lunedì 11 febbraio 2013

Perche' non votare Monti,Bersani,Berlusconi,Fine dell’università per tutti, si torna alla scuola d’élite


Fine dell’università per tutti, si torna alla scuola d’élite


I giovani italiani rinunciano all’università: è la fine di un sistema democratico basato sulla fiducia nel futuro, grazie alla promozione sociale di massa. Impressionanti i dati su quella che Carlo Formenti definisce «l’apocalisse dell’università italiana». Ovvero: 58.000 iscritti in meno, un calo del 17% rispetto a dieci anni fa, mentre i professori diminuiscono a un ritmo ancora più rapido (meno 22% negli ultimi sei anni). Risultato: il rapporto medio fra studenti e docenti (18,7%) continua a essere il più alto d’Europa. Altro poco invidiabile record europeo: abbiamo la più bassa percentuale di laureati nella fascia di età fra i 30 e i 34 anni, appena il 19% a fronte di una media europea del 30%. Cala anche il numero delle borse di studio, peraltro di entità ridicola, assieme ai finanziamenti ordinari, mentre «di quelli per la ricerca è meglio tacere». Perché i giovani disertano gli atenei? Ormai «non credono più che la laurea rappresenti una risorsa strategica per spuntare redditi dignitosi su un mercato del lavoro sempre più avaro».
Una tenaglia: l’offerta è sempre più precaria, e lo Stato investe sempre meno. Molti ragazzi, scrive Formenti su “Micromega”, «non dispongono universitàsemplicemente più di risorse sufficienti per far fronte ai costi sempre più elevati della formazione universitaria». Inoltre, vista la direzione imboccata dall’economia, vedendo che il governo scommette sempre meno sulla formazione mentre sui media si moltiplicano gli inviti a tenere conto dei vantaggi offerti da una serie di mestieri che non richiedono livelli particolarmente elevati di istruzione, hanno tirato le somme: «Nei paesi sviluppati l’università di massa ha esaurito la sua funzione, visto che una quota sempre più elevata di lavori skilled sta migrando verso i Paesi in via di sviluppo (solo la Cina prevede di sfornare 200 milioni di laureati entro un decennio), seguendo le stesse rotte che i lavori esecutivi hanno battuto nei decenni scorsi».
Il livellamento verso il basso di redditi e condizioni di vita e di lavoro a livello globale procede a ritmo sostenuto, e per molti «non vale più la pena, o non è semplicemente più possibile, nuotare contro l’impetuosa corrente che sta inesorabilmente trascinando indietro le università occidentali». Non solo in Italia: da noi il fenomeno è più evidente, ma anche in Inghilterra e altri paesi si sta verificando. L’esito è scontato: così, l’università torna «all’antico ruolo di promozione del ricambio generazionale di élite dirigenti appartenenti alle classi sociali più elevate». Nonostante ciò, aggiunge Formenti, «c’è chi ha la faccia tosta di sostenere che la laurea è ancora un investimento conveniente per chiunque», come Andrea Ichino e Daniele Terlizzese che sul “Corriere della Sera” scrivono che il rendimento di una laurea è superiore al rendimento medio di un portafoglio di azioni e obbligazioni, per cui vale in ogni caso la pena di “correre il rischio”; la vera colpa del calo delle iscrizioni sarebbe la scarsa diffusione di una sana cultura del rischio presso i nostri giovani, perché «se si è avversi al rischio, Carlo Formentil’incertezza frena l’investimento».
«Peccato – ribatte Formenti – che milioni di studenti americani, essendosi assunti il rischio, si trovino oggi a dover lottare per far fronte a debiti mostruosi che, essendo stati “cartolarizzati”, minacciano di generare sconquassi paragonabili a quelli provocati dai famigerati subprime nel caso gli indebitati non riuscissero a farvi fronte». Ma i liberisti nostrani hanno una soluzione anche per questo: invece di accendere mutui, si potrebbero istituire delle borse di studio che dovranno essere restituite se e quando i titolari avranno raggiunto livelli di reddito sufficienti. E se non li raggiungono? Non saranno obbligati a restituirli, sterilizzando così i rischi di insolvenza. “Naturalmente”, sottolinea Formenti, non sarà possibile garantire questa opportunità a tutti, ma solo ai più capaci e meritevoli. «Se mai questa proposta verrà messa in pratica», difficilmente il profilo socioeconomico dei “meritevoli” si scosterà da quello delle élite, «mentre eventuali eccezioni saranno vincolate a chiare garanzie ideologiche e comportamentali (fuori i rompiscatole, secondo il collaudato modello Marchionne)».
Ultima domanda: siamo così sicuri che la laurea funzioni ancora come via regia a un reddito elevato? I dati che arrivano dagli Stati Uniti, aggiunge Formenti, sollevano qualche dubbio in merito: è vero che, mediamente, i laureati continuano a guadagnare di più e ad avere maggiori opportunità di impiego dei diplomati, ma è altrettanto vero che i livelli di occupazione e redditi dei primi stanno calando con un ritmo pari a quello dei secondi. La laurea, commenta l’economista Jared Bernstein, già membro dello staff di Obama, non è una polizza di assicurazione contro la competizione globale, la rapida diffusione di tecnologie labor–saving e la disoccupazione di massa. Così, si comincia a rinunciare alla formazione universitaria: l’Italia non è (più) un paese per giovani. E lo sarà sempre meno, se non uscirà dal ricatto europeo del debito: la perduta sovranità finanziaria impone allo Stato di non investire più sulla comunità nazionale.

Nessun commento:

Posta un commento