martedì 5 febbraio 2013

Latour, la politica manipolata e dimenticata


Latour, la politica manipolata e dimenticata

L'antropologo Latour spiega a Lettera43.it perché aver dato tanto spazio all'economia compromette il bene comune.

Bruno Latour.

La montatura nera degli occhiali è un cerchio quasi perfetto. La curva gli incornicia le fessure a semiluna degli occhi e poi scivola via rapida lungo il mento, senza trovare mai uno spigolo e una punta: non ci sono linee rette nè divisioni nette sul viso di Bruno Latour, l'antropologo che non ama i confini tra le discipline.
Se ne sta seduto composto al tavolino tondo di metallo, vestito di grigio ma con una cravatta originale: serio, eccentrico e alla moda allo stesso tempo. Apparentemente assuefatto al cicaleccio dei visitatori, circondato da riviste, sedie dal design ergonomico e schermi multimediali che interrompono il bianco uniforme delle pareti, si presta paziente alla conversazione.
L'IRRAZIONALITÀ DELL'OCCIDENTE. Lo hanno chiamato all'Hangar Bicocca di fondazione Pirelli - l'ex spazio industriale riconvertito dall'azienda a casa milanese dell'arte contemporanea - a dialogare di scienza e arte con Tomás Saraceno, artista argentino, creatore di installazioni futuristiche che riproducono la struttura della materia.
La sua presenza non è strana. Il professore dell'Institut d'études politiques di Parigi ha iniziato da giovane a rovesciare le convenzioni accademiche e mescolare le discipline: al posto di studiare i pigmei, ha analizzato le tribù degli scienziati, la vita nei laboratori e le abitudini dei produttori di certezze matematiche. L'analisi del mondo scientifico gli ha permesso di scoprire tutte le false convinzioni della società occidentale.
LA POLITICA NON FA IL SUO MESTIERE. A 65 anni ha lanciato il suo progetto più ambizioso: scrivere un'intera “antropologia dei moderni”, abbattere tutti i falsi miti e ridisegnare i rapporti tra politica e scienza, scienza e religione, religione ed economia, attraverso un dibattito pubblico e multimediale. E l'Unione europea ha deciso di finanziarlo.
Perché proprio il celebre sovvertitore di schemi? Forse per trovare la bussola dopo anni di crisi economica, o forse addirittura per capire le ragione più profonde di uno stallo che ha investito anche la classe dirigente.
«Le difficoltà dell'attività politica sono talmente grandi che semplicemente i politici hanno abdicato al loro mestiere», spiega Latour a Lettera43.it, a meno di un mese dalle elezioni politiche italiane.

DOMANDA. Come è successo?
RISPOSTA. La politica è stata sempre sottomessa all'idea della scienza: scienza politica, scienza di governo, governance economica. E a un certo punto la politica ha dato alla scienza, all'economia in primis, un ruolo 'superiore'.
D. E qual è il problema?
R. Che la scienza è una versione ridotta della politica.
D. Si spieghi meglio.
R. Per esempio ci si attacca agli economisti. Perché l'economia appare più razionale della politica.
D. E lo è?
R. No, affatto. Solo nella nostra immaginazione.
D. Perché?
R. Una cosa è la disciplina economica, una cosa è la politica economica. Da una parte ci sono regole, teoremi e sistema di calcolo: in due parole, sistemi contabili. E non c'è realtà.
D. E dall'altra?
R. Dall'altra c'è l'economia reale: l'organizzazione particolare delle relazioni tra le persone e i loro beni. E in questo non c'è alcuna vocazione razionale. Tra le due sfere non c'è legame.
D. Facciamo un passo indietro. Cosa c'entra questo con la nostra quotidianità?
R. Il punto è che di fronte a tutti i problemi dell'economia reale, ma anche dell'ecologia, viene utilizzato l'approccio della contabilità.
D. È controproducente?
R. In tutti i maggiori dibattiti scientifici - dal cambiamento climatico al nucleare, dalle biotecnologie agli organismi geneticamente modificati - la stessa comunità scientifica è divisa. E quindi produce risposte politicizzate e frammentate.
D. Quindi nessuna risposta preconfezionata?
R.No, quell'era è finita. La scienza oggi è frammentata e anche politicizzata.
D. Addirittura.
R. In America ci sono gli scienziati repubblicani, al fianco di politici repubblicani, di sindaci repubblicani e di cittadini repubblicani. E poi ci sono scienziati, politici e cittadini democratici.
D. E da noi?
R. Tra Francia e Italia abbiamo un altro esempio: la linea ferroviaria alta velocità Torino-Lione. Ci sono geologi che danno il via libera ai lavori. Altri che dicono: c'è l'amianto in quella montagna, non si può fare.
D. Insomma, nessun fronte compatto.
R. Su questioni fondamentali come quella del clima c'è una controversia aperta. Quindi sono delle battaglie politiche. Se vogliamo cosmologiche, nel senso che riguardano il cosmo.
D. Cioè?
R. Siamo in un mondo inquinato e l'origine dell'inquinamento è l'attività umana. Dobbiamo fare qualcosa? Una domanda come questa divide tutti.
D. Non stupisce.
R. Persino la previsione dei terremoti in Italia divide. A L'Aquila gli esperti hanno detto: state tranquilli, il sisma non ci sarà, state a casa.
D.  ...
R. Cioè hanno esercitato una pressione sulla popolazione che è una decisione politica, ma giustificata dal sapere scientifico.
D. E così le persone si sono fidate.
R. Gli scienziati hanno preso delle decisioni con un certo piacere.
D. Qual era l'alternativa?
R. Se la decisione fosse stata presa da degli uomini politici, avrebbero potuto dire: non c'è pericolo, ma uscite lo stesso. Perché i politici usano il sistema della precauzione. Questo è solo un esempio di un conflitto di autorità. Ma i casi sono sempre più frequenti.

«La vera politica? Né Monti, né Hollande»

D. Se gli scienziati sono politicizzati, cosa succede con gli economisti chiamati a ripianare i dissesti degli Stati?
R. Con l'economia è più semplice: non ci sono due economisti che sono d'accordo tra loro.
D. Quindi?
R. È chiaro che la politica deve riprendere la mano.
D. E invece l'Italia per un anno ha avuto come premier tecnico, l'economista Mario Monti.
R. Monti veniva dopo anni di Berlusconi, dopo anni di un fallimento politico così grande, che è stato utile chiamare un tecnico: è stato strategicamente utile. Ma tutti sanno che Monti ha fatto politica.
D. Allora parliamo di politici veri: Hollande e la tassazione al 75%.
R. La decisione di Hollande non appartiene né alla scienza né alla politica: è stata presa senza alcuna analisi delle conseguenze in seno al partito socialista.
D. Bocciato?
R. Né Monti in Italia né Hollande in Francia rappresentano la condizione migliore della politica.
D. Cioè?
R. In politica da 30 anni a questa parte ci si limita ad avere delle posizioni. Voi siete di sinistra e allora fate così.
D. E che male c'è?
R. Uno può dire sono di sinistra e quindi sono contro il capitalismo. Ma non serve a nulla, se il problema è fare o non fare la Tav.
D. Insomma, non ci sono più regole?
R. È impossibile che solo per il fatto di avere una posizione politica, si sappia come trattare i dossier dell'attualità.
D. Allora è d'accordo con Monti che vuole distruggere destra e sinistra?
R. Destra e sinistra sono dei pacchetti.
D. E tra Stato e mercato?
R. È una guerra di religione.
D. Addirittura.
R. È un'immagine del '900 e nessuno crede che funzioni ancora. Non c'è un mercato unico, ma organizzazioni con interessi diversi e anche contrapposti. E anche il controllo pubblico si declina attraverso istituzioni differenti e indipendenti.
D. Ma allora come ci si orienta?
R. Il bene comune non è qualcosa che sappiamo in anticipo.
Oggi, soprattutto nei Paesi dell'Europa del Sud, abbiamo destra, estrema destra, centro, sinistra ed estrema sinistra, e tutti pensano di sapere perfettamente cos'è il bene comune.
D. Non dovrebbero?
R. Il bene comune è il futuro, non lo si conosce, è l'orizzonte. Per arrivarci però bisogna passare per un processo.

Per raggiungere il bene comune, bisogna ritornare alla tradizione civica

D. Quale?
R. Fare politica è estremamente complesso perché vuol dire mettere in atto una procedura di esplorazione di cosa è il bene comune e poi farlo comprendere a tutti.
D. Come si fa?
R. Bisogna ritrovare un movimento di produzione del politico. È qualcosa di molto ambizioso e assomiglia molto alla sperimentazione. In effetti assomiglia molto alla ricerca scientifica.
D. In che senso?
R.  Bisogna sperimentare. Bisogna smettere di parlare di bene comune in maniera astratta e riniziare a parlare della realtà: cioè degli interessi. Mettere sul piatto gli interessi degli uni e degli altri e discuterne.
D. E poi?
R. Bisogna ricomporre le posizioni e trovare gli spazi di accordo sui problemi concreti.
D. In Italia più che altro la chiamerebbero anti-politica.
R. Dell'anti-politica c'è la versione “Io non voglio partecipare, impegnarmi”. È la vecchia versione.
D. E la nuova?
R. È la mia versione che è pragmatica, ma ha una tradizione illustre.
D. Quale?
R. La tradizione di progettazione civica dei comuni italiani. Bisogna ripartire da lì.
D. E in cosa consiste?
R. Per ogni battaglia bisogna riniziare da capo col lavoro politico, con l'elaborazione del bene comune. È difficile, ma è lo specifico della politica.
D. Crede nella democrazia diretta?
R. Il problema è che quelle che chiamiamo politiche partecipative spesso si riducono a dire sì o no a delle cose che sono già stabilite e che possiamo solo accettare o rifiutare.
D. Insomma, non ci si può accontentare dei referendum.
R. La democrazia non è mettere un like su Facebook, ma esplorare nuovi problemi, proporre nuove questioni.
D. Che futuro immagina?
R. Ci sono milioni di cause e milioni di cittadini. Il futuro sono aggregati di cittadini, scienziati e politici impegnati in cause locali e globali: reti di dibattito con geometrie differenti.
D. Ma alla fine chi detiene il potere?
R. Il potere è già ridistribuito tra i politici e gli esperti dei diversi settori di competenza. Il problema piuttosto è che c'è la tendenza a pretendere la trasparenza in ogni campo.
D. Cioè?
R. Si è diffusa l'idea che il potere non debba trasformare l'informazione. O che l'informazione debba essere pura in ogni campo.
D. In Italia Beppe Grillo sembra interpretare questa tendenza.
R. Beh, i clown conoscono molto bene i segreti delle parole.
D. Cosa intende?
R. La neutralità è un miraggio.
D. Cioè?
R. Gli scienziati devono per forza ricevere finanziamenti per le loro ricerche, quindi non sono puri. I giornalisti non riporteranno mai parola per parola una conversazione, perché nessuno leggerebbe l'articolo. E i politici devono convincere, non elencare dati.
D. Insomma manipolare le informazioni è normale?
R. Sì, se fatto in maniera onesta. D'altronde, non c'è una sola verità, ce ne sono tante. E per arrivare al bene comune devono essere confrontate fra loro.


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