martedì 13 gennaio 2015

VIA IL LAVORO DALLE CARCERI? Ancora violato l'articolo 27 della costituzione

Ancora violato l'articolo 27 della costituzione "VIA IL LAVORO DALLE CARCERI?"


Manconi:è la vittoria dei giustizialisti Pubblicazione: martedì 13 gennaio 2015 INT. Luigi Manconi Via le cooperative sociali dalle carceri. Il governo tira dritto, e a quanto pare non è intenzionato a rinnovare l'affidamento del servizio per la fornitura di pasti ai detenuti. Con il provvedimento andrà perduta l'opportunità, per i detenuti che aderiscono al progetto, non solo di lavorare in carcere, ma anche di imparare un lavoro, in modo da essere pronti al "dopo", a quando saranno in libertà. Un duro colpo alla loro dignità, a quella riscoperta di sé come uomini che viene dal lavoro. L'ultima novità, in ordine di tempo, è la mancata concessione della proroga di 16 giorni alla gestione delle cucine (dal 16 al 31 gennaio 2015), annunciata il 30 dicembre nell'incontro con il ministro Andrea Orlando, il capo di gabinetto Giovanni Melillo e il capo del Dap Santi Consolo. I 15 giorni dovevano servire a incontrare le cooperative e trovare delle soluzioni per evitare l'interruzione dei progetti di gestione delle cucine in dieci carceri, che hanno dato risultati estremamente positivi. Ne abbiamo parlato con Luigi Manconi, sociologo e scrittore, già sottosegretario alla Giustizia. Che ne pensa, Manconi? Quanto va succedendo intorno a questa vicenda appare difficilmente comprensibile. In ogni caso, non sono state fornite finora dall'autorità competente adeguate motivazioni. Mi spiego. Lasciando da parte per un attimo gli argomenti delle
cooperative sociali, mi risulta che direttori, provveditori, personale dell'amministrazione, agenti di polizia penitenziaria, educatori, cappellani, volontari, magistrati di sorveglianza siano concordi in grandissima maggioranza, e forse all'unanimità, nel valutare positivamente questa modalità di attività lavorativa in carcere. Dunque, ciò che non è stato esplicitato e che, comunque, io non riesco a comprendere, è quali e dove siano i fatti e gli aspetti negativi.
Dal punto di vista economico questa scelta dell'amministrazione penitenziaria porta o no un risparmio per le casse dello Stato e quindi per i cittadini?
Dal punto di vista economico, non sembra esservi alcun dubbio sul fatto che con l'attività delle cooperative sociali non solo si risparmia, ma — fatto ancora più importante — si ottengono risultati altrimenti irraggiungibili. Pertanto, se pure con il ritorno alla vecchia gestione si avesse un qualche risparmio, risulterebbero annullati l'utilità sociale e benefici derivanti dall'attività delle cooperative. Se poi aggiungiamo le multe che l'amministrazione deve pagare per i ricorsi (e sono molti di più quelli per il lavoro rispetto a quelli per il sovraffollamento), faccio fatica a capire dove stia l'interesse pubblico. Da ultimo, la risocializzazione, il rispetto dei diritti, la dignità della persona, anche se privata della libertà, non possono essere ignorati o messi in secondo piano. È un problema della società e del suo livello di civiltà giuridica. Se,

quindi, questi interrogativi che, come ho detto, non sono solo miei, non trovano risposte convincenti, rischia di venire confermata l'ipotesi peggiore

Jobs Act, fine del lavoro e di cent’anni di progresso in Italia

Jobs Act, fine del lavoro e di cent’anni di progresso in Italia


Era lecito domandarsi a che servisse togliere la tutela dell’articolo 18 a tutti i nuovi assunti, quando non si creano nuovi posti di lavoro e la disoccupazione aumenta. Il decreto natalizio del governo Renzi supera questa contraddizione. Senza che se ne fosse minimamente accennato nella discussione parlamentare sulla legge delega, il testo sfrutta al massimo l’incostituzionale mandato in bianco imposto col voto di fiducia e estende la franchigia anche al mancato rispetto delle regole sui licenziamenti collettivi. La legge 223 infatti, recependo principi e regole in vigore in tutti i paesi industriali più avanzati e sostenute con forza da tutte le organizzazioni internazionali, Onu in testa, da oltre venti anni disciplina i licenziamenti collettivi per crisi, stabilendo criteri e regole nel loro esercizio. Ad esempio essa applica un concetto principe del diritto del lavoro degli Usa, la “seniority list”. Se proprio si deve licenziare si parte dagli ultimi arrivati, dai più giovani, da coloro che non hanno carichi familiari e si risale verso le madri e gli anziani capi di famiglia. In vetta a quella lista, nelle aziende Usa sindacalizzate, stanno addirittura i rappresentanti dei lavoratori.
In Italia non siamo così rigidi, ma il senso della regola è lo stesso. La 223 stabilisce che solo con un accordo sindacale controfirmato da una pubblica autorità si possa derogare ai criteri dell’anzianità e dei carichi familiari. Così son state definite Giorgio Cremaschicon le aziende, da ultimo con Meridiana, le uscite dei più anziani, in grado di raggiungere la pensione con la indennità di mobilità. Se un’azienda prima del decreto Renzi avesse voluto fare licenziamenti indiscriminati di massa, avrebbe subìto un doppio danno. Avrebbe dovuto pagare consistenti penali e avrebbe rischiato la reintegra da parte di un giudice di tutti i dipendenti licenziati senza il rispetto di regole e procedure. Questo vincolo ha frenato i licenziamenti di massa, anche in una crisi senza precedenti come quella attuale. Ora viene tolto e le aziende potranno liberamente sbarazzarsi, per crisi e ragioni economiche, di lavoratrici e lavoratori che hanno l’articolo 18 e sostituirli con dipendenti precari a vita, pagati molto meno e per la cui assunzione riceveranno anche un consistente finanziamento pubblico.
La portata reazionaria di questo decreto mostra tutta la malafede di un governo che sa perfettamente che la liberalizzazione dei licenziamenti non ha mai prodotto né mai produrrà un solo posto di lavoro aggiuntivo a quelli esistenti. Nessuno assume in più se non ha lavoro in più da far fare. Ma se viene offerta la possibilità di realizzare, a condizioni più che favorevoli, quello che le imprese chiamano il ricambio organico del personale, perché rifiutarla? Questo è lo scopo vero del Jobact: un gigantesco scambio di manodopera tra chi ha più e chi ha meno diritti e salario. Come più di cento anni fa, quando i braccianti venivano cacciati dalla terra che avevano coltivato, perché agrari e baroni reclutavano gente più povera disposta a subire condizioni peggiori. Non solo il Jobact non fa nulla contro la disoccupazione, ma anzi proprio per funzionare ha bisogno di una massa ricattabile di senza lavoro, senza i quali le sue norme resterebbero lettera morta.
Alla fine l’occupazione complessiva sarà ancora minore, come già sapientemente prevede la Confindustria, ma quella rimasta somiglierà molto di più a quella che lavora oggi in Cina rispetto a quella che aveva conquistato diritti e dignità in Italia. Le imprese rimaste festeggeranno per i maggiori profitti, mentre il lavoro sarà sottoposto alla schiavitù di un Medio Evo tecnologico. A questo punto non serve aggiungere altre parole. Ogni atto del governo Renzi rappresenta una coerente azione di restaurazione sociale. Non si colpisce solo il lavoro, ma la scuola, la sanità, i servizi pubblici, mentre si rafforzano le spese Napolitano e Renzimilitari. Quando si interviene, come all’Ilva, lo si fa per permettere alle multinazionali cui verrà ceduta di risparmiare i costi del risanamento e degli investimenti. Tutte le riforme politiche proposte stravolgono principi e libertà costituzionali.
Ma a questo punto continuare a rimproverare a Renzi e a Giorgio Napolitano, che ne è il primo sostegno, di fare quello che dichiarano di voler fare non serve a niente. Il governo Renzi è la personalizzazione della distruzione della Costituzione Repubblicana, è nato e opera per questo. Rappresenta una classe dirigente italiana che ha deciso che il sistema sociale e democratico del dopoguerra non possa più essere mantenuto, di fronte ai vincoli della Troika e della finanza globale. O si contestano quei vincoli, euro compreso, o si insegue il modello del capitalismo selvaggio senza vincoli. Renzi e Napolitano hanno scelto di essere fino in fondo fedeli esecutori di quei vincoli, per questo oggi son avversari di tutto ciò che nellastoria italiana ha significato progresso sociale e democratico. Renzi e Napolitano hanno scelto e chi si oppone a questa loro scelta deve essere altrettanto intransigente e rigoroso. Altrimenti la coerenza reazionaria del governo sarà la sola devastante forza in campo.

Licio Gelli: “Provo una certa soddisfazione nel vedere il popolo morire”

Licio Gelli: “Provo una certa soddisfazione nel vedere il popolo morire”


licio gelli
-Redazione- Si riaffaccia il Gran Maestro Venerabile.

 A 96 anni Licio Gelli dice ancora la sua. Lo fa parlando col Fatto Quotidiano, a cui consegna una frase destinata a far discutere: "Non le nascondo che vedo, con una certa soddisfazioneil popolo soffrire. Non mi fraintenda: non sono felice di questa situazione. Sono felice, invece, che vengano sempre più a galla le responsabilità della politica".
 Così il Venerabile Maestro della Loggia P2, secondo il quale "probabilmente solo un tributo di sangue potrà dare una svolta, diciamo pure rivoluzionaria a questa povera Italia".
 Gelli, dopo le affermazioni tra il sadico e il proto-golpista, boccia il premier Matteo Renzi (che fu definito da Beppe Grillo il boy scout di Gelli).
"E' un bambinone – sentenzia il Venerabile maestro". E' "pieno di parole e molto ridotto di fatti. Non è destinato a durare a lungo". Sulle sue riforme (legge elettorale e Senato) afferma: "Sono goffe". Però, sornione, aggiunge che limitare le funzioni del Senato è un'idea presente nel "Piano R., di Rinascita nazionale. Prevedeva una serie di norme e riforme che avrebbero potuto creare i fondamenti per uno Stato più efficace".
 Secondo Gelli il fenomeno-Renzi è "parzialmente italiano", poiché "mi risulta chefra i suoi mentori ci siano persone che vivono a Washington. E' circondato però da mezze tacche: gli ex lacchè di Berlusconi".

Padoan Diventa Veggente :La recessione scomparira’ nel 2015,Tornera’ la crescita

Padoan  Diventa Veggente :La recessione scomparira’ nel 2015,Tornera’ la crescita

Padoan la recessione scomparira  nel 2015  tornera  la crescita


 Strasburgo, 12 gen. - La recessione "purtroppo in Italia c'e' da tre anni ma nel 2014 si e' affievolita e nel 2015 scomparira'". Lo ha detto al Parlamento Europeo di Strasburgo il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan. "La disoccupazione purtroppo e' cresciuta - ha aggiunto - perche' segue sempre l'andamento della crescita in tutti i sensi.
  Quindi - ha concluso il ministro - la crescita riprendera' e l'occupazione migliorera' nei prossimi mesi". Meno di due settimane dopo la fine del semestre di presidenza italiana del Consiglio Ue, e' tempo di bilanci per il governo. Il bilancio, ha anticipato Padoan al suo arrivo nella sede dell'assemblea, e' "molto positivo sia in termini di risultati specifici e concreti e di misure decise ma anche per l'impronta sul dibattito e sulle priorita' della nuova Commissione", in particolare per quanto riguarda "crescita, investimenti e occupazione: sei mesi fa - ha aggiunto il ministro - non eravamo a questo punto. Penso che abbiamo fatto passi avanti anche se molto resta ancora da fare". Domani, a riepilogare i risultati del semestre sara' il presidente del Consiglio Matteo Renzi. Il debito pubblico italiano e' "elevato" e "aumentera' nel 2015", per "cominciare a diminuire l'anno prossimo". Ma, ha aggiunto il ministro dell'Economia rispondendo a Strasburgo alle domande degli europarlamentari della Commissione Affari economici, "e' assolutamente sostenibile", anzi, "a lungo termine secondo gli indicatori della Commissione e' fra i piu' sostenibili". Potra' "diminuire rapidamente" a partire dal 2016 "se la dinamica dei prezzi nell'Ue e soprattutto nell'Eurozona tornera' vicina ai livelli normali, cioe' al 2% di inflazione".
  Inoltre, ha aggiunto il ministro, "le riforme strutturali introdotte danno linfa vitale alla crescita a lungo termine".- La deflazione nell'Eurozona "e' pericolosamente vicina soprattutto in alcuni paesi", ma il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan e' fiducioso "che la Banca centrale europea prendera' le misure appropriate entro pochi giorni". Padoan ritiene che "sia importante che si continui a lavorare per un euro solido, unito, in cui tutti i paesi contribuiscono ciascuno per la sua parte". L'anno appena iniziato, ha aggiunto riferendosi alle difficolta' della Grecia, "in termini di crescita andra' meglio del precedente per tutti, e questo aiutera' anche la sostenibilita' del debito".