Sos futuro: serve un’economia sociale e democratica
Inutile negare che l’economia sia un potente motore dell’umanità, come comunità sociale: ma il problema è che, oggi, proprio l’economia è diventata il grande tabù della politica. «L’economia non può essere un vincolo per la politica, se contemporaneamente la politica non lo è per l’economia», sostiene Enrico Guglielminetti, direttore della rivista “Spazio filosofico”. «Se – come osserviamo – sempre più spesso l’economia prevarica sulla politica, l’alternativa non sta semplicemente in un ristabilimento dei confini reciproci, ma in forme diverse, e questa volta virtuose, di contaminazione». Ovvero: «L’economia deve farsi politica e la politica economia». Attenzione: «Non nel senso che i banchieri debbano governare gli Stati», cosa che peraltro avviene oggi, dalle parti dell’Eurozona, «ma nel senso che il capitalismo dovrebbe imboccare con decisione la propria fase sociale di sviluppo».
«Così come la seconda metà del Novecento è stata l’epoca della costruzione del welfare, grazie alla collaborazione traeconomia e politica – continua Guglielminetti – così oggi le forme dell’attività economica dovrebbero assumere il momento politico democratico come costitutivo della propria ragion d’essere». Esattamente il contrario di quanto avvenuto finora, per gradi, anche in Italia, col paese – come altri, nell’infelice Unione Europea – ridotto ormai al lumicino e messo alla frusta da grigi “contabili” della cosiddetta crisi. “Spazio filosofico” non lo esplicita, ma è evidente che – come predicato dai teorici della sovranità monetaria, in primis Warren Mosler, ma anche un altro americano come Paul Krugman, Premio Nobel per l’Economia – solo la restituzione di sovranità vitale allafinanza pubblica può far diventare “politica” l’economia, ed “economica” – in senso democratico – la politica. Lo afferma anche un sociologo impegnato come Luciano Gallino: si esce dalla crisi occupazionale solo mettendo lo Stato nelle condizioni di investire direttamente sul lavoro, specie dei giovani.
«La sostenibilità politica, e più generalmente sociale – aggiunge Guglielminetti su “Spazio Filosofico” – dovrebbe diventare il primo requisito di ogni attività economica, una sorta di tabù, così come la sostenibilità economica è ormai un tabù per la politica». Politica ed economia dovrebbero insomma “tabuizzarsi” a vicenda. «Questo reciproco tabù – conclude Guglielminetti – rappresenterebbe per così dire un vincolo costituzionale condiviso, che consentirebbe alle “parti” della politica e dell’economia di affrontarsi in una dialettica aspra ma corretta, che affondi le proprie radici nel riconoscimento reciproco». Prendano nota, i sostenitori del Fiscal Compact e del pareggio di bilancio – cioè, in pratica, l’intero Parlamento uscente: il “vincolo costituzionale condiviso” non può essere la brutale amputazione dello Stato e il suo potere di spesa pubblica per i cittadini, ma l’impegno a scrollarsi di dosso quella che oggi viene definita la “dittatura” della finanza, l’arma letale dell’economia privata, quella dei grandi monopoli, socialmente irresponsabile fino al massimo livello criminale, da Lehman Brothers al martirio della Grecia.
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