venerdì 12 giugno 2015

Fegato e cuore umani in un chip per testare farmaci senza studi animali

Fegato e cuore umani in un chip per testare farmaci senza studi animali


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Piccoli organi in scala, in un mini-dispositivo, da utilizzare in ricerca. Nel laboratorio BioEra (Biological Engineering Research Application) dell'Università di Padova e dell'Istituto veneto di medicina molecolare (Vimm) è stato scoperto come sviluppare tessuti umani miniaturizzati 'on chip'. In particolare, sono stati presi in considerazione due tra gli organi umani di maggiore interesse per lo studio della tossicità indotta da farmaci: fegato e cuore. Lo studio è stato pubblicato su 'Nature Methods'.
La combinazione delle tecniche di micro-fabbricazione con la medicina rigenerativa ha reso possibile la creazione di organi umani in dispositivi tecnologici miniaturizzati anche detti 'organ on chip'. L'idea alla base di questa tecnologia innovativa è la possibilità di produrre organi umani da utilizzare come strumento di screening, al fine di testare nuovi farmaci e quindi sviluppare nuove terapie.
La miniaturizzazione consentirà l'analisi di un numero elevato di combinazioni sperimentali a costi estremamente contenuti, e la complessità tecnologica offerta da un dispositivo miniaturizzato garantirà di operare in condizioni che possano mimare la fisiologia umana in situazioni di normalità o in presenza di alterazioni patologiche. Altra peculiarità è la possibilità di sviluppare terapie ad hoc per ciascun paziente nel caso in cui tali organi o tessuti vengano derivati dallo stesso malato, attraverso l'impiego di cellule staminali che mantengono le informazioni genetiche del paziente.
La riproduzione in microscala di tessuti umani funzionali, come quello epatico e cardiaco - evidenziano gli autori - consente dunque di sviluppare sia nuovi modelli in vitro per lo studio di terapie mirate al singolo paziente, sia di testare la tossicità indotta da farmaci, alle diverse concentrazioni e modalità di assunzione, il tutto in tempi rapidi e in modo economicamente sostenibile. A oggi l'unico metodo preclinico utilizzato e approvato per il processo di ricerca e validazione di nuovi farmaci è la sperimentazione animale. Tuttavia possono verificarsi discrepanze nella risposta a un farmaco tra tessuti derivati da specie diverse.
Il tentativo di sviluppare modelli umani in vitro si è scontrato finora con la difficoltà di riprodurre tessuti umani funzionali e con i costi elevati per un impiego di tali tessuti su larga scala. Ma il lavoro del laboratorio BioEra ha già dato i primi risultati per lo studio della epatotossicità di un farmaco. Campioni di tessuto epatico integrati in un chip sono stati impiegati per eseguire efficacemente test automatizzati in risposta a un farmaco somministrato ripetutamente a precisi intervalli temporali.
"Da anni siamo impegnati a sviluppare microtecnologia per mimare in vitro le condizioni ambientali cui le cellule sono sottoposte in vivo", afferma Nicola Elvassore, responsabile scientifico del laboratorio BioEra. "Questo aspetto - aggiunge - è particolarmente rilevante per ottenere tessuti che siano funzionalmente quanto più simili a quelli presenti nell'organismo umano".
Il lavoro appena pubblicato è stato possibile grazie al contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo nell'ambito del bando 'Progetti di Eccellenza', e ai finanziamenti del ministero della Salute e dell'Università di Padova.
La tecnologia sviluppata nel laboratorio BioEra si basa sull'impiego di chip microfluidici prodotti utilizzando tecniche litografiche simili a quelle usate in microelettronica. "Abbiamo derivato le cellule umane cardiache ed epatiche nel chip a partire da cellule staminali pluripotenti", sottolinea Giovanni Giobbe, biotecnologo e co-primo autore del lavoro, "queste cellule staminali sono in grado di produrre tutti i tipi cellulari che compongono i tessuti del corpo umano, non soltanto quelli di cuore e fegato, e consentono lo studio della biologia umana in vitro senza ricorso a biopsie troppo invasive per i pazienti".
Lo sviluppo di microtecnologie per ottenere tessuti umani in vitro avrà sicuramente un grande impatto in campo farmaceutico e biomedico nel prossimo futuro. Ottenere tessuti a partire da cellule di un singolo paziente utilizzando una semplice biopsia cutanea o cellule derivate dal sangue o dalle urine renderà possibile il loro impiego di routine per effettuare test di farmaci, e lo sviluppo di terapie mirate per il singolo paziente.

Perché l’America si limita a fingere di combattere l’Isis

Perché l’America si limita a fingere di combattere l’Isis


“Charlie Hebdo”, la falsa morte di Bin Laden, l’aggressione alla Siria e poi all’Ucraina per colpire Putin che non vuole piegare la Russia al codice atlantico, mentre gli Usa cercano di stringere l’Europa nella morsa del Ttip, spaventati dalla Cina che ormai acquisisce la leadership mondiale dell’economia. Tutto chiaro: scenari e retroscena, geopolitica e moventi. Ma il mainstream continua a non prenderne atto, relegando la controinformazione (ormai dilagante) alla sfera del web. Ne abbiamo le prove, ripete il regista Massimo Mazzucco: l’unico terrorismo preoccupante è sempre e solo terrorismo di Stato, strategia della tensione, a partire dal crollo delle Torri Gemelle l’11 Settembre. «Non potrei mai dire chi e come le ha fatte crollare, con quale esplosivo, ma quello che è certo è che sono crollate per demolizione controllata, non certo perché colpite da due aerei di linea». Nel mainstream italiano, spicca una voce isolata e notevole, quella di Marcello Foa, che – dalle pagine del “Giornale” – continua a snocciolare pillole di verità destinate ai non addetti ai lavori. Per esempio, quelle sull’atroce Isis: nessuno ferma i tagliatori di teste perché sono stati messi lì apposta dagli Usa. Ecco il motivo per cui l’Isis non viene annientato.
«Chi osserva con disincanto le vicende in Medio Oriente lo ha capito da tempo: l’America che negli anni Duemila ha lanciato una guerra feroce – e decisamente sproporzionata – ad Al Qaeda, ora appare molto svogliata contro una minaccia ben più Marcello Foaconcreta: quella dell’Isis». Foa non menziona il Pnac, il progetto per il “Nuovo Secolo Americano” che già prima del 2000 annunciava la “guerra infinita” innescata dal terrorismo fatto in casa, con l’obiettivo finale di arginare la Cina entro il 2017. Preferisce limitarsi a osservazioni contingenti, collegando eventi che i media tendono a non collegare mai. «Come ho documentato da tempo – scrive – l’Isis un paio di anni fa è stato usato, armato e finanziato da Arabia Saudita, Emirati Arabi e dagli stessi Stati Uniti nel tentativo di abbattere il regime di Assad. Grazie anche a quei finanziamenti l’Isis si è ampliato, si è rafforzato ed è partito alla conquista di larghe parti dell’Iraq e ha infiltrato i suoi jihadisti in altri paesi, fino alla Libia». Risultato: «L’Isis, come purtroppo ben sappiamo, sta destabilizzando tutta la regione». Ma gli Stati Uniti si guardano bene dal fermarlo.
Per molti osservatori internazionali, da Pepe Escobar a Thierry Meyssan, l’Isis è un mostro fabbricato in provetta nei laboratori della Cia e del Pentagono, con la collaborazione di Israele. E’ ancora Mazzucco a ricordare il ruolo di Tel Aviv nel cosiddetto terrorismo islamico: «Alla vigilia della strage di “Charlie Hebdo” fu lo stesso Netanyahu ad avvertire i francesi che, se avessero firmato la dichiarazione a sostegno della nascita dello Stato di Palestina, avrebbero avuto guai, in casa, coi fondamentalisti». E perché mai gli arabi dovrebbero prendersela con chi aiuta i palestinesi? Il ragionamento, ovviamente, non regge. A meno che non lo si capovolga: il problema non sono “gli islamici”, ma chi manovra i fondamentalisti per i propri scopi politici. Come Netanyahu, in prima fila a Parigi alla grottesca parata dei potenti in occasione dei solenni funerali delle vittime di “Charlie Massimo MazzuccoHebdo”. «E’ uno schema banale, che si ripete alla noia, eppure i media fingono di ignorarlo perché sono funzionali a quello stesso sistema», accusa Mazzucco, intervistato da “Border Nights”. Il copione è invariato, cambiano solo gli attori.
Le comparse dell’Isis, denuncia Gioele Magaldi nel bestseller “Massoni”, sono state accuratamente selezionate da manovalanza occidentale, coordinata dalla cupola massonica del massimo potere concentrata nella Ur-Lodge “Hathor Pentalpha”, la superloggia segreta dei Bush che ha reclutato anche leader europei come Blair, Aznar e Sarkozy, oltre al turco Erdogan. Nella “Hathor Pentalpha”, che Magaldi definisce “loggia del sangue e della vendetta”, nata da George Bush padre dopo la sconfitta subita da Reagan alle presidenziali del 1980, sarebbero confkuiti i campioni del vertice neocon americano, da Dick Cheney e Paul Wolfowitz, il falco Donald Rumsfeld, profeti della globalizzazione neoliberista come Samuel Huntington e decine di satelliti regionali, tra cui anche l’ex presidente del Senato italiano Marcello Pera e l’ex ministro della difesa Antonio Martino. Per Magaldi, la “Hathor Pentalpha” ha diretto l’operazione 11 Settembre, in collaborazione con un certo Bin Laden. E Nicolas Sarkozypoi ha creato il nuovo orrore, quello dell’Isis, non a caso battezzato con il nome della dea egizia, di cui “Hathor” è il secondo nome. Una “firma” piuttosto esplicita, ideata da ambienti esoterici sempre molto attenti ai nomi, alle date, ai numeri che compongono il contenuto simbolico a cui viene attribuito anche un preciso significato propiziatorio.
Marcello Foa resta a debita distanza dalle recenti dietrologie, costantemente oscurate dai grandi media, ma non rinuncia a lanciare avvertimenti. L’Isis? «L’America ufficialmente dice di volerlo combattere. E gli alleati arabi, ufficialmente, non sostengono più i miliziani del nuovo Califfato. Ma qualcosa non torna: sarebbero bastate alcune giornate di bombardamenti intesi sulle milizie Isis – stile quelli condotti sulla Libia – per letteralmente annientare l’Isis. Invece, l’America ha dato sì avvio ai bombardamenti, ma con il freno tirato; limitandosi a bombardamenti simbolici. E l’Isis infatti ha continuano ad espandere la sua influenza». Ora, continua Foa, il sospetto degli analisti trova conferma nelle denunce dei piloti americani, che affermano di essere frenati da regole di ingaggio assurde. Foa cita fonti giornalistiche: «Ci sono stati momenti in cui avevo gruppi dell’Isis nel mirino ma non avevo l’autorizzazione a colpire», ha detto a “Fox News” il pilota di un F-18. Può passare anche un’ora, prima che il pilota possa bombardare. Perché? Lo spiegano Mazzucco, Meyssa, Escobar e tutti gli altri. Foa preferisce formulare la domanda: «Perché l’America non vuole distruggere l’Isis? E perché i paesi europei, pur essendo direttamente esposti alla minaccia jihadista, lasciano fare?».

Scandalo Don Uva/ Di Gioia a Rizzi: “Fatemi una statua”. Il telefonino bollente della Vasiljevic

Scandalo Don Uva/ Di Gioia a Rizzi: “Fatemi una statua”. Il telefonino bollente della Vasiljevic


digioialello

Nell’operazione “Oro Pro Nobis” (titolo mai così azzeccato), emerge un sistema consolidato che vede legati a doppio filo il management dell’ente, professionisti e politici. Nell’ordinanza di quasi 600 pagine, spicca il rapporto tra Dario Rizzi, ex direttore del Don Uva a Foggia e il parlamentare di San Marco La Catola, Lello Di Gioia. Nessuno sembra muovere un muscolo a meno di tornaconti personali. Primo fra tutti proprio l’onorevole, deciso a sfruttare a pieno il suo ruolo di presidente della Commissione parlamentare di controllo sulle attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale, oltre che componente permanente della Commissione Bilancio e Tesoro della Camera dei Deputati.

Di Gioia a Rizzi: “Dovreste farmi una statua”

Dario Rizzi
Dario Rizzi
Stando alle carte di “Oro Pro Nobis”, Di Gioia avrebbe bloccato sul nascere l'iniziativa del commissario straordinario Bartolomeo Cozzolitendente all'emanazione di un bando pubblico per l'acquisizione di tutti gli istituti Don Uva (su l’Immediato scrivemmo dell’interesse degli imprenditori foggiani Telesforo e Salatto), proponendo, in alternativa, un progetto di acquisizione della sola sede di Foggia da parte dell'INAILche sarebbe stato oggetto di discussione in apposito incontro alla presenza del commissario straordinario e del direttore dello stesso ente previdenziale. Il progetto proposto dal politico, in sostanza, mirava a faredella sede di Foggia un centro di eccellenza nel meridione per la riabilitazione e, contestualmente, avrebbe salvaguardato la posizione di Rizzi, garantendogli un posto di direttore della nascente struttura che, a seguito dell'acquisizione di un soggetto pubblico, avrebbe cambiato la veste giuridica da privata a pubblica. Particolarmente significativa è l'enfasi con cui Di Gioia, per rincuorare Rizzi, preoccupato di perdere la sua posizione di comando, a fronte dell'interrogativo "E io che devo fare in questa cosa?", replica perentoriamente: “E tu fai il direttore! Che devi fare?!”, dando evidentemente per scontato che a Rizzi sarebbe stato assicurato un ruolo di comando nella nascente struttura. La telefonata - scrive il giudice nell'ordinanza - è interessante anche per un'altra ragione: Rizzi, consapevole di avere con l'onorevole un legame a tal punto indissolubile da poter fare sicuro affidamento sulla sua "copertura politica" in caso di necessità, lascia intendere, implicitamente, che questo "credito di riconoscenza" trae origine dai favori accordati al politico, tra cui sono sicuramente da annoverare l'assunzione e l'attribuzione dell'incentivo all'esodo alla figlia Silvia. Liquidazione dell'incentivo (7.500 euro) avvenuta successivamente all'avvio della procedura del concordato preventivo in violazione del principio della “par condicio creditorum”.

Le pressioni dell’onorevole e l'SMS: "Faccio una brutta figura con mia figlia"

Sono continue le pressioni di Lello Di Gioia su Dario Rizzi. A ballare è la posizione della figlia del parlamentare, Silvia Di Gioia, anche lei indagata. In un momento nel quale si decide il licenziamento di numerosi dipendenti, l’onorevole spinge per il riconoscimento di 7.500 euro alla giovane, prima che quest’ultima parta per Londra. Rizzi si mostra disponibile ma dopo un lungo susseguirsi di telefonate con Di Gioia, finisce per sbottare: “Senti Lello, non mettermi fretta!”. Poi, parlando conAugusto Toscani, l’uomo che doveva sistemare la pratica, dice: “Di Gioia è diventato di una cosa che non capisco… Lo vuoi chiamare tu? Io non voglio neanche più sentirlo”. La storia si concluderà con il riconoscimento del denaro alla figlia del parlamentare, non prima di uno "struggente" SMS di quest'ultimo a Rizzi: "Caro Dario, penso di avere avuto con te e con la Casa un rapporto di correttezza e di piena disponibilità, mi dispiace questo vostro comportamento di continuo rinviare nonostante avessimo parlato io e te già da una settimana. Tuttavia devi sapere che la cosa che più mi da fastidio è di aver fatto una bruttissima figura con mia figlia e questo sinceramente avrei voluto evitarlo. Comunque mi fai la gentilezza di lasciar perdere perché Silvia oggi stesso consegnerà la lettera di licenziamento togliendo il disturbo".

Telefono caldo

Adriana Vasiljevic
Adriana Vasiljevic
Di Adriana Vasiljevic abbiamo detto più o meno tutto. Compreso il suo tentativo di entrare in Consiglio comunale a Foggia per Forza italia alle Amministrative 2014. Ma non può passare in secondo piano uno dei tanti episodi di sperpero di denaro pubblico che vede la 29enne dell’Est Europa ancora protagonista. Per lei e l’amante Dario Rizzi, sull'ordinanza si parla "del medesimo disegno criminoso", atto a dissipare le risorse dell'Ente, già in condizione di profonda e conclamata crisi. La Vasiljevic si assentava sistematicamente dal posto di lavoro per esigenze personali di tipo voluttuario, contando sulla connivenza di altri dipendenti che timbravano il cartellino segnatempo al suo posto. Addirittura, mentre era in Serbia, risultava in ufficio al Don Uva grazie a qualcuno che marcava il suo badge. In pratica era "ubiqua". Inoltre, favorita dalla copertura di Rizzi, percepiva comunque gli emolumenti oltre alla fruizione anticipata di 32 giorni di ferie relative al successivo anno 2015. Ma non è tutto. Rizzi – scrive il giudice - concedeva alla Vasiljevic l'utilizzo di un’utenza cellulare intestata alla Casa divina Provvidenza, sebbene la donna non ne avesse alcuna necessità sul fronte lavorativo. La donna ha poi utilizzato quel telefono per scopi personali, cagionando all’Ente un danno di 5.544,23 euro, pari all'importo delle fatture addebitate all'Ente per i consumi effettuati dall'ottobre 2011 all'agosto 2012. Con l’aggravante, per Rizzi, di aver agito in danno dell'Ente anche allo scopo abietto di ottenere prestazioni sessuali dalla Vasiljevic, anche sodomitiche. Ma questa è una storia già raccontata.