dell’interesse degli imprenditori foggiani Telesforo e Salatto), proponendo, in alternativa, un progetto di acquisizione della sola sede di Foggia da parte dell'INAILche sarebbe stato oggetto di discussione in apposito incontro alla presenza del commissario straordinario e del direttore dello stesso ente previdenziale. Il progetto proposto dal politico, in sostanza, mirava a faredella sede di Foggia un centro di eccellenza nel meridione per la riabilitazione e, contestualmente, avrebbe salvaguardato la posizione di Rizzi, garantendogli un posto di direttore della nascente struttura che, a seguito dell'acquisizione di un soggetto pubblico, avrebbe cambiato la veste giuridica da privata a pubblica. Particolarmente significativa è l'enfasi con cui Di Gioia, per rincuorare Rizzi, preoccupato di perdere la sua posizione di comando, a fronte dell'interrogativo "E io che devo fare in questa cosa?", replica perentoriamente: “E tu fai il direttore! Che devi fare?!”, dando evidentemente per scontato che a Rizzi sarebbe stato assicurato un ruolo di comando nella nascente struttura. La telefonata - scrive il giudice nell'ordinanza - è interessante anche per un'altra ragione: Rizzi, consapevole di avere con l'onorevole un legame a tal punto indissolubile da poter fare sicuro affidamento sulla sua "copertura politica" in caso di necessità, lascia intendere, implicitamente, che questo "credito di riconoscenza" trae origine dai favori accordati al politico, tra cui sono sicuramente da annoverare l'assunzione e l'attribuzione dell'incentivo all'esodo alla figlia Silvia. Liquidazione dell'incentivo (7.500 euro) avvenuta successivamente all'avvio della procedura del concordato preventivo in violazione del principio della “par condicio creditorum”.
Le pressioni dell’onorevole e l'SMS: "Faccio una brutta figura con mia figlia"
Sono continue le pressioni di Lello Di Gioia su Dario Rizzi. A ballare è la posizione della figlia del parlamentare, Silvia Di Gioia, anche lei indagata. In un momento nel quale si decide il licenziamento di numerosi dipendenti, l’onorevole spinge per il riconoscimento di 7.500 euro alla giovane, prima che quest’ultima parta per Londra. Rizzi si mostra disponibile ma dopo un lungo susseguirsi di telefonate con Di Gioia, finisce per sbottare: “Senti Lello, non mettermi fretta!”. Poi, parlando conAugusto Toscani, l’uomo che doveva sistemare la pratica, dice: “Di Gioia è diventato di una cosa che non capisco… Lo vuoi chiamare tu? Io non voglio neanche più sentirlo”. La storia si concluderà con il riconoscimento del denaro alla figlia del parlamentare, non prima di uno "struggente" SMS di quest'ultimo a Rizzi: "Caro Dario, penso di avere avuto con te e con la Casa un rapporto di correttezza e di piena disponibilità, mi dispiace questo vostro comportamento di continuo rinviare nonostante avessimo parlato io e te già da una settimana. Tuttavia devi sapere che la cosa che più mi da fastidio è di aver fatto una bruttissima figura con mia figlia e questo sinceramente avrei voluto evitarlo. Comunque mi fai la gentilezza di lasciar perdere perché Silvia oggi stesso consegnerà la lettera di licenziamento togliendo il disturbo".
Telefono caldo
Di Adriana Vasiljevic abbiamo detto più o meno tutto. Compreso il suo tentativo di entrare in Consiglio comunale a Foggia per Forza italia alle Amministrative 2014. Ma non può passare in secondo piano uno dei tanti episodi di sperpero di denaro pubblico che vede la 29enne dell’Est Europa ancora protagonista. Per lei e l’amante Dario Rizzi, sull'ordinanza si parla "del medesimo disegno criminoso", atto a dissipare le risorse dell'Ente, già in condizione di profonda e conclamata crisi. La Vasiljevic si assentava sistematicamente dal posto di lavoro per esigenze personali di tipo voluttuario, contando sulla connivenza di altri dipendenti che timbravano il cartellino segnatempo al suo posto. Addirittura, mentre era in Serbia, risultava in ufficio al Don Uva grazie a qualcuno che marcava il suo badge. In pratica era "ubiqua". Inoltre, favorita dalla copertura di Rizzi, percepiva comunque gli emolumenti oltre alla fruizione anticipata di 32 giorni di ferie relative al successivo anno 2015. Ma non è tutto. Rizzi – scrive il giudice - concedeva alla Vasiljevic l'utilizzo di un’utenza cellulare intestata alla Casa divina Provvidenza, sebbene la donna non ne avesse alcuna necessità sul fronte lavorativo. La donna ha poi utilizzato quel telefono per scopi personali, cagionando all’Ente un danno di 5.544,23 euro, pari all'importo delle fatture addebitate all'Ente per i consumi effettuati dall'ottobre 2011 all'agosto 2012. Con l’aggravante, per Rizzi, di aver agito in danno dell'Ente anche allo scopo abietto di ottenere prestazioni sessuali dalla Vasiljevic, anche sodomitiche. Ma questa è una storia già raccontata.
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