giovedì 19 luglio 2012

Usa e Uk, l’ultimo "trucco" delle banche


Usa e Uk, l’ultimo "trucco" delle banche

giovedì 19 luglio 2012
GEOFINANZA/ Usa e Uk, l’ultimo trucco delle banche
Non ci saranno nuovi stimoli all’economia statunitense per il momento, nonostante il rallentamento della crescita. Lo ha detto martedì, di fronte alla commissione bancaria del Senato, Ben Bernanke. Il presidente della Fed ha poi sottolineato che la crisi dell’Eurozona pesa sull’economia globale e statunitense ma per risolverla, visto anche il contesto «confuso», potrebbe essere necessario molto tempo: «La possibilità che la situazione in Europa peggiori ulteriormente resta un rischio significativo».
La crescita nel secondo trimestre, ha poi detto Bernanke, sarà sotto il 2%. Secondo il presidente della Fed, «l’economia statunitense ha portato avanti il suo recupero, ma l’attività economica sembra in qualche modo avere decelerato durante il primo semestre di quest’anno», anche a causa di una disoccupazione ancora a livelli alti. Il numero uno della Fed, al contrario di quanto era atteso, non ha comunque dato indicazioni su ulteriori passi della Banca centrale a sostegno dell’economia, attaccando anzi il Congresso: se agisse, ha detto, la Fed potrebbe non seguirlo. La Federal Reserve, ha aggiunto, «ha a disposizione un’ampia serie di strumenti per sostenere l’economia, ma le misure straordinarie devono essere utilizzate con cautela». Per finire, Bernanke ha dichiarato che «lo scandalo sulla manipolazione del tasso interbancario Libor è molto preoccupante e mina la fiducia nel sistema finanziario. Questo sistema era strutturalmente imperfetto».
Questo quanto detto da Bernanke e riportato dai giornali di mezzo mondo, i quali però si sono ben guardati dal riportare questa frase del numero uno della Fed sempre riguardo lo scandalo Libor: «La manipolazione dei tassi è stata un pochino più bassa da parte di certe banche, ma solo perché volevano mostrarsi sane durante la crisi». Insomma, per uno dei principali regolatori al mondo, la Fed, la manipolazione del Libor è stata poco più che una ragazzata, un tocco di maquillage per rendere meno da pelle d’oca gli stati patrimoniali delle banche! Beata onestà, per una volta: in effetti è andata proprio così, con un piccolo effetto collaterale in più che ha fatto parecchio comodo alla Fed come al governo statunitense. Le banche non sono infatti state le uniche a beneficiare dell’abbassamento dei tassi Libor: debitori e investitori i cui tassi floating o variabili sono in qualche modo legati al Libor hanno anch’essi tratto giovamento da quella manipolazione.
D’altro canto, si può anche obbiettare che fissando i tassi al ribasso, le banche stessero fregando loro stesse rispetto agli introiti sugli interessi, visto che l’effetto di abbassare il tasso Libor è quello di abbassare il tasso di interesse sui prestiti ai clienti, così come i mutui a tasso variabile che sono nei portafogli delle banche. Ma quasi certamente le banche non hanno fissato il tasso del Libor con in mente il bene dei loro clienti. Con quella mossa hanno ottenuto due risultati: perpetuare il regime di bassi tassi d’interesse delle banche centrali e alterare in meglio il loro stato patrimoniale. L’ultima cosa che le banche volevano, infatti, era un tasso di interesse in aumento che facesse calare il valore delle loro detenzioni e rivelare grosse perdite, finora mascherate proprio dal maquillage di tassi d’interesse taroccati.
Le banche, infatti, hanno ottenuto guadagni dall’aumento dei prezzi o la maggiore valutazione di strumenti finanziari a tasso floating - come i cdo, ad esempio -, una conseguenza diretta dell’abbassamento del tasso Libor. Visto che i prezzi degli strumenti di debito tendono a muoversi tutti nella stessa direzione e in direzione opposta a quella dei tassi d’interesse (bassi tassi significa alti prezzi dei bonds e viceversa), l’effetto di un abbassamento dei tassi Libor è stato l’aumento dei prezzi dei bonds, degli strumenti finanziari asset-backed e di altre securities. Alla fine, ecco cosa otteniamo: uno stato patrimoniale delle banche che sembra, artificialmente, più sano di quanto sia in realtà. Chi perde, invece? Gli acquirenti di swaps sui tassi d’interesse, i risparmiatori che ricevono minori interessi sui loro conti correnti e, alla fine, tutti i detentori di bond, visto che saranno i primi a pagare a caro prezzo quando questa manipolazione farà esplodere la bolla obbligazionaria, facendo crollare i prezzi.
Insomma, la manipolazione del Libor è servita a pompare i prezzi di bonds e asset-backed securities. In effetti, nel Regno Unito come negli Usa, il tasso di interesse sui bonds governativi è minore del tasso d’inflazione: a fronte di uno yield sul Gilt ventennale del 2,55%, l’inflazione Oltremanica è circa del 2,8%. Inoltre, sia nel Regno Unito che negli Usa la ratio debito/Pil sta salendo: la Gran Bretagna, ad esempio, sconta una ratio doppia rispetto a quella media del periodo 1980-2011. La domanda che sorge spontanea è, quindi: perché un investitore compra bonds a lungo termine che pagano interessi minori dell’inflazione, mentre il debito di quei paesi sta salendo rispetto al Pil facendo deteriorare le loro prospettive e il loro outlook?
Certo, se gli investitori capissero che stanno perdendo soldi, venderebbero quei bonds e di conseguenza farebbero calare i prezzi e alzare i tassi d’interesse. Perché questo non sta accadendo? La gente si diverte a farsi prendere in giro dalle banche? È felice di buttare i soldi dalla finestra? Semplice, perché nonostante i tassi d’interesse negativi, gli investitori stanno facendo capital gains dalle loro detenzioni di bond del Tesoro, poiché i prezzi salgono proprio a fronte dell’abbassamento dei tassi d’interesse. Sembra uno schema Ponzi: e in parte lo è. Basti pensare alle motivazioni per l’abbassamento dei tassi d’interesse.
Primo, Wall Street, ad esempio, ha venduto enormi quantitativi di swaps sui tassi d’interesse, essenzialmente un modo per shortare i tassi d’interesse e spingerli al ribasso. Conseguenza di questo, l’aumento del prezzo dei bonds. Secondo, la manipolazione del Libor che ha ottenuto lo stesso effetto, abbassare i tassi sui Gilts britannici e aumentarne i prezzi. Quindi, oltre alla teoria in base alla quale questo scandalo sarebbe esploso a orologeria per danneggiare il più possibile le banche centrali e le loro politiche espansive in questo momento, un’altra prende piede. Ovvero, dopo essere state salvate dai relativi governi, le banche britanniche e Usa stanno restituendo il favore sia al Tesoro che alla Fed e alla Bank of England per la loro politica di tassi bassi, manipolando il mercato obbligazionario sovrano, il quale sarebbe stato in altro modo abbattuto dall’abbondanza di nuovo debito e dalla monetizzazione di questo o parte di esso.
Insomma, il concetto di mercato risk-free per Treasuries e Gilts sarebbe, di fatto, il frutto di un’enorme manipolazione a fronte di debiti in sempre maggiore peggioramento, degni dell’appellativo di “periferici”. Per quanto potrà essere sostenuta questa bolla di debito governativo? Quanto possono andare al ribasso in territorio negativo i tassi d’interesse?
Per rendere positiva la politica di bassi tassi sui bonds governativi, occorrerebbe infatti che un’economia in declino - come di fatto sono quelle di Usa e Gran Bretagna - riuscisse ad annullare l’impatto sull’inflazione della creazione di debito e della sua monetizzazione, portando il tasso inflattivo verso lo zero. Possibile? Questo sembra la mission dichiarata della Fed, visto che per utilizzare un po’ di inflazione come kicker della crescita, Bernanke punta a un’inflazione al 2%: al prezzo corrente dei bonds Usa, significa l’obbligatoria continuazione della politica di tassi d’interesse negativi.
Il fatto che la Fed abbia ammesso di essere a conoscenza della manipolazione del Libor fin dal 2008, ci dà una chiara indicazione di come sia stata possibile una collusione ad alto livello per abbattere i tassi e mantenere alti i prezzi dei bonds. Quindi, o i prezzi delle obbligazioni continueranno a salire artificialmente mentre verrà emesso nuovo debito, oppure la bolla sta per esplodere. Ma questa storia i giornali, esattamente come la per la crisi subprime e dei debiti sovrani, ve la racconteranno quando sarà già esplosa.

P.S.: Qualche numero per chi ancora crede alla buffonata del salvataggio delle banche spagnole con i famosi 100 miliardi di euro garantiti dall’Ue. I Bonos decennali ieri sono tornati in area 7% di rendimento per una ragione molto semplice: i settori scatenanti la crisi iberica, quello immobiliare e quello bancario, continuano a peggiorare. Nel secondo trimestre di quest’anno il prezzo delle case è crollato al ritmo più veloce dall’inizio dell’intera crisi, mentre i bad loans, i prestiti inesigibili, sono cresciuti per il 14mo mese di fila, come ha confermato la Banca di Spagna. A fronte di tutto questo e della certezza di uno scudo europeo per ricapitalizzare le banche (lo vedo che state ridendo, screanzati), i depositi bancari sono scesi del 5,75% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
Insomma, costi del finanziamento sempre più alti e recessione che si protrae, il perfetto circolo vizioso. Sarà per questo che, in un afflato di realismo disperato, il premier Mariano Rajoy ha ammesso che «questo governo non può decidere tra una scelta buona e una cattiva, deve decidere tra una cattiva e una ancora peggiore». Auguri, agosto si avvicina.

Monti impara da Hollande ,lui non è un professore

Monti impara da Hollande ,lui non è un 

professore




Ecco cosa ha fatto Hollande (non parole, fatti) in 56 giorni di governo: ha abolito il 100% delle auto blu e le ha messe all’asta; il ricavato va al fondo welfare da distribuire alle regioni con il più alto numero di centri urbani con periferie dissestate. Ha fatto inviare un documento (dodici righe) a tutti gli enti statali dipendenti dall’amministrazione centrale in cui comunicava l’abolizione delle “vetture aziendali” sfidando e insultando provocatoriamente gli alti funzionari, con frasi del tipo “un dirigente che guadagna 650.000 euro all’anno, se non può permettersi il lusso di acquistare una bella vettura con il proprio guadagno meritato, vuol dire che è troppo avaro, o è stupido, o è disonesto. La nazione non ha bisogno di nessuna di queste tre figure”. Touchè. Via con le Peugeot e le Citroen. 345 milioni di euro risparmiati subito, spostati per creare (apertura il 15 agosto 2012) 175 istituti di ricerca scientifica avanzata ad alta tecnologia assumendo 2.560 giovani scienziati disoccupati “per aumentare la competitività e la produttività della nazione”. Ha abolito il concetto di scudo fiscale (definito “socialmente immorale”) e ha emanato un urgente decreto presidenziale stabilendo un’aliquota del 75% di aumento nella tassazione per tutte le famiglie che, al netto, guadagnano più di 5 milioni di euro all’anno. Con quei soldi (rispettando quindi il fiscal compact) senza intaccare il bilancio di un euro ha assunto 59.870 laureati disoccupati, di cui 6.900 dal 1 luglio del 2012, e poi altri 12.500 dal 1 settembre come insegnanti nella pubblica istruzione. Ha sottratto alla Chiesa sovvenzioni statali per il valore di 2,3 miliardi di euro che finanziavano licei privati esclusivi, e ha varato (con quei soldi) un piano per la costruzione di 4.500 asili nido e 3.700 scuole elementari avviando un piano di rilancio degli investimenti nelle infrastrutture nazionali. Ha istituito il “bonus cultura” presidenziale, un dispositivo che consente di pagare tasse zero a chiunque si costituisca come cooperativa e apra una libreria indipendente assumendo almeno due laureati disoccupati iscritti alla lista dei disoccupati oppure cassintegrati, in modo tale da far risparmiare soldi della spesa pubblica, dare un minimo contributo all’occupazione e rilanciare dei nuovi status sociale. Ha abolito tutti i sussidi governativi a riviste, rivistucole, fondazioni, e case editrici, sostituite da comitati di “imprenditori statali” che finanziano aziende culturali sulla base di presentazione di piani business legati a strategie di mercato avanzate. Ha varato un provvedimento molto complesso nel quale si offre alle banche una scelta (non imposizione): chi offre crediti agevolati ad aziende che producono merci francesi riceve agevolazioni fiscali, chi offre strumenti finanziari paga una tassa supplementare: prendere o lasciare. Ha decurtato del 25% lo stipendio di tutti i funzionari governativi, del 32% di tutti i parlamentari, e del 40% di tutti gli alti dirigenti statali che guadagnano più di 800 mila euro all’anno. Con quella cifra (circa 4 miliardi di euro) ha istituito un fondo garanzia welfare che attribuisce a “donne mamme singole” in condizioni finanziarie disagiate uno stipendio garantito mensile per la durata di cinque anni, finchè il bambino non va alle scuole elementari, e per tre anni se il bambino è più grande. Il tutto senza toccare il pareggio di bilancio. Risultato: ma guarda un po’ SURPRISE!! Lo spread con i bund tedeschi è sceso, per magia. E’ arrivato a 101 (da noi viaggia intorno a 470). L’inflazione non è salita. La competitività e la produttività nazionale è aumentata nel mese di giugno per la prima volta da tre anni a questa parte. Hollande è un genio dell’economia?  

Crisi: spread BTp-Bund a 479 in avvio


Crisi: spread BTp-Bund a 479 in avvio

Il rendimento dei decennali italiani a 5,99%



ANSA) - ROMA, 19 LUG - Spread BTp-Bund in lieve calo in avvio di giornata sui mercati obbligazionari europei, a quota 479,1, rispetto ai 482 punti base della chiusura di ieri. Il rendimento dei decennali italiani e' al 5,991%.

Rossella Urru è libera


Rossella Urru è libera



Tunisi - Rossella Urru è libera : dopo 270 giorni di prigionia, letteralmente inghiottita nel nulla, nelle mani di un gruppo islamico pericoloso quanto misterioso, è stata liberata con i suoi due compagni, i cooperanti spagnoli Ainhoa Fernandez de Ruincon e Eric Gonyalons.
La conferma della voci della liberazione che si rincorrevano già da questa mattina è arrivata nel tardo pomeriggio con l’annuncio del ministro degli esteri Giulio Terzi che ha parlato di una «bellissima notizia» mentre dal Quirinale il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha sottolineato la «gioia e sollievo» dopo aver seguito, come il premier Mario Monti, personalmente la vicenda.
E proprio Monti in una nota afferma di partecipare «alla grande gioia dei familiari e di tutti gli italiani per la liberazione di Rossella Urru». «Ringrazio gli organi dello Stato - dice ancora il premier - per questo ulteriore successo che l’Italia può segnare nella lotta contro il terrorismo internazionale, rafforzando il sentimento di sicurezza che l’appartenenza alla comunità nazionale assicura agli italiani che operano nel mondo».
E immediatamente a Samugheo, il paese di origine della Urru in Sardegna, è scoppiata la gioia con le campane che hanno iniziato a suonare a festa mentre caroselli di auto salutavano la liberazione. «È tutto vero», confermava anche Mauro, il fratello di Rossella, rimasto nell’isola mentre i genitori erano già a Roma, alla Farnesina. In attesa di rivedere Rossella che potrebbe arrivare nella capitale a stretto giro: «Sono emozionatissima, non vedo l’ora di riabbracciarla», le prime parole della mamma.
L’incubo di Rossella - una vicenda che ha registrato una grande partecipazione dell’opinione pubblica con una vasta mobilitazione - è finito ieri in una non precisata località del nord del Mali (da mesi saldamente in mano jihadista). La Urru ed i suoi due colleghi erano stati rapiti il 23 ottobre scorso nel campo Rabouni, a Tindouf, dove c’è la più grossa comunità di saharawi, gli abitanti dell’ex Sahara spagnolo che non accettano la sovranità marocchina.
A sequestrarli un gruppo armato che, a bordo di pick-up, fece irruzione nel campo e li prelevò, sparendo letteralmente nella notte e lasciando aperti molti interrogativi, perché, colpendo i cooperanti, si colpiva il popolo saharawi, manifestamente sostenuto dai movimenti islamici.
È ancora presto per capire cosa sia accaduto in questi lunghi mesi e, soprattutto, cosa realmente si nasconda dietro questo sequestro che ha reso «famoso» il Movimento per l’unicità e la jihad nell’Africa occidentale, gruppo dalle origini oscure, praticamente sconosciuto sino a pochi mesi fa e che ora dialoga con i Paesi (anche se i dinieghi ufficiali su presunte trattative sono unanimi) e si impone come protagonista nella magmatica situazione del nord del Mali, con una disponibilità economica sospetta, anche se si pensa che per rilasciare i suoi ostaggi si faccia pagare e bene.
Ma, quali che possano essere gli accordi per il rilascio, sarebbe ben difficile capire come il Mujao abbia potuto, in un periodo brevissimo, fare un tale salto di qualità (che significa armi e uomini, da pagare bene entrambi), anche con attentati sanguinosissimi, soprattutto in Algeria. Nei mesi scorsi il Mujao aveva chiesto, per la liberazione di Rossella Urru e Ainhoa Fernandez de Rincon, trenta milioni di euro.
Nella trattativa non era stato fatto entrare il nome di Gonyalons, perché il Mujao voleva usare la sua minacciata eliminazione come leva nei confronti del governo di Madrid per ammorbidirne l’intransigenza. Dopo il no ufficiale alla prima richiesta, è seguito il silenzio, che in questi casi spesso significa che i contatti sono stati riallacciati nel più totale segreto, magari servendosi di mediatori. Come possono essere stati i notabili arabi che, nel nord del Mali islamico, mantengono intatta la loro autorevolezza.
Quanto sta accadendo dà la netta impressione che, nell’alleanza islamica del nord del Mali, i gruppi che ne fanno parte abbiano ormai compiti ben precisi: Aqmi incarna l’ala militare; Ansar Dine impone la sharia nelle regioni “liberate”; il Mujao gestisce i sequestri. E lo fa anche bene, perché limita al massimo i comunicati, centellina le notizie (come ha fatto nel caso di Rossella Urru) e usa alcuni media «non ostili» quando c’è da fare pressione, magari facendo filtrare informazioni errate, come quella della liberazione degli ostaggi, con il solo scopo di fare montare la tensione nei Paesi d’origine dei rapiti.

L’attentato agli israeliani, i morti, il dito puntato contro l’Iran e lo spettro di un conflitto


L’attentato agli israeliani, i morti, il dito puntato contro l’Iran e lo spettro di un conflitto

Fumo. Tanto fumo. E nero, anche. E fiamme. E metallo che brucia. E carne che arrostisce. E gente che urla, piange, chiede aiuto, soccombe, cerca parenti e amici, fugge, tossisce. Alla fine il bilancio, quello utile alle cronache giornalistiche, ma che nasconde la vera portata del fatto, ecco, il bilancio parla di sette morti (5 sono israeliani, gli altri due l’autista e l’assistente), due feriti gravi e altri 33 con escoriazioni e bruciature. Gli obiettivi erano, sono, tutti israeliani. Tutti ebrei. Il tutto, poi, a 18 anni esatti dall’esplosione di un kamikaze dentro il quartier generale della principale organizzazione ebraica in Argentina. Lì, i morti furono 85.
L’inferno va in scena in un anonimo aeroporto bulgaro – il «Sarafovo» di Burgas, 400 chilometri dalla capitale Sofia – verso le 17.30, ora locale. Il volo, partito da Tel Aviv, è atterrato da poco. I passeggeri sbarcano, lasciano lo scalo e salgono a bordo di un gruppo di bus (tre, in tutto) arrivato lì apposta per loro. Poi l’esplosione. Non è ancora chiaro se a) si sia trattato di un kamikaze, b) di una bomba dentro una valigia o c) di un esplosivo attaccato al vano portaoggetti del bus. Quello che si sa è che uno dei tre mezzi va a fuoco. Le fiamme divampano presto. Lambiscono gli altri due pullman. È il fuggi fuggi generale.
I soccorsi non arrivano subito. Devono passare almeno dieci minuti prima che qualcuno si presenti con un estintore. Intanto la notizia inizia a fare il giro del mondo. Le autorità locali decidono di chiudere l’aeroporto di Burgas. Lo Shin Bet, la sicurezza interna israeliana, ordina la sospensione immediata di tutti i voli verso Bulgaria, Croazia, Serbia, Grecia, Sudafrica, Tailandia, Turchia e Azerbaigian. Chiude per qualche ora anche lo scalo internazionale «Ben Gurion» di Tel Aviv, l’unica finestra aerea verso e dal mondo d’Israele. In attesa di capire cosa stia succedendo a migliaia di chilometri di distanza.
Dopo tanto tempo i notiziari israeliani tornano a un decennio fa. A quando, quasi una volta alla settimana, dovevano andare in onda con edizioni straordinarie per raccontare dell’ennesimo attentato contro gli ebrei. Ma con Twitter e Facebook stavolta le notizie girano molto più in fretta. E le testimonianze pure. «Ci sono decine di passeggeri israeliani bloccati all’aeroporto di Burgas», racconta Itzik Levi, proprietario di un ristorante del posto, al quotidiano Haaretz a tarda sera.
Intanto a Gerusalemme compare il premier Netanyahu. Dice, Netanyahu, che dietro l’attentato «c’è la mano iraniana. Sappiano loro e i complici che sentiranno nel profondo la rappresaglia israeliana». L’attribuzione della matrice stupisce molti giornalisti. Poi parla il ministro della Difesa, Ehud Barak. E anche lui punta il dito contro Teheran. E fa intuire un supporto logistico di Hezbollah. Intanto in tutto il mondo è un coro di cordoglio, dolore, proteste e sgomento.
Poco prima un portavoce di Hezbollah nega qualsiasi coinvolgimento. «Noi non colpiamo turisti inermi e senza alcuna responsabilità», dicono da Beirut. Ma non sono molto convincenti. Se non altro, è il ragionamento che fanno al quartier generale dello Shin Bet, «la join venture tra Hezbollah e l’Iran è andata in scena negli attentati – realizzati o sventati – in Tailandia, in Kenia, in Georgia, in India, in Azerbaigian».
Fonti bene informate raccontano di un Netanyahu non solo colpito dall’attacco, ma anche dal luogo e, soprattutto, dall’incapacità dei servizi di sicurezza israeliani di prevedere il pericolo. Anche se, a dire il vero, sia lo Shin Bet che il Mossad poco più di un mese fa avevano già avvertito della possibilità di attentati terroristici contro cittadini dello Stato ebraico proprio contro i bus, proprio con esplosivi e proprio nella zona bulgara di Burgas. Ma lo scenario non sarebbe poi stato inserito tra quelli più realistici. E quindi l’allarme sarebbe rimasto semplicemente un codice giallo.
Ora a Gerusalemme gira con insistenza il nome del generale Qassem Suleimani, dal 1998 capo della «Brigata Gerusalemme», l’unità delle Guardie Rivoluzionarie che ha il compito di diffondere l’ideologia khomeinista fuori dalla Repubblica Islamica. Proprio Suleimani viene indicato come l’uomo che comanda le operazioni all’estero, aiutato – fanno filtrare i servizi segreti israeliani – da miliziani di Hezbollah presenti in Turchia.
Se nei prossimi giorni dovesse essere provato un qualche collegamento dell’asse Hezbollah-Teheran – almeno questa è la voce che ha preso a circolare in serata – il governo Netanyahu non esiterebbe un secondo a riunire il gabinetto di guerra per rispondere ai due Paesi. Non è ancora chiaro, anche a tarda notte, in cosa consisterebbe la «risposta» israeliana. Ma da Washington – e dalle Nazioni Unite – sono molto preoccupati. E continuano a chiamare Netanyahu.

Allora i tedeschi non sono proprio Bravi in finanza!!Formula1: Nurburgring, fallimento alle porte


Formula1: Nurburgring, fallimento alle porte

Il cricuito tedesco ha una gestione economica e finanziaria disastrosa: enormi i debiti, si profila un collasso
nurburgring
Conti in rosso al Nurburgring: il tracciato tedesco non naviga in buone acque. Situazione economica e finanziaria a dir poco critica per la gestione della pista che ospita le gare di Formula1. A testimoniare il critico stato di insolvenza è il governatore della Renania-Palatinato, Kurt Beck: ci sono interessimaturati su un credito di 330 milioni di euro che ora sono arrivati a 413 milioni. Una cifra a dir poco enorme, impossibile da pagare per il direttivo del Nurburgring.