mercoledì 11 luglio 2012

FIRMIAMO TUTTI /Italia, 75mila firme per la petizione contro gli F-35

Italia, 75mila firme per la petizione contro gli F-35

10 luglio 2012
La campagna “Taglia le ali alle armi”, promossa da Rete Italiana per il Disarmo, Sbilanciamoci! e Tavola della Pace, si avvia alla conclusione della sua seconda fase. Conclusione che sarà celebrata il prossimo 12 luglio con la giornata di consegna delle firme della petizione contro i caccia. Firme che sono già arrivate a 75mila.

U.S. Navy photo courtesy Lockheed Martin via Getty Images
Hanno deciso di aderire alla giornata del 12 luglio 650 associazioni e oltre 50 Enti Locali (tra Regioni, Province e Comuni). Tutte presenze importanti che, insieme ai cittadini, chiederanno nuovamente al governo la cancellazione del programma di acquisto dei Joint Strike Fighter.
La convocazione in piazza avviene in concomitanza con la conferenza stampa del Senato prevista sempre per il 12 luglio e nata proprio con l’obiettivo di spiegare il nuovo programma di riforma della Difesa e i tagli che dovrà necessariamente subire il settore. Tagli che appaiono a molti solo “finti”, dal momento che, d’altro canto, il governo non sembra ancora aver manifestato alcun dubbio sull’acquisto dei costosi caccia F35.
É pur vero che nei mesi scorsi il ministro Di Paola aveva annunciato di averne ridotto l’acquisto: da 130 il nostro Paese avrebbe comperato “solo” 90 caccia. Si tratta, però, di un costo che resta comunque alto: 10 miliardi euro. 10 miliardi che, secondo i promotori della campagna “Taglia le ali alle armi”, ma anche secondo tutte le associazioni che ad essa hanno aderito, potrebbero essere utilizzati per incentivare l’occupazione, accelerare la ripresa economica, investire di più nella ricerca, nel settore sanitario e nell’ambiente.
Ideologie a parte, comunque, la campagna in questione ha avuto negli ultimi mesi il merito di far conoscere ai cittadini anche alcuni aspetti più “oggettivi” che stanno dietro l’acquisto degli F35. Problemi tecnici che, forse, sarebbe necessario considerare dal momento che farebbero lievitare ulteriormente il prezzo d’acquisto dei velivoli. Si tratta di quei difetti che sono stati segnalati dall’ultimo della Corte dei conti statunitense (il Gao) sul programma F-35 Joint Strike Fighter. Rapporto che risale al 20 marzo scorso ma di cui si è preferito parlare molto poco in Italia, al contrario di altri Paesi che, invece, hanno cominciato a manifestare dubbi sulla opportunità di procedere nell’acquisto.
Grazie a “Taglia le ali alle armi”, dunque, l’opinione pubblica italiana ha avuto la possibilità di capire meglio negli ultimi mesi cosa realmente ci sia dietro al progetto del caccia F-35. Capire, e probabilmente iniziare a considerare tale acquisto come un grave spreco di denaro pubblico a sostegno delle spese militari che, a dir della Difesa, avrebbero subito al contrario dei tagli.
Per quanti vogliano ancora aderire alla campagna che chiede al governo di cambiare rotta, dunque, l’appuntamento è per giovedì 12 luglio a Roma, subito dopo la conferenza stampa del Senato prevista per le ore 11.30.
Proprio tale conferenza sarà ulteriore motivo di discussione durante la giornata promossa da Giulio Marcon (Sbilanciamoci!), Flavio Lotti (Tavola della Pace) e Francesco Vignarca (Rete Italiana per il Disarmo), che cercheranno di illustrare, con dati ed analisi le controproposte del mondo della Pace per tagliare le ali alle armi.
E’ importante sapere, inoltre che nella giornata di dopodomani il Senato discuterà non solo dei problemi tecnici e dei costi del caccia F-35, ma anche del cosiddetto Ddl Di Paola, il provvedimento che dovrebbe portare a un risparmio della spesa militare. Questo almeno teoricamente, perché ad oggi esso appare a molti soltanto un modo per spostare l’impiego di risorse pubbliche verso nuovi acquisti di sistemi d’arma. Cosa di cui si può trovare conferma anche nella recente “spending review”, da cui si evince che le riduzioni per la Difesa e per l’acquisto di armamenti si limitano a poche decine di milioni e definiscono una diminuzione degli effettivi delle Forze Armate che si realizzerà solo dopo diversi anni.

Hitler

per ridere un po'

Imperdibile: http://www.youtube.com/watch?v=dzG26jgSy8I

Altro che anti-spread, l’Italia dovrà chiedere aiuto


Altro che anti-spread, l’Italia dovrà chiedere aiuto

mercoledì 11 luglio 2012
GEOFINANZA/ Borghi: altro che anti-spread, l’Italia dovrà chiedere aiuto
Il premier Mario Monti si è detto particolarmente soddisfatto di quanto emerso dall’Ecofin di lunedì e ieri. «E’ arrivato - ha detto - un importante segnale per i cittadini e per i mercati». Si è riferito, in particolare, alla ratificata del Fondo taglia-spread (anche se rimane da stabilire il meccanismo tecnico di interazione tra la Bce, l’Efsm e, quando entrerà in funzione, l’Esm), allo sblocco di 30 miliardi di euro per ricapitalizzare le banche spagnole e al varo della fase pilota dei project bond per il finanziamento di opere nei settori telecomunicazioni trasporti ed energia per un tolale di 4,5 miliardi. Abbiamo chiesto a Claudio Borghi, professore di Professore di Economia degli Intermediari Finanziari presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore come valutare gli esiti di questo summit europeo.

Secondo lei, sono stati raggiunti risultati concreti? 

Purtroppo, non mi pare che si sia giunti ad alcunché di sostanziale. Le dichiarazioni ricalcano supinamente quanto affermato nel corso del vertice del 28-29 giugno. Si è confermato lo sblocco degli aiuti alla Spagna, ma nessuna, tra le questioni che stanno a cuore a noi italiani, è stata affrontata.

E lo scudo taglia spread?

Si è deciso di dare mandato alla Bce di fare da agente all’Efsm e, quando entrerà in funzione, all’Esm. Al di là dei meccanismi che ancora devono essere stabiliti, si tratta di una misura che non è lontanamente sufficiente per fungere da deterrente alle intemperie dei mercati.

Perché?

Per placare il timore dei mercati rispetto ai debiti pubblici, si intende fare acquistare titoli da questo fondo con un’operazione che, di fatto, aggiungerà debito al debito. Ci si dimentica che si tratta di risorse che, qualcuno, ci dovrà pur mettere.

Cosa ne pensa, invece, dei project bond?

Pensi semplicemente al fatto che abbiamo un debito da 2000 miliardi di euro o che le banche spagnole hanno un buco di 100. Mi pare che, a fronte di questi odrini di grandezza, stiamo parlando del nulla.

Intanto, lo spread viaggia attorno ai 470 punti base. I mercati non sono ancora stati rassicurati?

Evidentemente, no.

Come è possibile che i leader europei non si rendano conto dell’inefficacia delle loro misure?

Potrebbero, effettivamente, non rendersene conto, il che sarebbe di una gravità assoluta. Si tratterebbe di persone che non hanno idea di quello che stanno facendo. Allora, avremmo un problema grande come una casa. Preferisco pensare che se ne rendano conto, ma sperino che, continuando a rimandare i problemi, prima o poi, effettivamente, la crescita si materializzi.  

Intanto, ogni giorno di spread elevato ci costa miliardi di euro di interessi sul debito

Questo è un ragionamento sensato. Ma solo da parte nostra, o da parte dei paesi che sono penalizzati dagli spread alti. Ma altri, come la Germania, grazie all’ampiezza dei differenziali dei rendimenti, rifinanziano il loro debito a prezzi estremamente vantaggiosi.

E Monti? Lui sì che dovrebbe rappresentare il nostro punto di vista.

Anche in tal caso, temo che la sua ingenuità lo convinca del fatto che sia sufficiente presentarsi con i compiti fatti per ottenere dalla Merkel qualunque cosa. Anche che consenta alla Bce di acquistare illimitatamente bond. Il che sarebbe l’unica misura in grado di calmierare gli spread. 

Monti ha fatto presente che è ardito affermare che l’Italia non avrà mai bisogno di aiuti. Dobbiamo preoccuparci?

Sì. Non è nient’altro che la riedizione di quanto sinora hanno fatto tutti gli altri. Tutti i paesi che hanno chiesto gli aiuti, inizialmente, dicevamo che mai e poi mai ne avrebbero avuto bisogno. Finora, non abbiamo ancora visto un copione differente. Quando lo spread si continuerà ad allargare, dovremo chiederli per ripagare i nostri interessi sul debito.

Il Fmi ha detto che il governo italiano ha messo in atto “un’ambiziosa agenda per assicurare stabilità e promuovere la crescita” ma “resta vulnerabile al contagio della crisi dell’area euro, con conseguenze di trasmissione sulle regione e a livello globale”.

Mi pare una banale osservazione dello stato delle cose. Non è che siamo contagiabili. Siamo contagiati in pieno. Siamo, oltretutto, senza alcuna prospettiva di miglioramento. Dicendo sì al Fiscal compact, tanto per intenderci, dovremmo sborsare ulteriori 50 miliardi di euro l’anno. Cifra per noi, attualmente, assolutamente insostenibile.  

Come ci mettiamo al sicuro da tutto ciò?

Possiamo solamente sperare che qualcuno sbatta i pugni sul tavolo, a Bruxelles. Ponendo degli ultimatum per ottenere, nell’arco di pochissimi giorni - perché il tempo è agli sgoccioli - il fatto che la Bce acquisti indeterminatamente bond sul mercato secondario.  

Ecco che cosa fa salire lo spread

Ecco che cosa fa salire lo spread

mercoledì 11 luglio 2012
FINANZA/ Ecco che cosa fa salire lo spread
La giornata “finanziaria” di ieri, piuttosto compassata date le ultime performance borsistiche passate alla storia a colpi di più o meno 5% e riduzioni o aumenti di spread da capogiro, ha comunque riservato spunti decisamenti interessanti per i cultori, sempre più numerosi, delle materie economico-finanziarie. Le prime dichiarazioni degne di menzione sono quelle del presidente del consiglio Monti: “L’Eurogruppo ha appoggiato senza riserve l’uso dell’Efsf/Esm per mantenere la stabilità finanziaria” e ancora “il traguardo di una vera unione monetaria ed economica indicato dal Summit Ue è un segnale importante per cittadini e mercati”.
Sarà sicuramente un segnale importante e l’eurogruppo avrà appoggiato senza riserve, ma lo spread Btp-Bund ancora ieri viaggiava alla quota tutt’altro che rassicurante di 465 punti base, con un costo del decennale al 6%; d’altronde, sempre per rimanere in tema di dichiarazioni, quella del vice ministro dell’Economia e delle finanze, Grilli, era piuttosto significativa: “I dettagli tecnici salva spread, inclusi i meccanismi di leverage, sono ancora tutti da chiarire”.
In pratica, al momento, non c’è alcuno strumento, fondo, ente che possa agire efficacemente e nel breve periodo per ridurre lo spread, Bce inclusa, dopo che le dichiarazioni di Draghi di settimana scorsa hanno tolto al mercato ogni “dubbio” sulla possibilità che l’unica organizzazione europea che ha fatto veramente qualcosa nei mesi scorsi potesse ancora avere qualche ruolo. Immaginiamo quindi che la parola spread e dintorni non passerà facilmente di moda e che quindi sia il caso di provare a fare un po’ di chiarezza su alcuni punti.
Per esempio, su cosa faccia salire lo spread. Secondo un’importante scuola di pensiero, quella di Monti, le dichiarazioni di Squinzi di sabato contro i decreti del governo “fanno salire lo spread” mentre ieri, sempre Monti, ha dichiarato che “l’incertezza del mercato sul governo dopo le elezioni 2013 pesa su spread e investimenti esteri”. Ammettiamo che questa vicenda di cosa faccia “salire lo spread” stia decisamente sconfinando.
Per esempio, gli Stati Uniti sono in piena campagna elettorale, hanno un debito su Pil che a fine 2012 dovrebbe stare al 102% con un deficit all’8,2%, hanno approvato una riforma sanitaria che non è all’insegna del risparmio, ma non hanno problemi di spread o di costo del debito; la Francia che meno di qualche mese fa ha vissuto una campagna elettorale movimentata e che chiuderà il 2012 con un deficit vicino al 5% e un debito su Pil superiore al 90% non ha problemi di spread e così via (il Belgio per fare un altro esempio?).
Ci sembra di poter escludere che l’incertezza sulle prossime elezioni, in quanto tale, possa essere un elemento decisivo. Forse il problema risiede nell’indiziato numero uno (in ordine temporale) indicato da Monti; e cioè le critiche ai tagli sulla spesa espresse dal presidente di Confindustria Squinzi, se non chè la Francia di Hollande che vuole abbassare l’età pensionabile e aumentare la spesa (come ha ricordato molto opportunamente Giuseppe Pennisi), in cui gli investimenti in costruzioni private stanno crollando e la disoccupazione sale, lunedì, di questa settimana (non dieci anni fa), ha piazzato il proprio debito con un rendimento negativo.
Ieri invece il Fondo monetario internazionale nel report di aggiornamento sull’Italia in cui si alzavano le stime di debito rircordava che l’Italia ha l’avanzo primario più alto d’Europa.

Aggiungiamo molto umilmente che l’Italia è l’unico membro dei Piigs che finora non ha avuto un euro di aiuto, né concessioni sulla tempistica di riduzione del deficit. Per il Fondo monetario internazionale le cause della crisi economica italiana sono: il consolidamento fiscale, le difficili condizioni finanziarie, con le banche che diminuiscono i crediti (non possono più rifinanziarsi sui mercati) e le imprese che devono pagare alti tassi, e il rallentamento globale. Sul rallentamento globale ci pare difficile ravvisare responsabilità, sulle condizioni del credito con lo spread a 465 l’Italia non può fare nulla se non aumentare le tasse, come avvenuto, ma le conseguenze sulla crescita e sulla propensione al consumo sono devastanti, sul consolidamento fiscale si stanno rispettando le indicazioni europee.
Sembra abbastanza evidente che sia in atto un circolo vizioso da cui l’Italia non può che uscire a pezzi se non interviene qualcosa, tanto più che la buona volontà testimoniata dall’avanzo primario e da un livello di agitazione sociale finora risibile sembra innegabile. A proposito di imprese, sempre il Fondo monetario internazionale consigliava di aiutare le piccole e medie imprese (cuore del sistema italiano) migliorando l’accesso alla finanza e snellendo burocrazia e tasse.
Ciò che terrorizza i mercati è vedere un’economia con tanto debito con la crescita che scompare e il Pil che cala; è pura utopia pensare di poter ridurre il debito in un trimestre tanto più con un’economia che non cresce. Questo sì che fa “salire lo spread”. Con tutte le magagne possibili e immaginabili ancora nel 2011 in Italia c’era un tasso di disoccupazione inferiore di un punto a quello francese (8,5% contro 9,7%), alla media Ue e nemmeno lontamente paragonabile a quello degli altri Piigs (tra cui Spagna al 21,7% e Portogallo al 12,9%).
Sono dati che non trovano facilmente posto nei giornali anglosassoni e anche nostrani che mettono tutto in uno stesso calderone non si capisce con quale dose di malafede. Pretendere che l’Italia possa anche solo a provare a risolvere i problemi con lo spread a 500, l’economia che si avvita e la gente che ha paura a spendere 10 euro è follia e i “mercati” lo capiscono perfettamente, mentre presentarsi come faro di stabilità e solidità (spesso tutte da dimostrare) in un continente di inetti ha certi vantaggi per i partner europei che, contro ogni logica, piazzano debito con rendimento negativo e che distruggono le imprese concorrenti a colpi di nuove tasse e deleverage bancario imposto dallo spread.
Non pretendiamo di insegnare niente a Monti però la prossima volta che deve distribuire colpe per lo spread può facilmente trovare qualche spunto utile per variare bersaglio; magari anche in un report inglese del Fmi. That’s it.

P.S.: Se Monti si dovesse malgrado tutto ricandidare e vincere, grossa opportunità di trading in vista, a breve, sui titoli di stato!

Con la nascita del Super-Inps A rischio i pagamenti delle pensioni

Con la nascita del Super-Inps A rischio i pagamenti delle pensioni

IL CASO - La confluenza dell'Inpdap e dell'Enplas nell'Inps porterà ad un disavanzo dell'ente di circa 6 miliardi di euro nel 2012 e di 7 miliardi di euro nel 2013 e nel 2014 . Si teme per la sostenibilità del sistema pensionistico pubblico
ROMA  - Con la confluenza dell'Inpdap e dell'Enpals nell'Inps e, quindi, la nascita del Super-Inps, "l'incidenza della spesa per prestazioni previdenziali e assistenziali sul Pil "si attesta al 19,22%" nel 2012 "rispetto al 13,79% delle previsioni originarie". Lo si legge nella prima nota di variazione del bilancio preventivo 2012 dell'Istituto di previdenza, il primo bilancio del cosiddetto Super-Inps, approvata oggi dal Civ, il Consiglio di indirizzo e vigilanza. "L'assunzione da parte dell'Inps del deficit imputabile al soppresso Inpdap comporterà nel breve periodo un problema di sostenibilità dell'intero sistema pensionistico pubblico". Lo scrive il Consiglio di indirizzo e vigilanza, nella prima nota di variazione di bilancio 2012 del SuperInps, in cui chiede al governo "interventi correttivi". 

La gestione finanziaria di competenza dell'Inps con l'incorporazione dell'ex Inpdap e dell'ex Enpals, infatti, segnerà un disavanzo di quasi 6 miliardi di euro (5,977) nel 2012, a causa del rosso che lo stesso Inpdap porta con sè. Il disavanzo, secondo quanto emerge dalla stima contenuta sul bilancio preventivo 2012 e approvata oggi dal Civ, è destinato a salire e a sfiorare i 7 miliardi di euro sia nel 2013 (6,936) che nel 2014 (6,963).

Con la confluenza dell'Inpdap e dell'Enpals nell'Inps e, quindi, la nascita del Super-Inps, l'incidenza della spesa per prestazioni previdenziali e assistenziali sul Pil "si attesta al 19,22%" nel 2012 "rispetto al 13,79% delle previsioni originarie". Lo si legge nella prima nota di variazione del bilancio preventivo 2012 dell'Istituto di previdenza, il primo bilancio del cosiddetto Super-Inps, approvata oggi dal Civ, il Consiglio di indirizzo e vigilanza.

La Uil. Per la Uil, "con l'incorporazione dell'Inpdap e dell'Enpals si sono prodotti effetti disastrosi per la situazione patrimoniale dell'Inps con una riduzione di quasi 5 miliardi di euro interamente ascrivibili al disavanzo economico dell'Inpdap". E l'incorporazione dei due enti "è stata decisa con una certa leggerezza perchè non sono state adeguatamente ponderate le normative così eterogenee esistenti".

Finalmente

La Regione multa Trenitalia per i collegamenti soppressi

 

PESCARA La Regione Abruzzo ha applicato a Trenitalia le sanzioni previste dal contratto di servizio per cause legate alla ingiustificata soppressione di treni.

 Le penalità contestate a Trenitalia si riferiscono al servizio di trasporto ferroviario relativo al 2011 e ammontano complessivamente a 143.518,77 euro, che saranno decurtati a compensazione del corrispettivo dovuto per l'anno 2012. La Filt-Cgil Abruzzo chiede adesso che questa somma stanziata dalla Regione per il trasporto ferroviario abruzzese venga utilizzata per il miglioramento del servizio, giornalmente oggetto di forti critiche. «Non sarà la panacea di tutti i mali che affliggono il settore - afferma il responsabile delle attività ferroviarie del sindacato, Giovanni Carafa - ma è un'azione che dimostra la volontà della Regione di migliorare il trasporto su ferro».