giovedì 5 luglio 2012

Altro che Barclays, ecco le "truffe" Usa di cui nessuno parla


Altro che Barclays, ecco le "truffe" Usa di cui nessuno parla

giovedì 5 luglio 2012
FINANZA/ Altro che Barclays, ecco le truffe Usa di cui nessuno parlaInfophoto
Oddio, che scandalo! A Londra i principali gruppi bancari taroccavano il Libor, ovvero il tasso di riferimento per i mercati interbancari! Addirittura il presidente di Barclays, Marcus Agius, ha dato le dimissioni travolto dall’ondata di sdegno! Scusate, cari lettori, ma voi credevate ancora a Babbo Natale? Di cosa vi stupite: del fatto che la finanza, all’80%, sia fatta di mascalzoni e manipolatori? È la realtà e se permettete oggi parlerò di alcune notizie che non troverete sui giornali, né sui telegiornali e dubito fortemente anche su molti siti e blog.
Cominciamo dalla prima, ovvero la denuncia senza precedenti di Joe Saluzzi, esperto di trading algoritmico - meglio conosciuto come HFT (High-Frequency Trading) -, secondo cui i “parassiti”, questo il termine che usa, del trading ultra-veloce rappresentano ormai, mediamente, il 50-70% del volume registrato sui mercati Usa. Di più, il 2% dei traders di molte operazioni, specificatamente in HFT, rappresentano l’80% del volume, una singola azienda operante in HFT può pesare per più del 10% del volume di mercato quotidiano negli Usa, le principali aziende di HFT guadagnano tra gli 8 e 21 miliardi di dollari l’anno, il tutto tradando alla velocità di un millisecondo (una micro-frazione di tempo rispetto al battito delle palpebre), ovvero creando attività di negoziazione fittizie volte a inserire ordini sui quali poi non c’è un reale interesse a negoziare.
Paradossalmente, questi parassiti stanno costruendo le condizioni per la loro estinzione, visto che la loro corsa per incrementare i margini, oramai, comincia a cozzare contro i limiti della fisica (leggi, la velocità della luce) e il costo marginale per il prossimo incremento di vantaggio sul resto del mercato sta crescendo esponenzialmente. Quindi, la profittabilità del trading sta subendo una squeeze tale, già oggi, che un giorno, di colpo, potrebbe sparire del tutto. Bene, direte voi, eliminati i parassiti, il mercato tornerà a essere market maker e a prezzare realmente azioni che vengono tradate realmente.
Vero, peccato che all’orizzonte c’è un piccolo effetto collaterale: cosa accadrà al prezzo degli assets una volta che tutto quel volume fittizio, ma che pesa ormai tra il 50% e il 70% del totale, di colpo sparirà? Non sarà che il flash crash dello scorso anno sia stato nulla più che una prova generale della Sec - un worst case scenario per testare la tenuta del sistema - in vista del d-day per l’high-frequency trading? E noi ci scandalizziamo per il taroccamento del Libor? Ma andiamo avanti.
JP Morgan avrebbe accumulato perdite su derivati per 9 miliardi di dollari, tre volte la cifra che la banca d’affari è stata costretta ad ammettere a denti stretti. Il problema è che da più parti si comincia a definire JP Morgan la nuova Enron, ovvero una potenziale mina per il sistema finanziario globale. Il perché è presto detto: senza l’aiuto di Stato, la banca d’affari avrebbe un rating reale molto ma molto più basso, esattamente tre livelli in meno per il rating dei depositi a lungo termine e due per il debito senior. Ma, nella patria del libero mercato, il governo ha già detto che si schiererà in tutela di creditori e detentori di bond della banca, in caso questa dovesse fare default sul suo debito. Insomma, garanzia federale: buoni tutti a fare i capitalisti così, no? Insomma, JP Morgan è un pollo che i soldi dei contribuenti Usa continuano a trasformare in aquila.
Non ci credete? Già oggi, JP Morgan riceve sussidi governativi per 14 miliardi di dollari l’anno, stando a una ricerca pubblicata dal Fondo monetario internazionale. Soldi pubblici che permettono alla banca di continuare a pagare salari e bonus stellari, ma, soprattutto, continuano a distorcere i mercati e alimentare crisi, come quella dei subprime prima o del debito sovrano oggi. Ogni anno, il governo Usa stanzia 76 miliardi di dollari di sussidi per le 18 principali banche del Paese, cifra che è pari al totale dei profitti di questi istituti negli ultimi 12 mesi e più di quanto il governo federale spenda per l’istruzione ogni anno. Di più, con i suoi 14 miliardi all’anno, JP Morgan ottiene dal governo una cifra che è pari al 77% della sua rendita netta negli ultimi quattro trimestri: in altre parole, i contribuenti statunitensi hanno pagato gran parte del conto per le perdite miliardarie che oggi sono la headline su tutti i giornali e argomento di discussione di fronte al Congresso.
Ma non basta: lo stesso Dimon, numero uno di JP Morgan, ha ammesso in una recente conference call che l’Home Affordable Refinancing Program, il quale permette alle banche di generare reddito attraverso la modifica dei mutui con garanzia governativa, ha dato un significativo contributo ai guadagni di JP Morgan nei primi tre mesi di quest’anno. E voi lo chiamate libero mercato, questo? Ma, soprattutto, con quale faccia gli Usa criticano il sistema europeo e la “mano visibile” del capitalismo di Stato dei Brics, Cina in testa? Ma si sa, gli americani sono bravissimi a dare lezioni agli altri, ma tremendamente impermeabili alle critiche verso se stessi.
Ne volete sapere un’altra, tanto per ridimensionare ancora un po’ la portata dello scandalo Libor? Venerdì scorso sui mercati delle commodities si è tenuto un vero e proprio festival dello squeeze sul prezzo del petrolio, capace di comprimerne il prezzo: il problema è che lo statunitense medio non dovrebbe dar troppo peso o gioire troppo per il fatto che il prezzo del carburante scenda di 5 o 10 cents al gallone nella sua stazione di servizio abituale, visto che la Marina statunitense paga 26 dollari - avete letto bene - per un gallone di biocarburante verde sintetico, l’ultima trovata dei guru del politically correct per far credere al mondo che può non dipendere più dal petrolio brutto e cattivo (salvo riconvertire a biocarburante ed etanolo i campi di grano, creando squeeze su materie prime alimentari e far lievitare i prezzi delle stesse, begli ecologisti!). È stata la Reuters a rendere noto che la “Great Green Fleet” sarà la prima unità operativa della Marina a essere alimentata per la gran parte da carburanti alternativi: la scelta del Pentagono risale al 2009, quando la Marina pagò l’azienda di biocarburanti Solazyme qualcosa come 424 dollari al gallone per ottenere 20,055 galloni di biocarburante a base di alghe! E chi era il consigliere strategico della Solazyme all’epoca? TJ Gaulthier, ex membro del Transition Team di Obama alla Casa Bianca! Evviva la sana società statunitense, scevra da conflitti d’interesse! Insomma, oltre a tappare i buchi di JP Morgan e pagare le case agli Hamptons ai suoi managers, i contribuenti statunitensi pagano una tassa occulta sulla benzina, finanziando con le loro tasse i folli esperimenti “verdi” della Marina e delle aziende amiche del presidente o del Pentagono.
Per finire, la chicca, legata proprio al discorso pocanzi toccato della moda - molto fruttuosa per certe lobby - dei cosiddetti combustibili verdi o alternativi. Argomento splendido per una cena in qualche salotto da gauche caviar di Corso Venezia, ma capace non solo di creare crisi alimentari gravissime ma anche di fungere da dinamo per la speculazione pura sulle commodities. E, signori miei, una bella crisi alimentare (indotta proprio da motivi puramente speculativi) è alle porte, visto che in una settimana il prezzo di grano e frumento Usa è salito del 10% a causa delle temperature torride che attanagliano il Midwest e mettono a rischio i raccolti, una situazione che gli esperti definiscono simile a quella del 1988, quando la produzione di grano Usa subì un taglio del 30%. E siccome gli Usa esportano il 40% del grano a livello globale, capite che la situazione è di quelle serie, visto che le avverse condizioni climatiche stanno colpendo anche le aree produttive del Mar Nero e del nord della Cina.
Direte voi, cosa c’entra il biocarburante con il clima avverso, variabile non prevedibile? Semplice, le coltivazioni di grano sono state reimpiantate in fretta e furia dopo la crisi alimentare dello scorso anno, visto che nell’ultimo periodo erano state riconvertite per coltivazione destinata al bioetanolo. Certamente il caldo colpisce senza distinzioni, ma piantagioni così deboli subiscono danni maggiori, poiché non vengono indebolite dal caldo, bensì semplicemente bruciate in partenza. Questo, in un anno che doveva essere di surplus agricolo.
Detto fatto, venerdì scorso Goldman Sachs ha alzato le sue previsioni di prezzo per i futures sul grano da 5,25 dollari per bushel a 6,25 dollari, innescando di fatto un effetto tandem, visto che il frumento segue di pari passo gli aumenti di prezzo del grano, stante il suo compito storico di ripiazzamento del cereale nell’alimentazione animale e quindi l’aumento della domanda. Ora, al netto delle polemiche sui biocarburanti, confortate non dalle idee personali del sottoscritto ma dal parere di Shawn McCambridge, analista alla Jefferies Bache, io sento puzza di speculazione pura dietro la mossa di Goldman Sachs.
Attualmente le stime di produzione di grano Usa sono di 354 milioni di tonnellate contro le 375 previste per il 2012-2013, stando a Capital Economics e comunque 22 milioni di tonnellate in più rispetto al raccolto del 2009-2010. Perché tanta fretta di alzare le stime di prezzo sui futures, visto che oltretutto l’arrivo di una corrente umida dal Messico dovrebbe porre fine alla siccità negli Usa entro fine estate? Inoltre, nonostante i prezzi del grano stiano salendo, quelli di cotone e caffè sono tutti scesi nei mesi recenti, tanto che l’indice S&P GSCI Agriculture, che traccia i prezzi delle commodities alimentari grezze, è del 10% più basso di un anno fa. Inoltre, quest’indice non tiene conto dell’Asia, con il prezzo del riso destinato a scendere ora che il governo thailandese sta per vendere e immettere sul mercato grosse riserve di cereale.
Ancora tanto sconvolti per la taroccata del Libor? Io, in tutta onestà, no. Aprite gli occhi. E restate informati.

P.S.: I lampeggianti dei mercati lanciano flash rossi: spread in netta risalita ieri pomeriggio e non per colpa dell’incertezza sull’esito del vertice Monti-Merkel. Gira voce che la Bce non avrebbe intenzione di coprire un bond greco in scadenza ad agosto, in caso il governo ellenico non fosse in grado di pagare. Gira voce...



Giappone, a Fukushima ci fu anche errore umano


Giappone, a Fukushima ci fu anche errore umano

5 luglio 2012
L’indagine parlamentare indipendente giapponese non lascia più dubbi: per l’incidente nucleare avvenuto a Fukushima ci sono anche colpe dell’uomo.
YOSHIKAZU TSUNO/AFP/GettyImages
La mancanza di “governance” tra governo, authority e il gestore dell’impianto Tepco, avrebbe mandato in tilt le comunicazioni e quindi aumentato i danni.
Ci sono voluti sei mesi di indagini per chiarire che a Fukushima il disastro non fu solo opera del sisma e del seguente tsunami ma ci sono gravi colpe umane.
Nel frattempo, proprio questa mattina il reattore numero 3, collocato nella prefettura di Fukui, ha ripreso a funzionare al 5 per cento delle sue potenzialità. La notizia è stata confermata dal gestore dell’impianto che ha anche fatto sapere che fino a questo momento tutte le previsioni in merito al progetto di riaccensione dell’impianto sono state rispettate.
Secondo il gestore il pieno funzionamento dell’impianto numero 3 potrebbe avvenire entro e non oltre il 9 di luglio, mentre per il reattore numero 4, che si trova nella stessa strutture, il pieno regime potrebbe essere raggiunto entro il 20 luglio prossimo.
Grazie alla riaccensione dei due impianti si porta a zero il rischio di pericolosi blackout nell’area di Kansai, una delle più ricche del Paese, e di conseguenza anche l’importazione di combustibili fossili.
Il Giappone è il terzo produttore al mondo (dopo Usa e Francia), di energia ricavata dall’uso civile dell’atomo.

Napoli, mistero sul detenuto morto nella caserma dei carabinieri


Napoli, mistero sul detenuto morto nella caserma dei carabinieri

4 luglio 2012
Mario Di Vito
Michele Pavone, 29 anni, è stato ritrovato morto nella serata di ieri all’interno della caserma dei carabinieri di Sant’Anastasia (Napoli). Il giovane era entrato in camera di sicurezza ieri pomeriggio, dopo essere stato arrestato perché evaso dagli arresti domiciliari. La versione ufficiale, al momento, parla di “autosoffocamento” per mezzo della propria maglietta.
Pavone gestiva un negozio in paese, di quelli “Tutto a 50 centesimi”, ed era stato arrestato qualche tempo fa per un piccolo furto di liquori in un supermercato. Stando a quanto dichiarato dalla famiglia, poi, il 29enne non soffrirebbe di problemi psichiatrici, né avrebbe avuto motivi per suicidarsi.  Tra l’altro, la mattina dopo l’arresto, con ogni probabilità, l’uomo sarebbe stato giudicato per direttissima e rimandato agli arresti domiciliari.
La rabbia dei familiari- che ancora non ha rilasciato dichiarazioni ufficiali – è concentrata sulla contestazione della violazione dei termini di libertà vigilata. Pavone, infatti, è stato arrestato mentre si trovava nella piscinetta gonfiabile situata nel cortile della casa, all’interno della recinzione dell’edificio che ospita quattro appartamenti della famiglia.  In attesa delle conclusioni del medico legale, sul caso è al lavoro la procura di Nola che non esclude nessuna pista.

COSTITUENTE (?)/ Ecco perché l'idea di Pera non servirebbe a nulla

giovedì 5 luglio 2012
COSTITUENTE (?)/ Ecco perché l'idea di Pera non servirebbe a nullaMarcello Pera (InfoPhoto)
Come in ogni fase di cambiamento, di transizione, di crisi e di incertezza sul futuro, anche la fase attuale potrebbe giovarsi significativamente di una nuova Costituzione o, almeno, di una profonda revisione di quella vigente.Costituire o rinnovare il contratto sociale, riaffermare i valori da perseguire e in cui identificarsi, ripensare alle regole di fondo su cui basare il cambiamento, identificare la direzione verso cui indirizzarsi con uno sforzo autenticamente comune e condiviso potrebbe dare veramente una svolta al Paese, aiutarlo ad uscire dalle secche di una situazione confusa e problematica per orientare il cammino verso nuovi e più convincenti traguardi. 
È per questo che molte ed autorevoli sono le voci che si levano per auspicare una Assemblea Costituente, una seconda Assemblea che – visto il successo della prima, quella che ha guidato l’uscita dal dramma della guerra – possa fare da detonatore alle molte potenzialità presenti in Italia e che faticano a trovare lo spazio per uno sviluppo. Oggi invece si naviga a vista e si riflette sui cambiamenti solo dopo che sono accaduti.
Un grande, un nuovo patto per il Paese: per questo l’idea di ritrovarsi per rilanciare piace a molti. Sono davvero molti? L’afflato - se si contano quelli che lo nutrono, se li si guarda da vicino – risulta essere drammaticamente poco condiviso e, soprattutto, poco ascoltato.
Potremmo certamente eleggere 75 nuovi Padri costituenti, di altissimo profilo, di provata moralità, tecnicamente esperti e politicamente lungimiranti. Pur facendo un sforzo di fantasia istituzionale, i profili che rispondono all’identikit restituiscono l’immagine di una coorte le cui file sono, tutto sommato, men che esigue. Il che è già da solo sufficiente a smorzare gli entusiasmi costituenti o, almeno, a moderarli alla luce del dovuto realismo.
Lo stesso realismo che, oltre a guardare ai possibili e improbabili protagonisti, impone di prendere atto anche della base sociale, del popolo, elemento imprescindibile perché il nuovo patto costituzionale attecchisca e produca frutti. Si può, infatti, realisticamente ritenere che la riscrittura di alcuni dei 139 articoli della Costituzione vigente possa essere così attraente da risvegliare energie, desideri, creatività, senso del bene comune, capacità di accoglienza, ardore, sprezzo della fatica e molte altre doti ancora, queste sì fondamentali perché il Paese torni a marciare? Si può muovere alla virtù con un progetto ri-costituente pensato a tavolino? Si può realisticamente ritenere che una classe politica in affanno possa trovare risanamento dibattendo ex novo su come impostare il federalismo, su quali poteri dare e non dare ad un capo di Stato, su un nuovo assetto di relazioni tra Parlamento e Governo, su come impostare in modo meno verticistico il rapporto con le istituzioni europee?
Una Carta costituzionale, anche riscritta, è solo un tassello di un sistema; per quanto 
importante, per quanto fondamentale, essa vive dentro le condizioni materiali di un Paese, della sua politica, delle sue istituzioni, della sua cultura, giuridica e non; per questo da sempre si parla dicostituzione materiale, che plasma e riscrive continuamente quella formale, quella scritta. Iscriviamoci pure le regole sul pareggio di bilancio, su un nuovo Senato federale, e altro ancora: questo (che tra l’altro comporta uno sforzo notevolissimo) non esimerà dalla fatica di tradurre le norme in passi concreti volti a realizzare quanto si prefigura, per esempio una buona legge elettorale scritta per il Paese e non per cercare di restare a galla nell’era del grillismo e dell’assenteismo (elettorale e non). Senza dimenticare che di Senato federale si parla dal 1958, pur nelle diverse denominazioni di volta in volta reperite (che sia la volta buona?) e che le regole sulla forma di governo sono scritte in modo così “aperto” (espressione tecnica che indica il fatto che i costituenti in materia non vollero creare nulla di definitivo) da aver legittimato tutte le diverse fasi e le diverse repubbliche che abbiamo conosciuto negli ultimi 50 anni, ben oltre la pur sancita rigidità costituzionale che – come è noto – riguarda principalmente i diritti fondamentali e il controllo di costituzionalità delle leggi, ma che si flessibilizza assai di fronte ai cambiamenti che la politica e le trasformazioni – anche quelle imposte in sede europea – che abbiamo subito.
Scriviamo pure una nuova Costituzione o riscriviamo l’esistente, se ce ne sarà la forza, ma che non sia ancora una volta uno stratagemma che ha per scopo di cambiare tutto per non cambiare nulla. Sotto il vestito, niente? 

LEGA/ Allora i furbetti sono tanti anche al nord??Chiede sussidio al Comune ma la sua azienda evade 13 mln


Chiede sussidio al Comune ma la sua azienda evade 13 mln

Truffa a Cassano Magnago (Varese)

04 luglio, 14:33
Guardia di Finanza Guardia di Finanzai
Chiede sussidio al Comune ma la sua azienda evade 13 mln
VARESE - Dichiarava di avere un reddito lordo annuale non superiore a 20 mila euro percependo, di anno in anno, contributi a sostegno del nucleo familiare dal suo comune, Cassano Magnago (Varese). In realta' la sua azienda, gestita dal nucleo famigliare (padre e figli), e' risultata aver evaso oltre 13 milioni di euro. L'indebito sussidio, pari a 800 euro al mese, ottenuto illecitamente ai danni dell'ente locale, e' stato ricevuto dal 2007 al 2010, fino all'intervento dei finanzieri della Compagnia di Busto Arsizio (Varese). 
 Le Fiamme Gialle, al termine dell' attività ispettiva, hanno ricostruito in capo alla società di famiglia un'evasione di oltre 13,5 milioni di euro e un reddito pro capite dei soci, tra cui il percettore dell'indennità da 800 euro (un'una tantum annuale) di oltre 2 milioni di euro annui. L'uomo, A.A., di 45 anni, è stato denunciato come gli altri soci per dichiarazione fraudolenta, mentre l'indebito contributo rappresenta una violazione amministrativa. "Tutto è scaturito dall'attento esame della documentazione reperita dai militari della Guardia di Finanza nel corso dell'accesso domiciliare svolto in concomitanza con l'apertura della verifica fiscale - precisa una nota della Gdf -. Tra i documenti visionati, all'occhio dei finanzieri non è sfuggita la domanda presentata al Comune per l'ottenimento del beneficio. Al termine dell'ispezione, pertanto, i militari operanti hanno provveduto alla ricostruzione della reale posizione reddituale in capo a ciascun socio portando alla luce la paradossale vicenda.

Berlusconi c’è ancora, eccome,Rai: Schifani ‘cambia’ un membro della commissione per favorire il PDL


Rai: Schifani ‘cambia’ un membro della commissione per favorire il PDL

4 LUGLIO, 2012
Berlusconi c’è ancora, eccome. Il Cda Rai avrebbe potuto vedere al suo interno una maggioranza non controllabile dal Pdl e così il Presidente del Senato ha aiutato il Centrodestra, sostituendo un senatore:
Il Fatto. Il senatore “dissidente” del Pdl vota controcorrente in Vigilanza rispetto alle indicazioni del partito e nel pomeriggio Schifani decide di sostituirlo con un altro parlamentare. Il presidente del Senato, ex senatore e capogruppo a Palazzo a Madama di Forza Italia, entra a gamba tesa nella commissione per il rinnovo del cda del servizio pubblico per favorire i candidati voluti dal partito di Berlusconi. Una decisione in contrasto con l’assenza di vincolo di mandato prevista dalla Costituzione, giustificata dalla volontà di tutelare la nomina di Antonio Pilati, ideatore della legge Gasparri. E quindi per fare un favore al Cavaliere
I fatti risalgono a questa mattina, quando il senatore Paolo Amato, membro della Commissione di vigilanza, aveva espresso la preferenza per la candidata Flavia Nardelli, proposta solo da Fli e Idv. Una scelta che si traduce nella sua sostituzione dalla Vigilanza quando nel pomeriggio Renato Schifani decide di far prendere il suo posto a Viespoli. Una decisione legittima e dovuta per Schifani perché, ha detto, “in seguito al ricalcolo proporzionale dei 20 seggi spettanti ai Gruppi di Palazzo Madama è risultato che il Pdl dovesse rinunciare a un componente”. Un posto che sarebbe andato a Coesione nazionale. In più, è stato Schifani stesso a spiegare che il nome “uscente” è stato suggerito da Gasparri che questa mattin, dopo avere appreso del voto “dissidente” di Amato, aveva parlato di “complotto”. Ma il regolamento prevede che la sostituzione in commissione di Vigilanza possa avvenire solo su richiesta del diretto interessato e nel corso della sessione elettorale non possono essere effettuati cambiamenti.
Da qui la polemica con Gianfranco Fini che interviene duramente: ”Schifani ha ravvisato l’urgenza di intervenire solo oggi perché era chiaro che la libertà di voto del senatore Amato avrebbe determinato un esito della votazione non gradito al Pdl? Se così fosse – ha scritto in una nota il presidente della Camera – saremmo in presenza di un fatto senza precedenti e di inaudita gravità politica”.

Mentana: "Santoro a La7" l'annuncio in diretta al Tg


Mentana: "Santoro a La7" l'annuncio in diretta al Tg

TELEVISIONE - "La prossima stagione di Servizio pubblico andrà in onda sulla nostra rete", ha detto il direttore chiudendo l'edizione serale del telegionale e via Twitter
ROMA - Michele Santoro ha firmato con La7 per la prossima stagione. Lo ha appena annunciato in diretta il direttore del tg Enrico Mentana: "Poco fa Michele Santoro ha firmato con La7. La prossima stagione quindi di Servizio pubblico andrà in onda sulla nostra rete", ha detto chiudendo

Londra, inaugura la “scheggia” di Piano


Londra, inaugura la “scheggia” di Piano


“The Shard”, il grattacielo londinese opera di Renzo Piano
“The Shard”, il grattacielo londinese opera di Renzo Piano
Londra - L’attesa è finita: domani lo Shard, il nuovo grattacielo di Londra disegnato da Renzo Piano, sarà ufficialmente inaugurato alla presenza di vip e del sindaco Boris Johnson. Fasci di “raggi laser” verranno proiettati dalla cima dell’edificio - il più alto dell’Europa occidentale con i suoi 310 metri - verso le altre celebri attrazioni della capitale.
Per salire sul grattacielo e godere dei bar, ristoranti, hotel e della vista mozzafiato, si dovrà però aspettare fino al 2013, data prevista per l’apertura al pubblico.
L’inaugurazione segna la fine dei lavori esterni, che hanno tenuto col naso all’insù i londinesi per molti mesi. Lo Shard si può infatti ammirare da tutta la città, ma le sue dimensioni hanno suscitato anche accese critiche, alcune delle quali provenienti persino dal principe Carlo. Il rischio, dicono i detrattori , è che il grattacielo sia fuori scala,rovinando così la vista della vicina cattedrale di St Paul.


Fiat/Marchionne arrogante e pataccaro

Marchionne, arrogante e pataccaro. E il governo dei “tecnici” non muove un dito…

(di Andrea Colombo) -
Averci a che fare con Sergio Marchionne è peggio che doversela cavare con uno dei tanti saltimbanchi e bari di professione che fregano gonzi in giro per il mondo. In questo caso i lavoratori Fiat e lo Stato italiano. Sergino non è il primo a usare il pugno di ferro in Fiat. Gli strumenti discriminatori e anticostituzionali li aveva già sperimentati Vittorio Valletta. La concezione delle relazioni industriali come guerra di classe da vincere in campo aperto la aveva già praticata Cesare Romiti. La differenza è che Romiti e a maggior ragione Valletta sapevano anche costruire e vendere automobili. Marchionne è un pataccaro. L’arte sua è precisamente quella dei giocolieri che sanno muovere a velocità supersonica le esemplari tre cartine.

Il discorsetto con cui ieri ha spiegato che, vista la situazione di mercato, in Italia c’è uno stabilimento Fiat di troppo, prelude prima di tutto al tradimento degli impegni in cambi dei quali i lavoratori di Pomigliano e Mirafiori avevano obtorto collo accettato un accordo indigeribile e subito dopo alla fuga dell’Italia: limone strizzato fino all’ultima goccia da cui, purtroppo, non si può prendere più nulla.

Ancor più scandalosa dei trucchi da prestigiatore di Marchionne è la complicità dello Stato italiano, ridotto a fare da “spalla” al ciarlatano di turno come il tipico assistente scemo al mago di turno. Era così con Berlusconi il Gozzovigliante. È anche peggio con Monti il Serioso.

Marchionne fa ogni giorno un passo in più sulla strada che porta la Fiat fuori dall’Italia. Monti finge di non vedere. Marchionne si rimangia gli impegni adoperati per portarsi a casa accordi da antico padrone del vapore. Monti ritiene che occuparsene sarebbe una indebita invasione di campo: la Fiat fa quello che vuole.

Marchionne se ne infischia delle sentenze e non perde occasione per far capire che la legge è uguale per tutti tranne che per la Fiat. Monti lo spalleggia e non muove un dito per garantire il rispetto della legge.

Tra i tanti fronti aperti, quello del rapporto tra governo e Fiat è forse il più esemplare. Rivela quel che il servidorame giornalistico, i politicanti d’accatto fanno il possibile per nascondere dietro la falsa neutralità del “governo tecnico”.

Mario Monti è un uomo di parte e con i suoi atti difende sempre e comunque quella parte: la stessa di Marchionne e dei banchieri. Mario Monti ha le sue idee: sono quelle che governano il mondo e l’Europa da trent’anni a favore dei Marchionne, dei padroni e dei banchieri. Non che sia una grande scoperta, per carità. Lo sanno tutti. Solo Massimo D’Alema fa finta di non essersene accorto.