Giovani, addio lavoro: spezzare l’Italia, missione compiuta
Allarme, dramma, tragedia. Sono i vocaboli con cui giornali, sindacati e Confindustria definiscono la catastrofe della disoccupazione indotta dalle politiche di rigore volute da Bruxelles. In Italia quasi un giovane su due non ha lavoro e, nel complesso, gli italiani disoccupati sono oltre 3 milioni. Un dato in continuo aumento: situazione desolante, fotografata dall’Istat e da Eurostat. Un record storico, addirittura, per i giovanissimi tra i 15 e i 24 anni: la massa dei senza lavoro supera il 40%, raggiungendo una soglia mai toccata dal 1977, anno d’inizio delle rilevazioni trimestrali. Peggio di noi, solo Spagna e Grecia. E’ la resa del Sud Europa al micidiale “economicidio” decretato dall’Eurozona: niente moneta sovrana e quindi tagli alla spesa pubblica, terremoto sul sistema di welfare, frana del credito, crollo dei consumi, agonia delle aziende e lavoratori a spasso. Da Monti a Letta, la musica non cambia: anzi, rispetto allo scorso anno la disoccupazione è cresciuta ancora, dell’1,4%, mentre la politica non accenna a riconoscere la causa del problema.
Buio pesto anche dai sindacati, che si limitano a registrare la gravità della situazione senza avanzare nessuna analisi. Luigi Angeletti, della Uil, non trova di meglio che invocare una generica «crescita economica», sostenuta da «un governo che prenda decisioni». Per il collega della Cisl, Raffaele Bonanni, serve «un sussulto di responsabilità». Obiettivo, allentare la pressione fiscale sul lavoro. Con che soldi? Non è dato saperlo. Non una parola, dai sindacati, sulla tragedia del sequestro europeo della sovranità finanziaria. Con un lessico analogo, che in altre circostanze sarebbe comico, il vicepresidente di Confindustria, Aurelio Regina, sostiene che serve «un governo che lavori per consentire l’aggancio dell’Italia alla ripresa». Tradotto: meno tasse su lavoro e aziende, per riattivare i consumi. Peccato che il ministro dell’economia sia l’ex banchiere centrale Fabrizio Saccomanni, fedele interprete delle direttive Ue. Nonostante ciò, Regina chiede che nella “legge di stabilità” – la mannaia con cui Bruxelles condanna i suoi sudditi, in primis l’Italia – il governo «dia spazio a un deciso taglio del cuneo fiscale», perché il paese «ha bisogno di risposte urgenti».
Secondo il Cnel, i ragazzi italiani che hanno di fronte questo sfacelo, prodotto dal mix infernale tra globalizzazione selvaggia e smantellamento della democrazia (il golpe finanziario chiamato Eurozona), si vedono costretti ad essere «più attivi, ma più disoccupati». Non si arresta il fenomeno dei Neet (“not in employment, education or training”): la quota di ragazzi che non hanno un’occupazione e al tempo stesso non sono a scuola o in formazione si attesta al 23,9% della popolazione giovanile, con punte di 35% nelle regioni del Mezzogiorno, rileva il “Fatto Quotidiano”. Più attivi sul mercato, ma più disoccupati o sotto-inquadrati rispetto ai livelli di istruzione conseguiti, i giovani confermano ancora una volta il vuoto che esiste tra i risultati del sistema formativo, la domanda di lavoro e il progressivo incremento del fenomeno dell’over-education. «I giovani sono inoltre più frequentemente working poor, lavoratori a basso salario, che accettano condizioni lavorative che li espongono al rischio di indigenza, pur di entrare nel circuito produttivo». In Europa, sta meglio solo la Germania coi suoi satelliti (Austria, Lussemburgo), cioè l’economia basata sull’export che – proprio grazie all’euro – in dieci anni ha
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