giovedì 30 agosto 2012

Scossa 4.6 nello Stretto di Messina, nessun danno


Scossa 4.6 nello Stretto di Messina, nessun danno

Colpita provincia Reggio Calabria, terremoto all'1:12




Scossa 4.6 nello Stretto di Messina, nessun dannoLa mappa del Terremoto (Ingv)
La mappa del Terremoto (Ingv)
CATANIA  - La terra trema nello Stretto di Messina 'scuotendo' decine di comuni e allarmando gli abitanti delle zone interessate, ma senza procurare danni a cose o persone. E' successo la notte scorsa, all'1.12, quando un evento di magnitudo 4.6 ha svegliato gli abitanti di numerosi centri di Calabria e Sicilia. Il sisma ha fatto 'vibrare' moltissimi edifici, che hanno però retto al rilascio di energia che è avvenuto in mare, a 45,4 chilometri di profondità: una notevole distanza con le terre emerse che ha 'attutito' la reale portata della scossa. La distanza dell'ipocentro dalle coste è stato localizzato a un chilometro da Scilla, in provincia di Reggio Calabria, e a 4 km da Fiumara, nel Messinese. Il terremoto, che non ha avuto scosse di assestamento né che lo hanno preceduto, è stato nettamente avvertito. Soprattutto nei comuni della costa Ionica Calabrese molte persone sono scese in strada, allarmate. I centralini dei vigili del fuoco e delle forze dell'ordine sono stati presi d'assalto da cittadini preoccupati per avere informazioni. Nessuna scena di panico ma allarme anche a Messina, soprattutto nella zona centrale della città, dove qualche famiglia ha lasciato la propria abitazione. L'evento è stato avvertito anche a distanza dall'ipocentro: fino a Cosenza, in Calabria, e oltre Catania, in Sicilia, soprattutto dagli abitanti di ultimi piani e attici di palazzi alti. Nella notte sono scattati gli accertamenti da parte della Protezione civile nazionale e dei Comuni interessati, ma non sono stati registrati danni a cose e persone. Ispezioni sono ancora in corso per verificare possibili danni a strutture pubbliche, ma non risultano lesioni importanti. Secondo gli esperti dell'Istituto Nazionale di Geofisica, l'origine del sisma è diversa da quella che ha scatenato i devastanti terremoti del 1905 e del 1908. La scossa, infatti, non è avvenuta nelle strutture superficiali della crosta terrestre legate ai terremoti dei primi del '900, ma ad una profondita' di 45,4 chilometri. A generare il terremoto - spigano gli esperti - è stata una delle numerose microplacche che costellano la zona a Nord della Sicilia e che formano un vero e proprio 'puzzle': una di queste piccole placche si è spostata verso Nord-Ovest scivolando al di sotto dell'Arco Calabro.

Il grafico che boccia il rigore di Germania (e Italia)


 Il grafico che boccia il rigore di Germania (e Italia)

FINANZA/ 2. Il grafico che boccia il rigore di Germania (e Italia)Foto: InfoPhoto
Una recente analisi pubblicata da Merrill Lynch si lancia nell’ambiziosa impresa di ricostruire gli andamenti della borsa e dei titoli del Tesoro americani dall’inizio del XX secolo a oggi (The longest pictures, M.Hartnett, Merrill Lynch, 2012). Il grafico più in basso riporta una sintesi dei rendimenti e, come spesso accade per i lavori che sanno venire a capo di una montagna di dati, le sorprese non mancano.
Innanzitutto, le obbligazioni del tesoro a lungo termine stanno attraversando la seconda congiuntura più positiva degli ultimi 110 anni: il Tesoro Usa nel 2012 è riuscito a limare ulteriormente i rendimenti, portando i ritorni del debito pubblico al 2,5%. Meglio di così, solo a fine anni ’40, quando nel secondo dopoguerra gli Stati Uniti riuscivano a finanziarsi al 2% tondo. I tassi attuali possono anche essere messi in prospettiva: agli inizi degli anni ’80, tra shock petroliferi e guerra fredda, il Tesoro americano arrivò a pagare il 14% sulle proprie emissioni, poi la Reaganomics e la dissoluzione dell’Unione Sovietica invertirono la tendenza e da allora i rendimenti sono costantemente scesi fino all’attuale 2,5%. Questione di credibilità, si dirà. O forse, più semplicemente, come recita una celebre canzone degli anni ’80, chi vince piglia tutto.
Resta un problema da risolvere, che il grafico, per necessità di sintesi, non approccia direttamente: oggi la curva dei rendimenti di breve termine è “schiacciata” verso il basso, con tassi a 6 mesi e 2 anni quasi uguali (0,14% a sei mesi e 0,29% a due anni). E il fenomeno è ancora più accentuato per il Gilt del Regno Unito: curva dei rendimenti in discesa e tasso a sei mesi superiore al ritorno su due anni (0,30% a sei mesi, 0,15% a due anni). In altre parole, sui mercati del debito pubblico c’è nervosismo sul breve termine, di quel tipo di nervosismo che gli analisti definiscono, a volte con eufemismo, volatilità.
 
 
Una spiegazione del fenomeno arriva dalla seconda curva del grafico, quella che riporta il corso borsistico dei principali titoli di Wall Street da inizio Novecento ai giorni nostri. Il Dow Jones Industrial Average mostra innanzitutto di non essere mai stato cosi alto, ma segnala anche di trovarsi in una difficile fase di “letargo”. Da oltre un decennio l’indice è fermo sui 10mila punti e le matite di molti analisti cominciano a tracciare un’inquietante anomalia: quando i rendimenti in borsa boccheggiano, i titoli del Tesoro diventano un bene rifugio e gli investitori, a fronte della sicurezza di un’obbligazione di Stato, accettano di buon grado ritorni di qualche punto percentuale. In queste fasi di incertezza, i grandi cambiamenti sono spesso dietro l’angolo, non fosse altro perché la grande instabilità porta gli investitori e, forse, non solo loro, a cambiare senza troppe remore la strada vecchia per quella nuova. Ai giorni nostri, ed è la tesi di Merrill Lynch, la strada nuova potrebbe passare per un nuovo ruolo di banche e, azzardando una macroipotesi, di Stati sovrani.
Di cosa stiamo parlando. Senza cercare correlazioni stramplate, i quattro riquadri tratteggiati in rosso evidenziano nel grafico le congiunture caratterizzate da borse in letargo e incetta di titoli pubblici: c’è la fase che precede la grande bolla e il crollo del ’29, c’è il già citato secondo dopoguerra, c’è la crisi degli anni ’80 e ci sono i giorni nostri.
Che cosa bolle in pentola ai giorni nostri? La volatilità di breve periodo e i tassi di disoccupazione delle economie avanzate ci ricordano che la crisi c’è e morde. E un cambiamento non può essere rimandato a oltranza, anche se alcuni paesi, come Stati Uniti e Germania, traggono beneficio dall’incertezza e, passando i propri titoli per bene rifugio, si rifinanziano a lungo termine su tassi tutt’altro che svantaggiosi (2,50% a vent’anni per gli Usa, 2,10% per la Germania sulla stessa maturità).
L’elemento che caratterizza il “nostro” riquadro tratteggiato è una crisi che è partita dalle banche, americane e britanniche in primis, per poi espandere il contagio a tutto il settore finanziario e ai corpi più deboli dell’economia globalizzata: i paesi europei a cui i parametri di Maastricht (totalmente arbitrari, vale la pena ricordarlo) hanno imposto i cambiamenti più radicali, i paesi emergenti che, pur galoppando, non si sono mai curati di fondare la crescita su basi solide (Cina, su tutti), i mercati più sensibili (materie prime, soprattutto alimentari e metalli non preziosi).
Il fenomeno che accomuna tutti questi punti di contagio - le banche, l’Europa, i paesi emergenti e le materie prime - è la riduzione dell’indebitamento, definita “deleverage” dai regolatori bancari e “austerità” dagli osservatori di finanza pubblica. I nomi cambiano, ma la sostanza è la stessa: gli anni ’90, sotto l’imperativo di arrichirsi ovunque e comunque, hanno portato un’intossicazione da debito e dal 2007 si fa un gran parlare di tagli al bilancio e riduzioni alla spesa. Ma fino a quando potrà durare? Fino a quando gli Stati nazionali potranno perseguire politiche restrittive (accettando di farsi dettare l’agenda dalla volubilità dei mercati), fino a quando le banche potranno permettersi di non fare le banche e fino a quando le imprese potranno vivere senza credito?
Il rapporto di Merrill Lynch giunge alla conclusione che il tempo, come da copione, stringe e che, più importante, il cambiamento arriverà quando il deleverage finirà e il rapporto con l’indebitamento cesserà di essere caratterizzato da reazioni radicali (grande ricorso alla leva prima della crisi, linea dura del rigore dopo il crac). Finanzimenti d’impresa, mutui immobiliari, spesa pubblica e politiche monetarie saranno quindi gli strumenti per uscire dall’attuale congiuntura negativa.
Certo, c’è da chiedersi se esista da qualche parte la volontà politica (e il coraggio) di dare una svolta alle attuali politiche del “sacrificio per il sacrificio” (ben note in Italia) e a tutti quei pacchetti che rischiano di portare “tanto rigore per nulla”. E resta la domanda più semplice (e per nulla scontata): come avviare questo cambiamento? Da più parti, e le cronache di queste settimane confermano la tendenza, molti invocano una nuova regolamentazione bancaria (che dall’inizio della crisi è rimasta pressoché inalterata) e attendono buone nuove dalle aste per l’emissione di nuovo debito pubblico. Intanto l’euro ha resistito all’abituale assedio di agosto e questa, anche quando si guarda alla fotografia di lungo periodo, è una buona notizia.