Pd & Mps, massoni e Opus Dei. Giannuli: serve l’ergastolo
Pene pesantissime per i criminali finanziari: da vent’anni di carcere all’ergastolo, magari anche con il regime speciale del 41/bis, quello dei boss mafiosi. «Pensate che i reati finanziari siano meno pericolosi di quelli di terrorismo e mafia?». E’ la ricetta di Aldo Giannuli per uscire dalla crisi su cui lo scandalo Montepaschi ha aperto una voragine anche mediatica. Fermare la pirateria finanziaria? Col carcere duro, con la messa al bando dei titoli derivati e con la separazione tra banche d’affari al servizio della sola finanza e banche commerciali sane, al servizio dell’economia reale. E per favore: senza più ingerenze da parte della politica. Lo scandalo Mps cade come il cacio sui maccheroni, perché «mette a nudo una serie di questioni di cui proprio non si fa cenno in questa sordida campagna elettorale». Scandalo a orologeria, per ostacolare il Pd? Ovvio. Ma nessuno finga di sorprendersi: era noto a tutti, da anni, che il bubbone sarebbe esploso.
«Che il Mps navigasse fra i guai di titoli obbligazionari basati sul nulla era cosa che si sapeva già da un bel po’», rileva Giannuli nel suo blog, ricordando che già da maggio dell’anno scorso i senatori Pancho Pardi ed Elio Lannutti dell’Idv avevano chiesto addirittura il commissariamento della terza banca italiana. «Che la crisiesploda in modo irreparabile proprio ora, a 30 giorni dal voto, non sembra davvero una coincidenza casuale. E si capisce anche che Alessandro Profumo, che di suo non è certo ostile al Pd, per salvarsi, abbia anticipato i tempi di qualcosa che stava per arrivare». Se è vero che Profumo «può prendere le distanze dalla gestione del passato e presentarsi come la persona corretta che svela le magagne dei predecessori», questo però «non significa che il Pd sia una vittima innocente». La gente si è fatta l’idea che il Montepaschi sia “la banca del Pd”? Non è esattamente così, ma forse la realtà è persino peggiore.
Mps, continua Giannuli, ha come suo cuore una fondazione che è espressione del Comune di Siena. La fondazione fu istituita nel 1995 per separare la proprietà pubblica dalla gestione della banca. Come è noto, Siena ha da sempre amministrazioni locali “rosse”: negli anni ruggenti, il Pci rastrellava anche il 60% dei voti. Ancora oggi, le leve di potere sono in mano al Pd, per tramite degli enti locali e della fondazione che li esprime. Stiamo parlando dell’influenza della politica su quello che è ormai il terzo gruppo bancario italiano, dopo l’assorbimento di Antonveneta. «Pertanto – conclude Giannuli – a Siena si è costituito un complesso centro di potere che associa il locale Pd ad una delle massonerie più importanti d’Italia ed anche a rilevanti pezzi di Opus Dei». Un gruppo di pressione «che ha una sua autonomia dal Pd nazionale» ed agisce «come un gruppo di pressione a sé stante».
Questo, però, secondo Giannuli «non assolve il gruppo dirigente nazionale» del partito di Bersani, «perché bisogna tenere presente il ruolo del Mps come spina dorsale finanziaria del sistema organizzativo del Pci-Pd che va dagli enti locali tosco-emiliani alla Lega delle Cooperative, all’Unipol ed allo stesso partito, tutti beneficiari della cornucopia senese». Un complicato intreccio politico-finanziario, anticipato dall’ormai leggendaria battuta di Piero Fassino al telefono con l’ad dell’Unipol, Giovanni Consorte: «Allora, siamo padroni di una banca? Facci sognare!». Certo, ammette Giannuli, il Pd nazionale non ha il potere di disporre nomine e linee del Monte dei Paschi, «ma non può essere ignaro di quel che succede a Siena». Insomma: il Pd «Conta troppo poco per decidere, ma abbastanza per sputtanarsi». Si chiama: conflitto di interessi. «Non c’è solo per Berlusconi, che è insieme capo partito e padrone di Mediaset».
Il caso-Siena rivela il cuore del problema: «Tracciare un confine molto netto fra politica e finanza: i partiti facciano i partiti e le banche facciano le banche, pubbliche o private che siano. Anche perché, poi va a finire che non è il partito che dice alla banca quel che deve fare (che sarebbe sbagliato) ma è la banca a dare la linea politica al partito (che è ancora più sbagliato)». L’espediente delle fondazioni? Non ha risolto nulla. «E non servono reazioni scomposte come quella di Bersani che sbraita: “Li sbraniamoooo!!!”». Se vogliamo, l’uscita di Bersani «fa un po’ pena ed è anche controproducente». Se poi da Mps si passa al resto del panorama bancario, si scopre «una melma» da cui è il caso di uscire al più presto, con una netta separazione tra potere politico e finanza: «Il che non significa necessariamente che la finanza debba esse sempre e solo privata (anzi, sarebbe auspicabile un ritorno della finanza pubblica), ma separare nettamente gli interessi e non creare “centri di potere misto”», con responsabili di nomina non-politica e pubblicamente controllabili.
Poi, la separazione tra banche di raccolta e banche d’affari: «L’inizio della serie ininterrotta di scandali bancari degli ultimi dieci anni (dal caso Enron a Parmalat, dalla Lehman Brothers a Dexia) in un modo o nell’altro è sempre riconducibile all’infausta decisione degli anni ‘90 di cancellare la separazione fra banche d’affari e banche di raccolta», una norma sciagurata e «criminogena». Come il via libera ai derivati, grazie ai quali Mps si è comportata come tutte le altre banche, scegliendo di «nascondere i propri imbrogli nel tritacarne dei derivati che sono alla base del crack del 2007-8 e che sono ripresi in piena forma, superando il volume pre-crisi». E’ ora di limitare i derivati, o addirittura di vietarli, con norme internazionali. E pene severissime per i crimini finanziari, che – ribadisce Giannuli – non sono certo meno pericolosi dei reati di mafia o di terrorismo
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