lunedì 30 settembre 2013

Dietro alle “lacrime napolitane”, i boss del vero potere

Dietro alle “lacrime napolitane”, i boss del vero potere


Il governo Letta è andato a gambe all’aria. L’annuncio, con le dimissioni dei ministri Pdl, è arrivato un sabato di settembre e subito è partito il coro greco degli italiani, abituati al pianto a comando. Un governo sciapo, inconsistente, immobile. Perché piangere? Guardi Letta, imbronciato come un bimbo cui sia stato rotto il trenino e pensi, quest’uomo conosce la coerenza? Il 24 giugno 2012, intervistato da Arturo Celletti di “Avvenire”, s’era scagliato contro Berlusconi e Di Pietro parlandone come di «un male per l’Italia» e, della crisi, come «ossigeno per le forze antisistema», tanto da augurarsi un «grande progetto per il paese» sotto forma di «offerta politica capace di attrarre e convincere: noi, Casini e Vendola. Funzionerebbe. Avrebbe appeal europeo. Avrebbe forza». Sappiamo com’è andata a finire. E ancora, il 26 giugno, intervistato da Teresa Bartoli del quotidiano “Il Mattino” di Napoli, eccitato dall’idea di un patto per arginare il populismo incarnato da Berlusconi, Di Pietro e Grillo: «La questione chiave è l’esclusione del populismo. Che in Italia oggi ha tre interpreti: Grillo per l’evidente alternatività di proposte come il non ripagare i debiti; Berlusconi con la sua scelta anti euro ed anti Europa; Di Pietro con i suoi attacchi al Quirinale che archiviano una logica istituzionale. Deve essere chiaro che con queste forze non si può governare».
No, non si può governare, solo farci un governo insieme. Come Letta ha fatto con il Pdl del “populista” Berlusconi. Quando Letta, naufragato Bersani fra i Enrico Lettamarosi del tatticismo, accettò l’incarico per la formazione di un nuovo governo, la stampa circondò il personaggio di quell’aurea mistica spennellata su Mario Monti ai tempi. Roba stucchevole. La stampa italiana, si sa, ha un debole per gli uomini del Bilderberg, della Trilaterale, dell’Aspen Institute. Letta era il loro uomo, uno e trino. Quando nella tarda primavera del 2012 fu invitato dal Bilderberg a Chantilly, in Virginia, accettò senza battere ciglio. Fu presentato come “Deputy leader, Democratic Party (Pd)”. Dal Nazareno in Virginia, timbrando il cartellino del club. Sbarcato negli Stati Uniti, vi trovò Franco Bernabè, presidente esecutivo Telecom, Fulvio Conti, amministratore delegato e direttore generale Enel, Lilli Gruber, giornalista La7, John Elkann, presidente Fiat.
Lilli Gruber al Bilderberg è ormai di casa. Era fra gli invitati alla riunione del Bilderberg a Hertfordshire, nell’Inghilterra orientale, il giugno di quest’anno. E chi c’era ancora fra gli italiani? C’era Franco Bernabè e c’erano Enrico Tommaso Cucchiani, consigliere delegato e Ceo di Intesa San Paolo, Alberto Nicola Nagel, amministratore delegato di Mediobanca, Gianfelice Rocca, presidente di Techint e Assolombarda, nonché il senatore a vita Mario Monti, tornato alla casa madre dopo aver soggiornato a Palazzo Chigi. Mario Monti c’era anche nel 2011, quando la riunione fu tenuta a St. Moritz, in Svizzera, con il leghista Mario Borghezio, che avrebbe voluto tanto assistervi, preso a legnate, e che nel giugno di quest’anno, intervistato da Alessandro da Rold de “L’Inkiesta”, s’è tolto un sassolino dalla scarpa profetizzandovi la partecipazione di Matteo Renzi nel 2014: «Toccherà a lui. Faranno come per Enrico Letta, un fungo spuntato all’improvviso, con poco consenso popolare, pochi voti, che è diventato poi presidente del Consiglio. Lilli Gruber e Mario MontiCosì succederà pure per il sindaco di Firenze: li fanno emergere, accadde per primo a Bill Clinton».
C’era Mario Monti nel 2011 e c’erano Franco Bernabè, John Elkann, Paolo Scaroni, amministratore delegato Eni, e Giulio Tremonti, ministro dell’economia e finanze del governo Berlusconi e, fra gli altri ospiti, lo spagnolo Joaquín Almunia, vicepresidente della Commissione Europea e commissario alla concorrenza. Nel 2013 alla riunione del Bilderberg è invece andato direttamente il presidente della Commissione Europea, il portoghese José Manuel Durão Barroso. Oggi Mario Monti fa parte con Franco Bernabè, unici italiani, della Steering Committee del Bilderberg, presieduta da Henti Castries di Axa, con Monti ricordato come Senator for Life. In passato hanno fatto parte della Foreign Steering Committee del Bilderberg, oltre a Monti, Gianni e Umberto Agnellli, il nobile e politico Gian Gasperi Cesi Cittadini, l’economista Tommaso Padoa-Schioppa, poi ministro dell’economiae finanze con Prodi, lo stesso Romano Prodi, il diplomatico Renato Ruggiero, poi ministro degli esteri con Berlusconi, l’economista Pasquale Saraceno, Stefano Silvestri dell’Istituto di Affari Internazionali, Vittorio Valletta, presidente Fiat del dopoguerra, Paolo Zannoni, un passato in Fiat e oggi della scuderia Goldman Sachs.
Letta non poteva pertanto non gioire quando nel 2012 gli arrivò l’invito. E quando gli fu chiesto il perché di quella partecipazione, spiegò la cosa, tempi moderni, su Facebook, dove c’è ancora la sua nota delle 12.14 del 5 giugno di quell’anno: «In molti in questi giorni mi fanno domande sul meeting Bilderberg al quale son stato invitato a Washington lo scorso fine settimana. In sintesi, era presente una parte importante dell’amministrazione Obama e dei partiti democratico e repubblicano americani. C’erano poi leader socialisti, liberali, verdi e conservatori di molti Paesi europei. E, inoltre, sindacalisti e imprenditori, docenti universitari e finanzieri. Senza contare rappresentanti dell’opposizione siriana e russa. La lista dei partecipanti è stata peraltro resa pubblica dagli stessi organizzatori. Si è discusso dei principali temi in materia di economia e di sicurezza al centro dell’agenda globale. Ed è stata per me un’occasione interessante e utile per ribadire la fiducia nei confronti dell’Euro e per rilanciare con grande determinazione Franco Bernabèl’invito a compiere i passi necessari (e indispensabili) verso gli Stati Uniti d’Europa».
«Nulla di queste discussioni, e del franco e ‘aperto’ dialogo tra i partecipanti, mi ha fatto anche solo per un momento pensare a quell’immagine di piovra soffocante che decide dei destini del mondo, incurante dei popoli e della democrazia, descritta da una parte della critica sul web e sulla stampa. È vero: la discussione era a porte chiuse. Ma la presenza dei direttori di alcuni dei principali giornali internazionali (di tutte le tendenze politico-culturali) mi pare possa ‘rassicurare’ i sostenitori di una lettura complottistica del meeting». Letta sarebbe potuto essere più preciso; temi di economia e sicurezza al centro dell’agenda globale: e qual era questa agenda? Gliela ricordiamo noi. Fra il 31 maggio e il 3 giugno 2012, a Chantilly, in Virginia, con Washington a ventiquattro miglia, s’è parlato di relazioni transatlantiche, evoluzione del panorama politico in Europa – e già in Italia Mario Monti era stato messo in sella – e negli Stati Uniti, austerità e crescita delle economie avanzate, cybersicurezza, sfide energetiche, futuro della democrazia in Russia, Cina e Medio Oriente. E c’era, seduta fra i commensali, per stessa ammissione di Letta, l’opposizione siriana, ospite di riguardo, considerate le manovre per la destabilizzazione della Siria, ora benedetta anche dall’acqua santa del Bilderberg.
A sentir Letta il Bilderberg è un ritrovo di dame di carità, lui che è anche uomo della Trilaterale, un think tank fondato nel 1973 su iniziativa di David Rockefeller, presidente della Chase Manhattan Bank, Henry Kissinger, consigliere per la sicurezza nazionale e segretario di Stato di Nixon, Zbigniew Brzezinski, un politico e politologo di origini polacche. La Trilaterale, uomini d’affari, politici, intellettuali europei, giapponesi, americani, tutti insieme appassionatamente. In un documento della Trilaterale del settembre 2013 Letta è ricordato per la branca europea con Grete Faremo, Lord Green, Toomas Hendrik Ilves, Francis Maude, Margrethe Vestager tra i “former members in public service”: «Enrico Letta. President of the Council of Ministers, Italy; former Member of the Italian Chamber of Deputies; former Under State Secretary in the Office of Prime Minister Prodi; former Minister of European Affairs, Industry, and of Industry and International Trade, Rome». È in buona compagnia. Della Trilaterale, prima di approdare alla Casa Bianca come consigliere per la sicurezza nazionale di Obama, faceva anche parte Susan H. Rice, un passato come fellow della Brookings Institution, un think tank di Washington che sforna rapporti e vademecum su come attaccare e invadere paesi sovrani e, Hisashi Owadafra gli asiatici, Hisashi Owada, oggi presidente della International Court of Justice a Ginevra. Le pedine giuste al posto giusto.
Ma cos’è la Trilaterale? Che percezione se ne ha? Nel 1990 il canadese Gilbert Larochelle, professore di filosofia politica, nel suo “L’imaginaire technocratique: la Commission Trilaterale et sa définitiion d’un nouvel être ensemble” ne parlò come espressione di una classe privilegiata di tecnocrati, paragonandola a una cittadella, a un luogo protetto dove «la téchne è legge» e dove «sentinelle dalle torri di guardia vegliano e sorvegliano». Una “cittadella” di “migliori” che nella loro «ispirata superiorità elaborano piani per poi inviarli verso il basso». Più critico era stato nel 1985 lo scrittore francese Jacques Bordiot, che su “Présent”, raccontando come solo chi era giudicato capace di «comprendere il grande disegno mondiale dell’organizzazione e di lavorare alla sua realizzazione» ne diventasse membro, precisò come vero obiettivo della Trilaterale fosse quello di «esercitare una pressione politica concertata sui governi delle nazioni industrializzate per portarle a sottomettersi alla loro strategia globale».
Oggi a capo della branca europea della Trilaterale c’è Jean-Claude Trichet, ex presidente della Banca Centrale Europea e, fra gli italiani, Paolo Andrea Colombo, presidente Enel, Enrico Tommaso Cucchiani di Intesa San Paolo, John Elkann, Federica Guidi di Ducati Energia e già al vertice dei Giovani Imprenditori di Confindustria, il banchiere Maurizio Sella, presidente del Gruppo Sella, Giuseppe Recchi, presidente Eni, il generale Luigi Ramponi, ex direttore del Sismi, Gianfelice Rocca di Techint, Marcello Sala, vice presidente vicario del consiglio di gestione di Intesa San Paolo, Franco Venturini, editorialista di politica internazionale del “Corriere della Sera”. Il 30 aprile di quest’anno Francesco Colonna, scrivendo su “l’Espresso” nell’articolo “Perché ha vinto il gruppo Bilderberg?” del libro del giornalista e studioso Domenico Moro “Club Bilderberg. Gli uomini che comandano il mondo”, si chiedeva fino a che punto si potesse definire democratica una società in cui i posti di potere sono in mano a «poche e potentissime lobby», per poi riflettere sulle coincidenze: due premier italiani, due uomini del Bilderberg, l’indebolimento del Parlamento, l’abuso dei decreti legge usati Gianfelice Roccacome maglio dall’esecutivo, la presidenza della Repubblica sempre più invadente.
«Fino a un paio di anni fa in pochi parlavano di gruppo Bilderberg e Commissione Trilaterale. E quei pochi venivano facilmente tacciati di complottismo (non sempre a torto, per la verità). Gli eventi successivi hanno però cambiato le cose, almeno in Italia. Nell’ultimo anno e mezzo il Parlamento e i partiti si sono indeboliti, i decreti-legge hanno sempre più spesso sostituito l’attività legislativa delle Camere, il ruolo della presidenza della Repubblica si è espanso come mai era avvenuto e sono stati scelti due premier (Mario Monti ed Enrico Letta) che sono membri o habituée del gruppo Bilderberg. E tutto questo è successo in un periodo nel quale i paradigmi auspicati dalla grande finanza internazionale, cioè proprio dai membri del Bilderberg e della Trilaterale (avvicinamento al sistema presidenzialista, finanziarizzazione dell’economia, liberismo e libero scambio senza barriere, politiche di austerità, lenta erosione dei salari e dello Stato sociale) sono diventati in buona parte esplicito programma di governo. Oggi insomma diventa difficile sostenere che le riunioni semi-segrete di queste due organizzazioni (e un discorso simile si potrebbe fare per le centinaia di associazioni e think thank liberal-conservatori sparsi per il mondo) non influiscano pesantemente sui destini delle democrazie». Con buona pace dello psicodramma che nelle ultime ore sembra aver assalito gli italiani, la caduta del governo Letta non potrà pertanto che essere accolta come una benedizione, sempre che il suo predecessore, quel Mario Monti senatore a vita, il Senator for Life dei documenti del Bilderberg, non torni ad accarezzare sogni di gloria. Sarebbe uno schiaffo alla decenza e alla democrazia offesa dell’Italia.

Lavoro, la fiaba del merito: si salvano solo i figli dei ricchi

Lavoro, la fiaba del merito: si salvano solo i figli dei ricchi


«La differenza che passa fra produttività e merito è esattamente quella che passa fra lavorare molto e lavorare bene: con ogni evidenza, nulla assicura che lavorare molto implichi lavorare bene». Il dramma, sottolinea Guglielmo Forges Davanzati, è che i giovani hanno sempre meno speranze di trovare lavoro: le porte del mercato sono sempre più strette, e avvantaggiano chi ha forti relazioni sociali e familiari, svantaggiando tutti gli altri. «Non è un fenomeno nuovo quello della trasmissione ereditaria della povertà», perché la cosiddetta “ideologia del merito” che ha guidato le politiche economiche degli ultimi decenni non aiuta a risolvere il problema – di fatto, non lo ha minimamente attenuato – dal momento che «il fenomeno si auto-alimenta soprattutto in contesti di crescente polarizzazione dei redditi». Risultato: «Gli individui provenienti da famiglie con redditi elevati “spiazzano” gli individui provenienti da famiglie con più basso reddito, non perché più produttivi, ma semplicemente perché le famiglie d’origine hanno redditi più alti e maggiori e migliori “reti relazionali”».
Anche per questo, la tragedia italiana della disoccupazione giovanile «non ha nulla a che vedere con il fatto che i lavoratori adulti sono iper-protetti». "Non è un paese per giovani"Semmai, è il peggioramento della distribuzione del reddito a contribuire a ridurre la produttività del lavoro, scrive su “Keynesblog” il professor Davanzati, docente dell’università del Salento, di fronte alle cifre della catastrofe: secondo l’ultimo rapporto Ocse, il tasso di disoccupazione è in crescita in quasi tutti i paesi industrializzati e, in particolare, nell’Eurozona e in Italia. La Banca d’Italia, fin dal 2010, registra che la riduzione dell’occupazione si è manifestata più sotto forma di riduzione delle assunzioni che di aumento dei licenziamenti, e che la crescita della disoccupazione riguarda principalmente la componente giovanile della forzalavoro. Il tasso di attività di individui di età compresa fra i 15 e i 64 anni, nel 1993 era del 58%, a fronte del 42% di quello di individui collocati nella fascia d’età 15-24. Nel 2004, l’occupazione era cresciuta arrivando al 62%, ma si era già ridotto il tasso di attività giovanile, collocandosi intorno al 35%.
Nel corso degli ultimi anni, osserva Davanzati, il divario fra occupazione “adulta” e occupazione giovanile è costantemente aumentato, portando il tasso di disoccupazione giovanile a circa il 40% (fonte Istat), «fatto del tutto inedito nella storia dell’economia italiana». Il fenomeno viene spesso imputato agli effetti di “labour hoarding”, ovvero alla convenienza – da parte delle imprese – a non licenziare lavoratori altamente specializzati in fasi recessive, dal momento che poi – in caso di ripresa – sarebbero costrette ad assumere individui da formare. Interpretazione discutibile, almeno se riferita all’Italia, dove le aziende non prevedono nessuna ripresa a breve o medio termine: oltre il 50% degli imprenditori italiani ritiene che la recessione in atto durerà ancora almeno due anni, ed è una stima che può considerarsi prudenziale. Inoltre, il nostro sistema produttivo è composto da imprese di piccole dimensioni e poco innovative: se la tecnologia utilizzata non richiede lunghi e costosi processi di apprendimento, non siDavanzaticapisce perché le imprese non licenzino il personale già formato, pensando poi di sostituirlo con giovani.
Specie nel Mezzogiorno, la relativa tenuta dell’occupazione di lavoratori in età adulta «dipende semmai da fenomeni di disoccupazione nascosta, ovvero dal fatto che – in imprese di piccole dimensioni, spesso a conduzione familiare – il livello di occupazione viene mantenuto stabile per il semplice fatto che i lavoratori dipendenti appartengono alla struttura familiare». In altri termini, «il costo del licenziamento in questi casi è sia economico sia psicologico, ed è indipendente dalla specializzazione degli occupati». Sono davvero gli individui più produttivi ad avere la più alta probabilità di essere assunti? Non è detto, perché non esistono standard qualitativi per classificare davvero il “merito”, e perché la produttività del lavoro (ammesso che sia misurabile) è il rapporto fra la quantità prodotta e le ore-lavoroimpiegate. Peccato che, dal 2000 al 2012, in tutti i paesi dell’Eurozona sia notevolmente aumentato il numero di individui che, per trovare lavoro, si rivolgono a conoscenti, amici e parenti. Conseguenza evidente: si riduce la mobilità sociale. «I figli delle famiglie con più alto reddito ottengono good jobs, a fronte del fatto che le famiglie con più basso reddito vedono i loro figli collocati in condizioni di disoccupazione, sottoccupazione e precarietà». In più, conclude Davanzati, i giovani provenienti da famiglie con redditi elevati «hanno un salario di riserva più alto rispetto a coloro che provengono da famiglie con basso reddito». Alla faccia, appunto, dell’ideologia del “merito”.

Sbarco nel Ragusano, una decina di morti Annegati mentre cercavano di raggiungere la riva

Sbarco nel Ragusano, una decina di morti

Annegati mentre cercavano di raggiungere la riva



(ANSA) - SCICLI (RAGUSA), 30 SET - Tragico sbarco di migranti nel Ragusano: una decina di extracomunitari sono morti annegati nel tentativo di raggiungere a nuoto la riva a Scicli, dopo essere stati lanciati in acqua da un natante che si era arenato.

Sul posto stanno operando carabinieri, polizia, guardia di finanza e personale del 118.