domenica 1 aprile 2012

EUTANASIA/ Quella legge sul suicidio che difende i malati terminali


EUTANASIA/ Quella legge sul suicidio che difende i malati terminali

sabato 31 marzo 2012
Il Parlamento inglese ha approvato una mozione di sostegno alle linee guida sul suicidio assistito elaborate due anni fa dal Director of Public Prosecutions, Keir Starmer. Al procuratore nazionale era stato sottoposto il caso di un marito che desiderava accompagnare la moglie, malata terminale, in una clinica svizzera dove si pratica l’eutanasia. L’uomo chiedeva alla magistratura se sarebbe stato penalmente perseguibile per il suo gesto. In risposta, Starmer ha elaborato delle linee guida in cui si afferma che aiutare una persona a suicidarsi è un reato che va perseguito se avviene per finalità d’interesse, mentre non lo è se il motivo è la compassione. Il Parlamento si è espresso a favore delle linee guida, ma si è rifiutato di cambiare la legge del 1961 sul suicidio in base a cui aiutare qualcuno a togliersi la vita rappresenta un reato. Ilsussidiario.net ha intervistato Alistair Thompson, portavoce di Care Not Killing, un’associazione non profit inglese che promuove le cure palliative e combatte l’eutanasia.

Thompson, dopo questa mozione la legge inglese è più permissiva nei confronti del suicidio assistito?

Il Parlamento si è trovato a discutere un emendamento presentato dalla parlamentare Joan Ruddock. L’esponente laburista voleva che le linee guida sul suicidio assistito assumessero il valore di legge, cambiando la norma esistente, il Suicide Act del 1961. Il Parlamento però ha respinto ogni tentativo di modificare la legge.

Ritiene che questa decisione di non cambiare la legge rappresenti un risultato positivo?

Sì. La legge britannica sul suicidio, che è in vigore da 41 anni, ha sempre difeso i disabili, gli anziani e i malati terminali. Si tratta di persone che possono subire pressioni o fare pressioni su altri per essere aiutati a togliersi la vita. La nostra associazione ritiene che invece di difendere il diritto all’eutanasia, occorra impegnarsi affinché i disabili possano accedere alle cure palliative più avanzate e ad altre forme di assistenza.

Le linee guida introducono una differenza tra “compassione” e “motivi d’interesse”, stabilendo che l’assistenza al suicidio può essere perseguita solo nel secondo caso. Che cosa ne pensa di questa distinzione?

Le linee guida prendono in considerazione un vasto numero di fattori, e non soltanto le motivazioni, ma restano ferme sul fatto che aiutare un’altra persona a suicidarsi va contro la legge. La novità introdotta dal documento di Starmer è che quando qualcuno è fortemente motivato dalla compassione, e non vi è alcun guadagno finanziario, o altre forme di guadagno, allora è meno probabile che il pubblico ministero apra un’inchiesta. Non apre quindi la porta a una legalizzazione del suicidio assistito attraverso una scorciatoia, in quanto la legge rimane la stessa. Le linee guida del Director of Public Prosecutions sono né più né meno il testo redatto da un magistrato, cioè da qualcuno che può interpretare la legge ma non può cambiarla.

Che cosa l’ha colpita di più del dibattito sul suicidio assistito al parlamento inglese?

Nel corso del dibattito c’è stato un discorso molto commovente del parlamentare Craig Whittaker, che ha raccontato un episodio della sua vita familiare. Il fratello, 17enne e malato terminale di cancro, fece diverse pressioni sulla famiglia affinché lo aiutasse a togliersi la vita. Il padre si rifiutò di farlo, ma a distanza di 20 anni, pur restando convinto di avere fatto la scelta migliore, si trova a combattere ancora con i sensi di colpa per non avere aiutato il figlio malato. Whittaker ha osservato che in molti pensano ai diritti dei malati terminali, ma nessuno si interroga sulla situazione dei familiari che subiscono delle pressioni da parte di chi chiede loro di aiutarli a morire.

Hanno parlato anche i rappresentanti dei disabili?

La baronessa Jane Campbell, affetta da atrofia muscolare spinale fin dall’infanzia, ha tenuto un grande discorso, sottolineando che numerosi disabili si sentirebbero schiacciati per il fatto di gravare sulle loro famiglie come un peso per il fatto di dovere essere accuditi o comportare delle spese. Sarebbe questo a spingerli a chiedere di porre fine alla loro vita. Il rischio quindi è il messaggio che passi sia che per chi è disabile o anziano, la vita ha meno valore rispetto a chi è giovane e sano. Di fatto il Parlamento, pur non cambiando la legge, ha espresso il suo formale apprezzamento nei confronti delle linee guida sul suicidio assistito.

Da un punto di vista pratico, che cosa cambierà per i malati terminali?

Nulla, la legge non è stata modificata e le linee guida di fatto non introducono alcuna novità sostanziale. L’importante è che ciascun caso sia indagato a fondo sia dalla polizia sia dalla procura, e se avvengono pressioni ai danni di persone malate affinché si tolgano la vita, questi reati siano perseguiti ai sensi della legge. In questo modo si proteggono le persone più deboli della società.

(Pietro Vernizzi)


Monti..Monti..Tra veti incrociati e pantano ideologico, dov'è finita la "fase due


 Tra veti incrociati e pantano ideologico, dov'è finita la "fase due"?

domenica 1 aprile 2012
SCENARIO/ Tra veti incrociati e pantano ideologico, dov'è finita la fase due?
E' due giorni che il Corriere della Sera, quello che un tempo si chiamava la “corazzata di via Solferino”, fa le pulci al “governo dei tecnici” di Mario Monti. Venerdì, con Dario Di Vico, si spiegava che mentre nelle piccole e medie imprese arrivavano le cartelle di Equitalia, quelle stesse imprese vantavano crediti nei confronti dello Stato. Sabato con l'accoppiata Giavazzi e Alesina che, anche loro, si sono accorti che esiste “La trappola delle tasse”. Bisognerebbe aggiungere un “pezzo” di Piero Ostellino, relegato a pagina 61, dal titolo quanto mai significativo “L'Italia dei miracoli e delle contraddizioni”. Che cosa sta succedendo a questo “governo”? Ci sono fatti contraddittori. Il primo è che la cosiddetta “fase due”, quella della crescita, sembra smentita dal dato che lancia oggi la Cgia di Mestre. “Nel 2011, 11.615 aziende hanno chiuso i battenti per fallimento, un dato mai toccato in questi ultimi quattro anni di crisi”. Il secondo è la sensazione di una situazione bloccata tra partiti della grande maggioranza, confermato indirettamente dalla necessità di una lettera al Corriere dello stesso Mario Monti. Il terzo è rappresentato, forse, da un momento di intiepidimento verso il Governo da parte dello stesso Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che di fatto ha “consigliato”, sulla riforma del lavoro e sul “tormentone” dell'articolo 18, non il decreto (che a Monti e al governo andavano benissimo), ma il disegno di legge per via parlamentare.
Paolo Preti, direttore del Master piccole imprese della Bocconi, spiega che, ogni tanto, sfoglia alcuni giornali dei mesi scorsi. Ha rivisto un Corriere dell'11 gennaio con una considerazione di Sergio Romano che evidenziava le differenze tra il “governo dei tecnici di Monti” e l'operato del cancelliere della Repubblica di Weimar. Dice il professor Preti: «Si sottolineava che la differenza consisteva soprattutto nel fatto che Monti aveva varato il decreto “CresciItalia”. Ora, sono passati quasi tre mesi, ma io di crescita non vedo traccia. E indubbiamente il dato della Cgia di Mestre è vero e preoccupante. Tuttavia, al riguardo, non per contrapporre un altro dato confortante, ma per giusta precisazione, occorre dire che la “morte” delle aziende in Italia è sempre compensata da una maggiore nascita di altre imprese. E' quello che attesta Unioncamere. Certo, in un periodo di crisi esiste una sorta di “ripulitura” di alcune forme di produzione, ma c'è anche il tentativo dei singoli di mettersi in proprio, magari senza avere le capacità imprenditoriali per cominciare una simile avventura».
C’è, poi, il drammatico problema della pressione fiscale che per le imprese in particolare - i produttori di ricchezza - è la più alta di tutti i Paesi Ocse.
Questo è vero purtroppo e non si riesce a comprendere perché un problema come questo, che è il vero problema, non venga affrontato. Personalmente faccio fatica a capire come un “governo di tecnici”, che dovrebbe essere libero da incrostazioni e bardature politiche, non vada al nodo del problema italiano. Anche questo esecutivo, come qualunque altro di centrodestra o di centrosinistra, sta rituffandosi in questioni di carattere ideologico. E’ quanto appare, ad esempio, sulla riforma del mercato del lavoro e dell'articolo 18.
I toni sono di nuovo concitati. Non c'è solo la Cgil di Susanna Camusso, ma anche il Pd con Rosy Bindi che parla di “punto irrinunciabile”. In sostanza l'articolo 18 non si tocca.
Si gira sempre intorno a questo articolo 18 che poi, in sostanza, ha una portata veramente relativa rispetto ai veri problemi, come abbiamo detto più volte. Ma il fatto che il “governo dei tecnici” sia rimasto quasi prigioniero di questo scontro, che lo stesso Presidente Napolitano abbia indicato la via parlamentare e non il decreto, in un modo non proprio bipartisan, fa pensare a un governo bloccato. E questo è l'aspetto più preoccupante.
Da anni si parla in termini negativi di una tassa come l'Irap. Non si potrebbe abbassare l'aliquota almeno di qualche punto?
Il problema è che l'Irap per le imprese scatta come l'Irpef. E' una tassa certa. E in un momento come questo nessuno ha il coraggio di andare a toccare un'entrata certa e sicura.
In sostanza, pare che la crescita non parta, la pressione fiscale rimanga inalterata o addirittura rischi di aumentare, con un'impennata dei prezzi, e nello stesso tempo il governo resti bloccato.
Beh, in questo momento, pur precisando quel dato sul fallimento delle imprese nel 2011, con relativa nascita di un numero maggiore di altre imprese, non si vede nulla di nuovo all'orizzonte. E la situazione è problematica. Non enfatizzerei i casi di cronaca che si sono verificati, pur con tutto il rispetto e la dovuta attenzione che si deve a queste persone. E' l'impressione di fondo che lascia perplessi. Alla fine, questo governo ha recuperato una buona credibilità internazionale. E va bene. Ma si sono fermati lì, per il resto la situazione non è mutata. In più, sulle discussioni che stanno emergendo in questi giorni, la sensazione è che il governo non solo sia bloccato, ma vada a infilarsi, soprattutto sulla vicenda del mercato del lavoro e dell'articolo 18, in una specie di pantomima ideologica.
Sta emergendo anche un problema di liquidità, cioè di credit crunch. Le banche sono state finanziate dalla Banca centrale europea, ma di denaro nell'economia reale, di finanziamenti alle imprese ne arriva poco.
Difficile documentare, nei particolari, questo fatto che,  indubbiamente, esiste. E' possibile che vi concorrano una serie di fattori. Che le banche, cioè, abbiano lasciato il denaro alla Bce per rifinanziarsi, che siano preoccupate dai parametri di Basilea 3 e dell'Eba. Va tenuto presente che, ormai, le nostre due banche maggiori, per i valori della capitalizzazione che hanno oggi, rischiano di essere oggetto di un'opa da parte di investitori esteri.