mercoledì 27 giugno 2012

SPENDING REVIEW/ Statali e sanità: i "conti" del Governo non tornano


SPENDING REVIEW/ Statali e sanità: i "conti" del Governo non tornano

martedì 26 giugno 2012
SPENDING REVIEW/ Statali e sanità: i conti del Governo non tornano
È una nuova giornata di “dolore” in Borsa e in rapporto allo spread. Il rimbalzo di settimana scorsa si è naturalmente esaurito dopo la copertura dei trader sulla scommessa greca. Ora si riparte da capo, con il fiato sempre più grosso e alla vigilia di un summit europeo, su cui già ora si nutrono poche speranze. Il professor Ugo Arrigo, docente di Scienza delle Finanze all’Università Bicocca di Milano non lascia neppure terminare la domanda sulle attese di questo prossimo summit europeo: «Che cosa mi attendo? Un perfetto nulla di fatto. Con la Germania che manterrà le sue posizioni e gli altri Paesi che manterranno le loro. E in questo modo pensano di andare avanti». Professore si annunciano nel frattempo nuovi interventi sulla spesa pubblica, nell’ambito della spending review. Per fare alcune operazioni di risparmio sta intervenendo anche il ministro della Funzione pubblica, Filippo Patroni Griffi. Si raccomanda ai dipendenti persino di non chiamare i telefoni cellulari e di usare poco quelli lavorativi, di avere una particolare attenzione ai condizionatori d’aria e quindi al riscaldamento invernale.

Cosa ne pensa?

Beh, in questo caso possiamo stare al fresco! Se si parte da questi tagli delle spese non ci sono parole di commento. I caloriferi sono già regolamentati e tarati per legge. Non so poi come un ramo dell’amministrazione statale possa fare contratti per i cellulari a consumo. Ma queste cose fanno solamente ridere. Il problema è sempre alla base: in un’impresa privata lei può risparmiare in base a un criterio gerarchico, ma questo tipo di operazione è impossibile nel settore pubblico, perché la spesa non è considerata uno spreco.

C’è poi la previsione di prepensionamento per i dipendenti pubblici che abbiano superato i 60 anni di età. In pratica, due anni di cassa integrazione con stipendio all’80% e poi il licenziamento o la pensione.

Che differenza fa nella spesa pubblica lo stipendio o la pensione per i dipendenti pubblici? Il problema invece che lavorino proprio non viene messo in discussione? E tutto questo dovrebbe avvenire dopo che è stata alzata l’età pensionabile per gli altri. Avviene mentre siamo ancora in ballo con il numero, che non torna, degli “esodati”. C’è da rimanere di stucco.

Si dice che nel mirino di Enrico Bondi, il “supertagliatore”, ci sia anche la sanità, per una cifra intorno ai 37 miliardi di euro. Tanto è vero che i sindacati hanno già annunciato che si metteranno sul “piede di guerra”.

Non si riesce ben a comprendere quali siano i tagli veri alla spesa pubblica e soprattutto la portata di questi tagli. Il ministro ai Rapporti con il Parlamento, Piero Giarda, ha entusiasmato alcuni miei colleghi quando ha parlato di una spesa pubblica “aggredibile”. Ma l’aggettivo aggredibile non si traduce mai in deducibile. In fin dei conti, si può parlare anche di una spesa pubblica aggredibile per 300 miliardi, ma poi quanto di questa viene tagliata? L’1%, il 3%? Mi pare che l’unico settore in Italia che non si è ridotto è quello pubblico, quello della spesa pubblica.

Mentre al contrario sono stati colpiti duramente i redditi medi e medio bassi?
Hanno colpito direttamente il “carrello della spesa”, hanno colpito quei redditi che in genere consumano. Questo è stato l’errore più grave di questo governo: mettere a rischio i redditi dei ceti medi e medio-bassi. Le conseguenze si vedono nei numeri, nel crollo dei consumi, nei settori in difficoltà. Un errore simile non era prevedibile da parte di un “governo dei tecnici”. In genere, quando ci si rivolge a un architetto per costruire o arredare una casa, si pretende della professionalità.

Come giudica allora questo governo nel suo complesso?

Un governo che si muove con scarsa professionalità. Fin dalle prime mosse, avevamo parlato delle varie competenze che non fanno mai una visione. In Italia, in 150 anni di storia, pochi statisti hanno avuto visioni e si sono avvalsi di competenti in varie materie. Ma in genere i leader prevedono, seguono una loro visione, anticipano i fatti. In questo momento sta accadendo tutto il contrario.

A parte questi provvedimenti di taglio alla spesa pubblica che nessuno riesce poi a vedere concretamente, proprio recentemente c’è stato una notizia che dovrebbe abbastanza allarmare: la Bri, la Banca dei regolamenti internazionali, ha comunicato che le banche, in questi quattro anni di crisi, hanno continuato a fare le loro speculazioni e il loro trading.

È una notizia che non mi stupisce affatto. Le banche lo hanno fatto certamente, perché si muovono su un terreno completamente deregolamentato sul modello voluto dagli americani.

i cattolici? Sono ancora il miglior antidoto alle lobby di potere


Binetti: i cattolici? Sono ancora il miglior antidoto alle lobby di potere

mercoledì 27 giugno 2012
GALLI DELLA LOGGIA/ Binetti: i cattolici? Sono ancora il miglior antidoto alle lobby di potereFoto: InfoPhot
Caro Direttore

il Corriere della sera e IlSussidiario.net, da angolature diverse, ma con uguale incisività, in questi ultimi giorni hanno ospitato una serie di interventi su uno stesso tema: il ruolo dei cattolici nell’attuale panorama politico italiano. Un tema che ad alcuni appare cruciale anche ai fini di future alleanze politiche, ma che suscita in molte persone una sensazione di stanchezza e di noia: come se tutto fosse stato già detto, tutto già noto. Eppure il ruolo politico dei cattolici, la loro irrilevanza o la loro capacità di incidere nei processi decisionali definisce un paradigma con cui tutti debbono comunque confrontarsi.
Proprio ieri Mons. Crociata, parlando agli assistenti spirituali della gran maggioranza delle Associazioni cattoliche, ha sottolineato con chiarezza, a tratti perfino con durezza, la coerenza con cui tutti i cattolici debbono vivere la loro vocazione cristiana. Ha espresso una condanna secca di ogni forma di corruzione, senza concedere alibi di sorta. Dai cattolici ci si attende una testimonianza della loro fede, incarnata nella concretezza dei loro ruoli tutti, nessuno escluso. Da quello politico a quello professionale, dal piano personale a quello familiare. E’ la pre-condizione per non essere irrilevanti, peggio ancora per non dare scandalo, contribuendo al processo di corrosione della linfa etica del nostro Paese.
Non si può presupporre la fede, ma neppure la capacità di testimoniarla; occorre riproporselo giorno per giorno, affrontando il confronto, le diversità reciproche, le contraddizioni potenziali che ci sono in ognuno di noi e tra di noi. Questa è la prima, anche se non l’unica, mission del cattolico, chiamato comunque a fare rete, a creare consenso sui valori in cui crede, a recepire tutto il bene che può scaturire da persone che hanno posizioni diverse. Non si può ragionare del ruolo dei cattolici in politica senza partire da qui: dall’essere realmente cattolici e dal non temere di apparirlo e quindi di testimoniarlo nelle diverse circostanze. Ma questo, come dicono i matematici, è condizione necessaria e non sufficiente.
Da quando si è concluso il tempo del partito dei cattolici, quello della Democrazia cristiana, ed è iniziata la diaspora dei cattolici in tutti i partiti, i cattolici hanno cercato di capire come essere presenti in coalizioni diverse, vivendo questa appartenenza con lealtà e capacità di collaborazione, senza perdere il senso di un’altra e diversa appartenenza: quella marcata dai valori della propria fede, assunti con libertà e responsabilità. Alla domanda che spesso ci si pone: si può essere presenti da cattolici in tutti gli schieramenti, la risposta non può che essere positiva. Si può essere cattolici stando in ogni partito, solo se non si dimentica di essere cattolici e non si fa pagare sempre e solo  alla propria cattolicità il costo delle diverse mediazioni che la politica sollecita. 
Uno degli interrogativi che con maggiore frequenza debbono affrontare i cattolici impegnati in tanti settori della vita del Paese riguarda le possibili convergenze e le divergenze che emergono tra le loro reciproche posizioni, quando si accingono a valutarle alla luce dei principi etici fondamentali. Non è sempre facile comprendere le ragioni che sono alla base di scelte politiche diverse, basate su di una diversa valutazione degli stessi fatti, che una volta interpretati in modo diverso possono generare comportamenti diversi, modificando le proprie prospettive.
L’attuale quadro politico-economico solleva un quesito importante per i cattolici: capire in che cosa si possa identificare il patrimonio culturale di quanti di loro intendono testimoniare la propria fede anche nello spazio pubblico. La crisi che stiamo vivendo impone nuove modalità di collaborazione, per affrontare uniti le difficoltà economiche che assediano la vecchia Europa. Ognuno degli schieramenti, cominciando dai partiti che ne fanno parte, deve sforzarsi di privilegiare un’analisi comune e condivisa dei bisogni per selezionare accordi programmatici in grado di soddisfare più, prima e meglio le esigenze che appesantiscono le famiglie italiane, le piccole e medie imprese che costituiscono l’ossatura imprenditoriale del nostro Paese.
I cattolici debbono imparare a collaborare in forme nuove, secondo modelli nuovi, con tutte le persone che desiderano realmente portare il Paese fuori da questa palude, che sembra attrarre cose e persone in un vortice che crea ansia e preoccupazione, assai di più di quanto non accenda la sua speranza. Una risposta, semplice e complessa al tempo stesso, è offerta dalla dottrina sociale della Chiesa, che è una sorta di cattedra continua che aiuta ad analizzare i problemi politici e sociali per rendere giustizia all’uomo, a tutti gli uomini, di qualunque condizione sociale. La Chiesa con il suo insegnamento in campo sociale svolge un ruolo profetico, e a distanza di anni, di decenni e perfino di secoli colpisce la lucidità di certe denunce, il coraggio di certe affermazioni e la bellezza di certe prospettive.
La crisi di valori che il Paese attraversa, l’immobilismo con cui resiste ai processi di trasformazione, nonostante l’evidente necessità di cambiare ritmo e modelli organizzativi e gestionali, crea una resistenza ostinata a riforme coraggiose che restituiscano ai giovani la capacità di mettersi in gioco senza abbandonare gli anziani, ad una distratta politica sociale. C’è il timore che il Paese di fatto sia ostaggio da alcune lobby potenti o di molteplici piccoli gruppi di potere, davanti ai quali i cattolici non sanno prendere una posizione chiara e forte, lottando contro l’arroganza dei prepotenti e contrastando una corruzione, oscura e strisciante, che lo aggredisce come un vero e proprio cancro. I cattolici, per non essere irrilevanti, prima di tutto hanno bisogno di essere cattolici in modo coerente e poi di aprirsi alle collaborazioni che i nuovi modelli di governo possono generare, con una premessa forte in fase programmatica. 
Ci può essere un accordo sostanziale su molte cose, ma non su tutte e a nessuno può essere chiesto di mediare con la propria coscienza. E la coerenza con la propria visione cristiana va declinata senza eccezioni, deve assumere quella fermezza che non cede davanti a proposte inconciliabili con la propria fede, accettando di mettersi in gioco secondo quelle logiche democratiche, che spingono il cattolico a non chiudersi in se stesso, a fuggire dai castelli medioevali con ponte levatoio alzato. Il cristiano è per definizione un soggetto aperto, capace di misurarsi con sfide culturali ed intellettuali assorbendo tutto il meglio che incontra per strada e trasmettendo tutto il meglio che possiede nella sua storia e nella sua tradizione.
E’ la prossima sfida dei cattolici politicamente impegnati: ora e nella prossima legislatura. Fare alleanze programmatiche chiare con tutti coloro che accettano di lavorare insieme per il bene del Paese. Alleati, ma non schiacciati su posizioni divergenti o peggio ancora contrastanti con principi e valori; alleati tanto più affidabili quanto più coerenti, impegnato secondo il monito evangelico che afferma: “Sono venuto a servire e non ad essere servito”, pronti a cedere su ciò che appartiene loro, ma non sulla verità di certi principi.
Siamo sollecitati a misurarci con questa sfida senza ingenuità e senza superficialità, senza arroganza e senza presunzione, sentendoci impegnati insieme agli altri a tirare fuori il Paese con un lungo faticoso tiro alla fune, per trascinare la rete in cui sono tante persone oggi in difficoltà, verso migliori spiagge e maggiori opportunità. 

Leggete cosa dice al Wall streat Journal il nostro ministro del lavoro FORNERO


“Stiamo cercando di proteggere le persone e non i loro posti di lavoro. Gli atteggiamenti delle persone devono cambiare. Il lavoro non è un diritto; Deve essere guadagnato, anche attraverso il sacrificio”Le affermazioni del ministro Elsa Fornero al Wall Street Journal rappresentano un programma politico nella loro secchezza e anglosassone sintesi. Spesso, quando si danno interviste ai giornali stranieri, si dice meglio quello che si pensa davvero, lo spirito di fondo che muove le proprie azioni. 
Da quello che capiamo noi, avendo seguito il ministro dal momento del suo insediamento, la filosofia che la ispira è quella di una società, probabilmente idealizzata, in cui le persone non stiano ferme sul posto, si diano da fare, si “guadagnino” appunto il lavoro piuttosto che aspettare che questo gli piova dal cielo. E’ un concetto che abbiamo sentito più e più volte, addirittura dagli anni 80 quando un craxiano con i boccoli, come Gianni De Michelis, consigliava ai giovani di imparare ad “arrangiarsi”.
Solo che è un concetto che non fa i conti con quell’impegno certosino e generoso di migliaia e migliaia di giovani e meno giovani, precari e disoccupati, che accettano di combattere una quotidiana battaglia, sempre impari, per conquistare una vita decente. A sentire certe affermazioni del ministro sembra che questa realtà non esista e che, al contrario, i giovani disoccupati siano seduti sul divano ad aspettare l’offerta migliore. Il modo migliore per descriverli, del resto, da parte di chi non sa risolvere il problema dell’occupazione.
Per questo di un’espressione che dice che “il lavoro non è un diritto” resta solo la parte amara, quella vera. Il lavoro viene lentamente espunto dalla giurisprudenza europea dal novero dei dirittinon tanto garantiti ma su cui una società è impostata e cerca di convergere. E non è un caso che nell’intervista al WSJ questo concetto venga declinato in altre forme. La riforma, spiega infatti Fornero, “è anche una scommessa sugli italiani cambiare il loro comportamento in molti modi”
Ma è il quotidiano finanziario a ricordare l’essenziale quando afferma che “uno dei principi chiave della nuova legge è che i datori di lavoro saranno in grado di licenziare i singoli lavoratori per motivi economici”“Forse il più grande significato dello sforzo della signora Fornero - continua il WSJ - è che la legge ha smantellato la vacca più sacra del lavoro in Italia, l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori”. Si possono fare tutti i discorsi del mondo, teorizzare le migliori filosofie di vita e del lavoro, ma la “riforma Fornero” entrerà nella storia, e sarà ricordata, solo per questo.

SOS Monti: mettete i terremotati prima dei partiti!


SOS Monti: mettete i terremotati prima dei partiti!


A Mario Monti e al Consiglio dei ministri:

Vi chiediamo di riunirvi urgentemente e di adottare una legge d'emergenza per trasferire i 91 milioni di euro di rimborsi elettorali dei partiti ai terremotati. In tempi di ristrettezze economiche, i leader politici devono garantire che le nostre risorse vadano a quelli che ne hanno più bisogno. I partiti hanno promesso di dare una mano per la ricostruzione: sta a voi costringerli a rispettare la parola data.
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27,259 hanno firmato. Aiutaci ad arrivare a 40,000
Pubblicato il: 26 Giugno 2012

E' una vergogna: nonostante la promessa di trasferire i loro contributi pubblici alle vittime del terremoto, i partiti se li intascheranno tutti il 1° luglio! Solo Monti può accendere i riflettori su questo scandalo e garantire che l'aiuto concreto vada a quelli che ne hanno più bisogno, ma solo se oggi saremo in tanti ad appellarci a lui.



I partiti hanno promesso di destinare i 91 milioni di euro della prossima tranche di finanziamento pubblico alla ricostruzione in Emilia e a L'Aquila, ma per far sì che questi fondi vadano alle vittime del terremoto devono adottare una legge entro il 1° luglio, giorno in cui riceveranno i soldi. I partiti però hanno deliberatamente perso tempo in Parlamento così da affossare la legge e intascarsi i milioni di euro.Alcuni senatori si sono rivolti a Monti per chiedere di adottare una legge d'emergenza per fermare questa presa in giro, e un appello accorato da tutti gli italiani potrebbe convincerlo a farlo.



Monti deve sentirci forte e chiaro prima della scadenza fra un paio di giorni. Aggiungi il tuo nome per chiedergli di dirottare i 91 milioni di euro alle vittime del terremoto, e la senatrice Poretti leggerà la nostra petizione in Parlamento non appena raggiungeremo le 40.000 firme. Firma la petizione e dillo a tutti!

Manganelli dopo quello che guadagni e dopo quello che hai detto ,se sei un uomo dello stato devi dimettertiAldrovandi, la mamma sporge querela per gli insulti in Rete.


Aldrovandi, la mamma sporge querela per gli insulti in Rete