martedì 31 marzo 2015

Siria, la bimba si 'arrende' al fotografo: la storia dello scatto che commuove il Web

Siria, la bimba si 'arrende' al fotografo: la storia dello scatto che commuove il Web


<p>(Foto Osman Sagır)</p>

E' diventata l'immagine simbolo della terribile guerra siriana. La foto della bambina che, con la paura negli occhi e le labbrucce chiuse come se trattenesse il pianto, alza le manine in segno di resa davanti all'obiettivo di un fotografo credendo che fosse un'arma, è stata condivisa da milioni di persone nel mondo. Ma qual'è la storia che c'è dietro?
Lo ha raccontato alla Bbc il vero padre della foto, il fotografo turco Osman Sagirli, in un articolo intitolato "The photographer who broke the internet’s heart" (Il fotografo che ha spezzato il cuore di internet). L'immagine è infatti diventata virale sui social network lo scorso martedì quando è stata twittata da Nadia Abu Shaban, una fotoreporter a Gaza. "Fotografia scattata a una bambina siriana. Lei crede che ho in mano un'arma e non una macchina fotografica. Per questo si è consegnata", si leggeva nel post.

L'immagine si è diffusa rapidamente, raccogliendo migliaia di commenti. Il post è stato ritwittato più di 11mila volte e condiviso anche su Reddit ricevendo più di 5.000 'Mi piace' e 1.600 commenti. Molti su Twitter hanno chiesto chi aveva scattato la foto e perché era stata pubblicata senza credito. Tra chi sosteneva che l'immagine risaliva al 2012 e chi diceva che la bimba in realtà fosse un maschietto, alla fine si è scoperto che l'autore della foto è Osman Sagırli, un fotoreporter turco che lavora da 25 anni per il quotidiano Türkiye.
Proprio qui, lo scorso gennaio, è stata pubblicata la foto scattata a dicembre 2014 nel campo profughi Atmeh in Siria, a circa 10 km dal confine con la Turchia, dove la piccola Hudea (questo il nome della bambina) è arrivata con la madre e due fratelli dopo un viaggio di 150 km dalla loro casa di Hama. Ampiamente condivisa sui social in lingua turca, l'immagine è però diventata virale solo dopo il tweet in inglese.
"Quel giorno stavo utilizzando un teleobiettivo e la bimba ha pensato che fosse un'arma - ha raccontato il fotografo alla Bbc - Ho capito subito che si era spaventata, perché si è morsa le labbra e ha alzato le mani. Normalmente i bambini scappano, nascondono la loro faccia o sorridono quando vedono una fotocamera".
Secondo Osman Sağırlı, le immagini dei bambini nei campi sono particolarmente rivelatrici. "Sai che ci sono persone sfollate nei campi, ma ciò che hanno sofferto si vede attraverso i bambini. Sono loro che riflettono i sentimenti con la loro innocenza."

Vergogna Ustica, Stato ricorre contro risarcimento familiari vittime: rabbia associazioni

Ustica, Stato ricorre contro risarcimento familiari vittime: rabbia associazioni


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Lo Stato si appella contro il risarcimento deciso nei mesi scorsi dai giudici a favore dei familiari delle vittime della strage aerea di Ustica. L'Avvocatura dello Stato ha infatti presentato alla Corte di appello civile di Palermo una memoria di 150 pagine in cui chiede il rigetto delle domande di risarcimento che il Tribunale aveva concesso lo scorso ottobre a un gruppo di familiari delle vittime della tragedia Itavia del 27 giugno 1980, quando morirono 81 persone.
Non solo. L'Avvocato dello Stato Maurilio Mango nella memoria chiede anche di mettere a carico degli stessi familiari il ''pagamento delle spese". Una notizia che provoca la rabbia dei legali dei familiari. "Desta davvero stupore questa decisione - spiega all'Adnkronos l'avvocato Vanessa Fallica - perché rimettere di nuovo in ballo la dinamica del sinistro obiettivamente è fuori luogo. Perché noi abbiamo già un accertamento effettuato in Cassazione sulla dinamica e le responsabilità dello Stato. Non si può mettere in dubbio la responsabilità dello Stato già accertata".
Per l'avvocato Fallica "bisogna andare avanti per cercare di placare il sentimento di questi familiari che vengono attaccati a distanza di 30 anni solo perché rivendicano un loro diritto di avere risarcita ciò che gli spetta per i parenti morti in modo così assurdo". L'avvocato Fallica spiega poi che l'Avvocatura dello Stato spiega che in questo "modo viene di nuovo messo in gioco tutto come se già non si fosse ottenuto un accertamento del fatto" e ha "messo in gioco che non si ha certezza che si sia trattato di un missile, insomma ha rimesso tutto in ballo eccependo anche la circostanza che i familiari già sono stati sostenuti dallo Stato. Ci sono 150 pagine di memoria che rimettono tutto in gioco. L'Avvocatura dello Stato continua così la sua guerra contro i familiari".
"E' una notizia inaspettata e incredibile. Eravamo certi che lo Stato garantisse il sostegno alle richieste di risarcimento". Commenta così il deputato democratico Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime della Strage di Bologna.
"Il punto – prosegue Bolognesi - è che esistono già due sentenze della Cassazione che riconoscono le responsabilità dei ministeri della Difesa e dei Trasporti per la strage di Ustica, il primo per i depistaggi, l’altro per non aver garantito la sicurezza nei cieli. Mi pare dunque un accanimento inutile quello dell’Avvocatura, oltre che un sperpero di denaro pubblico. E, da un punto di vista politico, un atto insensato e inaccettabile". "Apprendiamo, tra l’altro, che l'avvocatura chiede di porre a carico dei familiari il ‘pagamento delle spese di lite oltre che quelle prenotate a debito’: davvero siamo ancora a questo punto?”, conclude Bolognesi.
"E' sconvolgente e vergognoso che l'Avvocatura, dopo due sentenze della Cassazione in sede civile, in uno Stato di diritto, riproponga tesi vecchie e superate", gli fa eco Daria Bonfietti , presidente dell'Associazione dei familiari delle vittime di Ustica, commentando all'Adnkronos.
"Evidentemente - prosegue - non sono state lette le sentenze della magistratura. Inoltre, è stato richiesto addirittura anche un pagamento delle spese legali ai familiari: questo è un problema che il Governo deve affrontare. E' un problema politico, non possiamo lasciare che le avvocature ricorrano contro condanne arrivate in Cassazione. Non è più pensabile - conclude Bonfietti - che siano aperti dei procedimenti dopo le sentenze. Non possiamo accettare il ricorso di singoli che evidentemente non hanno avuto il tempo di leggere le milioni di pagine che sono state scritte".
Condivide la scelta del ricorso invece il generale Leonardo Tricarico , ex Capo di Stato maggiore dell'Aeronautica militare."E' una richiesta -afferma all'Adnkronos- che condivido e sottoscrivo. Doveroso da parte dell'Avvocatura tutelare lo Stato da richieste di questo tipo".
"Non ha alcun senso - prosegue Tricarico, attuale presidente della fondazione Icsa, centro studi che si occupa di sicurezza e difesa - che oggi un giudice monocratico possa decidere su dei risarcimenti che vanno in senso contrario alla verità acclarata da tre gradi di giudizio, che hanno visto tra l'altro la produzione di migliaia di pagine di testimonianze e perizie".

Barnard: la City, che macina il mondo e le sue comparse

Barnard: la City, che macina il mondo e le sue comparse


Ci sono, in piedi come un moscerino dell’aceto nel mezzo del più potente polo finanziario del mondo, la City di Londra. Si mangia Wall Street, ve lo garantisco. Pioviggina, e mi guardo intorno. Il grattacielo della Lloyds, una meraviglia che ricorda le creazioni dell’immenso Hans Giger del film Alien. Ho vissuto qui per 11 anni. Mi schiacciano peggio che se fossi un moscerino dell’aceto, io, la Mosler Economics… Gesù. Voi non capite. Voi non capite chi sono questi, come si muovono, voi non sapete che hanno vinto. Hanno vinto da 25 anni. La periferia. Suoni tipo scricchiolii di un infisso, come Renzi, Cgil, Italia, Grecia, Tsipras, Rai, giornalismo, gente, gruppi, associazioni… Qui neppure li sente il barista della tavola calda sotto il palazzo della Hsbc. Non esistiamo, sapete? Non so, Bruno Vespa, Unicredit, Grilli, Padoan, la Mogherini… qui sono scricchiolii, forse qualcuno vagamente ci ha fatto caso, pochi sinceramente. Loro macinano il mondo.
La produttività della Germania e della Finlandia è sotto le scarpe, ci dice la City. L’Eurozona… che successo. Il Cancelliere britannico George Osborne ridacchia quando sente parlare Hollande di “tagli ai deficit di bilancio”, cioè le ricette Merkel e City of LondonDraghi (e della puzzetta Renzi). Ridacchia, è sul Financial Times, non me lo sto inventando. La City… Li ammiro, hanno perso le colonie e hanno vinto il mondo. Il Parlamento Europeo ha tentato la riforma dei Mercati Valutari, ne è uscito un pasticcio che finisce sempre, sempre, per penalizzare la gente. La City ride. La City. La Bce stessa, nonostante le giubilanti dichiarazioni di Draghi che tenta di tutto per mentire, ammette che la disoccupazione nell’Eurozona rimarrà oltre le due cifre % anche se ci sarà la millantata “ripresa”. E allora? Ma che cazzo ce ne frega della “ripresa” se ci terremo il 12, 14% di disoccupazione in Italia col 44% per i giovani?
Draghi è riuscito nell’immensa… ehm… impresa di portare i mercati monetari in euro a guadagni negativi, cioè chiunque abbia investito nella nostra orrenda moneta unica non solo non ci guadagnerà nessun interesse, ma finirà per pagarealla banca che Paolo Barnardglieli custodisce un tasso d’interesse. Di sicuro cresceremo, ma certo, ma di sicuro. Il mondo non vede l’ora di investire in un posto dove deve pagare per aver messo soldi… Ma la City… Sta bene. Io no. E qui piove. Io mi bagno, loro no. La City guadagna sempre, sì, sanno chi è Draghi, hanno vagamente sentito il nome Renzi. Ma loro decidono i tuoi tassi, le commodities, il Libor, l’Euribor, cioè la tua vita, stolto; informati imprenditore, informatevi famiglie, e stanno bene perché manco per il cazzo che sono entrati nell’euro. Non sono scemi alla City. Non sono scemi alla City. E io mi bagno, qui, sotto la pioggia. Voi non capite, le associazioni non capiscono. La City ha vinto il mondo. Sono immensi, infiniti, The Machine. Voi non capite chi sono. Notte.

lunedì 30 marzo 2015

Pordenone, esplosione in termovalorizzatore: morto un operaio

Pordenone, esplosione in termovalorizzatore: morto un operaio


<p>(Infophoto)</p>

Un operaio è morto nell'esplosione avvenuta questo pomeriggio nel termovalorizzatore di Spilimbergo, in provincia di Pordenone. Sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco e i carabinieri. A quanto si è appreso nell'esplosione, che si è verificata nell'area serbatoi, è stato soccorso un altro operaio in stato di shock. Sono in corso accertamenti sulle cause dell'incidente.

Abolire l’Ue, fabbrica di odio, prima che distrugga l’Europa

Abolire l’Ue, fabbrica di odio, prima che distrugga l’Europa


A chi cedono sovranità gli Stati nazionali? E poi: sono davvero gli Stati nazionali a cedere sovranità? «Come ha detto recentemente Prodi in un articolo pubblicato da “Il Messaggero”, l’Ue è una commissione intergovernativa la cui unica funzione è l’imposizione di un modello ordo-liberista in cui la potenza politica dello Stato viene messa al servizio di una (meticolosissima) regolazione, finalizzata alla riduzione delle risorse destinate alla società, e all’asservimento e precarizzazione integrale del lavoro», sostiene Franco “Bifo” Berardi. «Il ricatto ha costretto il governo greco a recedere parzialmente, ma il pericolo è che il nazionalismo diventi la sola via di uscita per sfuggire a una Unione che appare sempre più una prigione per il semplice fatto che essa è davvero una prigione». L’espressione “dall’euro non si esce”, che un tempo sembrava una rassicurazione nei confronti di chi aveva un debito consistente, oggi suona al contrario: «Potete anche morire di infarto, non smetteremo di affondarvi le unghie nella carne». Sicché, «parlare di cessione di sovranità a questo punto diviene una truffa».
Non sono gli Stati nazionali che cedono sovranità all’Unione, scrive Berardi su “Sinistra in Rete”. «Il fatto che la gestione della guerra Euro-Russa venga assunta direttamente dal presidente francese e dalla cancelliera tedesca significa che di cessione di Prodisovranità non se ne parla neppure». Certo, di tanto in tanto «qualche baggiano racconta che l’Europa deve parlare con una sola voce». Ma lo sappiamo, sono solo «sciocchezze», perché «gli Stati nazionali mantengono intera la loro funzione di governo della popolazione e di decisione sullaguerra». L’Unione Europea, continua Berardi, «stabilisce una cosa soltanto: in che misura gli Stati nazionali rispettano la sola regola che conta: riduzione delle risorse e asservimento del lavoro». Di conseguenza, «non ha più alcun senso attendersi una riforma o una democratizzazione dell’Ue, o anche solo un’attenuazione del rigore finanziario». Non restaurare la sovranità nazionale ma “correggere” l’Unione? Impossibile: «Dato che l’Ue altro non è che una macchina di asservimento ordo-liberista, dietro ogni cessione di sovranità vi è solo cessione di risorse sociali».
Berardi teme che un ritorno alla sovranità nazionale monetaria comporti il rischio di «un’involuzione autoritaria», fino alla «guerra civile in molte zone d’Europa». Eppure, ammette, «è quello che succederà, perché è la conseguenza dello strangolamento finanziario progressivo, e ancor di più dell’odio e della sfiducia crescente che i popoli d’Europa provano l’uno per l’altro», dato «il vincolo che li strangola». A questo punto, ragiona Berardi, «o si lascia l’iniziativa di avviare la chiusura dell’esperienza europea alle destre nazionaliste, e il collasso porterà alla guerra civile europea, o un movimento europeo prende l’iniziativa di dichiarare conclusa l’esperienza dell’Unione e inizia il reset dell’unità europea partendo da alcune grandi questioni». Ovvero: una conferenza internazionale sul debito e un’altra sulla migrazione e sull’allargamento dei confini. «Per Berardiquesto occorrerebbe un’intelligenza e un coraggio politico che non si trova da nessuna parte, a quanto pare. Perciò rassegnamoci alla prima alternativa: la miseria, la violenza, la guerra, il nazismo. Oppure no?».
Recentemente, Tsipras ha detto: «Siamo stati lasciati soli». E’ vero, conferma Berardi: «La società europea non ha espresso alcuna solidarietà, se si eccettua l’enorme manifestazione di Madrid». Quanto all’Italia, «la società e la cultura italiana semplicemente non esistono più». La società e la cultura francese? «Sono entrate in un tunnel identitario, da cui il Fronte Nazionale può emergere come forza di governo». In Germania, poi, «nessuno pare rendersi conto dell’odio anti-tedesco che sta montando in ogni città d’Europa: nonostante alcuni flebili distinguo, la società e la cultura tedesca appaiono compatte come accadde nei momenti più tragici». Attenzione: «Il consenso dei tedeschi fa paura, e non si tratta di esprimere “internationale solidaritat”. Si tratta di attaccare l’ordine dello sfruttamento cui i lavoratori tedeschi sono sottoposti». Che fare? Se ci arrenderemo di fronte all’encefalogramma piatto della società europea, dice “Bifo”, sarebbe il collasso sistemico inevitabile a costringerci al brusco risveglio. «Come ha detto Tsipras da qualche parte, non possiamo certo pretendere che i greci, dopo aver fatto da cavia per il “risanamento finanziario”, facciano da cavia per il ritorno alla moneta nazionale. Ma il collasso sistemico arriverà. Più tardi arriva peggio è, per due ragioni facili da capire: più a lungo dura l’Unione Europea, più povera diviene la società. Più a lungo dura l’Unione Europea, più forte e rabbiosa diventa la destra sovranista e nazionalista».

(era il 1992) L’euro sarà la vostra tomba, parola di Godley

L’euro sarà la vostra tomba, parola di Godley (era il 1992)


Molte persone in tutta Europa hanno improvvisamente realizzato di non sapere quasi nulla sul Trattato di Maastricht, mentre giustamente si rendono conto che questo trattato può fare una grande differenza nella loro vita. La loro legittima ansia ha portato Jacques Delors a dare l’indicazione che il punto di vista della gente comune in futuro dovrebbe essere consultato con più attenzione. Avrebbe potuto pensarci prima. Anche se sono favorevole a procedere verso un’integrazione politica in Europa, credo che il progetto di Maastricht presenti gravi carenze, e anche che il dibattito pubblico su di esso sia stato stranamente povero. Con un rifiuto danese, con la Francia che ci è andata vicino, e con l’esistenza stessa dello Sme messa in discussione dopo i saccheggi da parte dei mercati valutari, questo è un buon momento per fare il punto. L’idea centrale del Trattato di Maastricht è che i paesi della Ce dovrebbero muoversi verso una unione economica e monetaria, con una moneta unica gestita da una banca centrale indipendente. Ma come deve essere gestito il resto della politica economica?
Dato che il trattato non propone nessuna nuova istituzione oltre alla banca europea, i suoi sponsor devono supporre che non sia necessario nient’altro. Ma questo potrebbe essere corretto solo se le economie moderne fossero dei sistemi che si auto-Wynne Godleyregolano e che non hanno nessun bisogno di essere gestite. Sono giunto alla conclusione che una tale visione – che le economie siano organismi capaci di auto-regolazione che mai in nessun caso necessitano di una qualche forma di gestione – ha di fatto determinato il modo in cui il Trattato di Maastricht è stato costruito. Si tratta di una versione rozza ed estrema di quel punto di vista che da qualche tempo incarna la saggezza convenzionale dell’Europa(anche se non quella degli Stati Uniti o del Giappone), secondo la quale i governi sono incapaci di perseguire gli obiettivi tradizionali della politicaeconomica, come la crescita e la piena occupazione, e quindi non dovrebbero nemmeno provarci. Tutto ciò che si può legittimamente fare, secondo questo punto di vista, è controllare l’offerta di moneta e tenere il bilancio in pareggio.
C’è voluto un gruppo composto in gran parte di banchieri (il Comitato Delors) per giungere alla conclusione che una banca centrale indipendente sia l’unica istituzione sovranazionale necessaria a governare un’Europa integrata e sovranazionale. Ma c’è anche molto di più. Bisogna sottolineare sin dall’inizio che la creazione di una moneta unica nella Ce è veramente destinata a segnare la fine della sovranità delle nazioni che la compongono e del loro potere di agire in modo indipendente sulle grandi questioni. Come ha sostenuto in modo molto convincente Tim Congdon, il potere di emettere la propria moneta, e di intervenire tramite la propria banca centrale, è il fatto principale che definisce l’indipendenza di una nazione. Se un paese rinuncia a questo potere, o lo perde, acquisisce lo status di ente locale o di colonia. Le autorità locali e le regioni ovviamente non possono L'eurocrate francese Jacques Delorssvalutare. Ma perdono anche il potere di finanziare i deficit con emissione di moneta, e gli altri metodi per ottenere finanziamenti sono soggetti a regolamentazione da parte dell’autorità centrale. Né possono modificare i tassi di interesse.
Dato che le autorità locali non possiedono nessuno degli strumenti di politica macroeconomica, la loro scelta politica è limitata alle questioni relativamente minori – un po’ più di istruzione qui, un po’ meno di infrastrutture là. Penso che quando Jacques Delors enfatizza la novità del principio di ‘sussidiarietà’, in realtà ci sta solo dicendo che saremo autorizzati a prendere decisioni su un maggior numero di questioni relativamente poco importanti rispetto a quanto potevamo supporre in precedenza. Forse ci permetterà di avere i cetrioli ricurvi, dopo tutto. Veramente un grande affare! Permettetemi di esprimere un punto di vista diverso. Credo che il governo centrale di qualsiasi Stato sovrano dovrebbe impegnarsi con continuità per determinare il livello generale ottimale di servizi pubblici, l’imposizione fiscale complessiva più corretta, la corretta allocazione delle spese tra obiettivi concorrenti e la equa ripartizione della pressione fiscale. Il governo deve anche determinare in che misura qualsiasi disavanzo tra spesa e tassazione debba esser finanziato da un intervento della banca centrale e quanto debba essere finanziato dal prestito pubblico e a quali condizioni.
Il modo in cui i governi decidono tutte queste questioni (e alcune altre), e la qualità della loro leadership, in interazione con le decisioni degli individui, delle imprese e del settore estero, determinerà cose come i tassi di interesse, il tasso di cambio, il tasso di inflazione, il tasso di crescita e il tasso di disoccupazione. Questo influenzerà anche profondamente la distribuzione del reddito e della ricchezza, non solo tra gli individui ma tra intere regioni, fornendo assistenza, si spera, alle persone colpite dai cambiamenti strutturali. Non si può semplificare troppo sull’utilizzo di questi strumenti, con tutte le loro interdipendenze, volti a promuovere il benessere di una nazione e a proteggerla al meglio possibile dagli shock di varia natura a cui inevitabilmente può andare soggetta. Non vuol dire molto, per esempio, dire che i bilanci dovrebbero essere sempre in pareggio, nel momento in I leader dell'Ulivo festeggiano l'ingresso nell'eurocui un bilancio in pareggio con spesa e tassazione entrambe al 40% del Pil avrebbe un impatto completamente diverso (e molto più espansivo) di un bilancio in pareggio al 10%.
Per immaginare la complessità e l’importanza delle decisioni macro-economiche di un governo, basta solo chiedersi quale sarebbe la risposta adeguata, in termini dipolitica di bilancio, monetaria e valutaria, per un paese che produce grandi quantità di petrolio, ad un aumento del prezzo del petrolio di quattro volte. Sarebbe giusto non fare niente? E non si dovrebbe mai dimenticare che in periodi di fortissima crisi, può anche essere appropriato per un governo centrale peccare contro lo Spirito Santo di tutte le banche centrali e invocare la ‘tassa da inflazione’ – appropriandosi deliberatamente delle risorse e riducendo, attraverso l’inflazione, il valore reale della ricchezza di carta di una nazione. Dopo tutto, era proprio mediante la tassa da inflazione proposta da Keynes che avremmo dovuto fare i pagamenti di guerra. Enumero tutti questi argomenti non per suggerire che la sovranità non dovrebbe essere ceduta per la nobile causa dell’integrazione europea, ma che se i singoli governi rinunciano a tutte queste funzioni, semplicemente queste devono essere assunte da qualche altra autorità.
La lacuna incredibile nel programma di Maastricht è che, mentre contiene un progetto per l’istituzione e il modus operandi di una banca centrale indipendente, non esiste nessun progetto per l’analogo, in termini comunitari, di un governo centrale. Eppure dovrebbe semplicemente esistere un sistema di istituzioni che svolgano a livello comunitario tutte quelle funzioni che sono attualmente esercitate dai governi dei singoli paesi membri. La contropartita per rinunciare alla sovranità dovrebbe essere che i paesi membri siano costituiti in federazione, a cui sia affidata la loro sovranità. E il sistema federale, o il governo, come sarebbe meglio chiamarlo, dovrebbe esercitare nei confronti dei suoi membri e del mondo esterno tutte quelle funzioni che ho brevemente descritto sopra. Consideriamo due esempi significativi di ciò che un governo federale, che amministra un bilancioL'esplosione della disoccupazione in Spagnafederale, dovrebbe fare. I paesi europei sono attualmente bloccati in una grave recessione. Allo stato attuale, dato che anche le economie degli Stati Uniti e del Giappone sono deboli, non è affatto chiaro quando si potrà avere una ripresa significativa.
Le implicazioni politiche di questa situazione stanno diventando spaventose. Eppure l’interdipendenza delle economie europee è già così forte che nessun singolo paese, con l’eccezione teorica della Germania, si sente in grado di perseguire politiche espansive per conto suo, perché ogni paese che cercasse di espandersi per proprio conto incontrerebbe presto un vincolo della bilancia dei pagamenti. La situazione attuale richiede con forza una reflazione coordinata, ma non esistono né le istituzioni né un quadro di pensiero condiviso che potranno condurre a questo desiderabile risultato, che sarebbe di per sé ovvio. Si dovrebbe riconoscere con franchezza che se la depressione dovesse volgere seriamente al peggio – per esempio, se il tasso di disoccupazione dovesse attestarsi in modo permanente intorno al 20-25%, come negli anni Trenta – i singoli paesi prima o poi eserciterebbero il loro diritto sovrano di dichiarare che il movimento di integrazione nel suo insieme è stato un disastro e ritornare al controllo dei cambi e al protezionismo – a un’economia da stato d’assedio, se volete. Ciò equivarrebbe a una riedizione del periodo tra le due guerre.
In un’unione economica e monetaria in cui il potere di agire in maniera indipendente venisse effettivamente abolito, una reflazione ‘coordinata’ come quella che adesso sarebbe così urgente e necessaria potrebbe essere intrapresa solo da un governo federale europeo. Senza un’istituzione del genere, la Uem impedirebbe azioni efficaci da parte dei singoli paesi, senza sostituirle con alcunché. Un altro ruolo importante che qualsiasi governo centrale deve svolgere è quello di garantire una rete di sicurezza sui livelli di sussistenza delle regioni che ne fanno parte, che siano in crisi per ragioni strutturali – a causa del declino di alcune industrie, per esempio, o a causa di alcuni cambiamenti demografici economicamente sfavorevoli. Attualmente questo accade nel corso naturale degli eventi, senza che nessuno in realtà ne accorga, perché gli standard comuni dei finanziamenti Donald Mac Dougallpubblici (ad esempio, la salute, l’istruzione, le pensioni e le indennità di disoccupazione) e un sistema fiscale comune (auspicabilmente, progressivo) sono entrambi istituiti in via generale su tutte le singole regioni.
Di conseguenza, se un settore soffre un grado insolito di declino strutturale, il sistema fiscale genera automaticamente i trasferimenti netti in suo favore. In extremis, una regione che non potesse produrre nulla, non morirebbe di fame perché sarebbe titolare di pensioni, indennità di disoccupazione e reddito dei dipendenti pubblici. Che cosa succede se un intero paese – una potenziale ‘regione’ di una comunità completamente integrata – subisce una battuta d’arresto strutturale? Finché si tratta di uno Stato sovrano, può svalutare la sua moneta. Può quindi commerciare con successo al livello di pieno impiego, a patto che il popolo accetti i necessari taglidei redditi reali. Con l’unione economica e monetaria, questa strada è ovviamente sbarrata, e la sua prospettiva è veramente grave, a meno che un bilancio federale non adempia a una funzione redistributiva. Come è stato chiaramente riconosciuto nella relazione MacDougall, pubblicata nel 1977, per rinunciare all’opzione della svalutazione ci deve essere una contropartita in termini di redistribuzione fiscale.
Alcuni autori (come Samuel Brittan e Sir Douglas Hague) hanno seriamente sostenuto che l’Uem, abolendo il problema della bilancia dei dei pagamenti nella sua forma attuale, in realtà abolirebbe il problema, laddove esso esista, di un persistente fallimento nella competizione sui mercati mondiali. Ma, come sottolineato dal professor Martin Feldstein in un suo importante articolo sull’Economist (13 giugno), questo argomento è pericolosamente errato. Se un paese o una regione non ha il potere di svalutare, e se non è beneficiario di un sistema di perequazione fiscale, allora non c’è nulla che possa impedirgli di subire un processo di irrimediabile tracollo che porterà, alla fine, all’emigrazione come unica alternativa alla povertà o alla fame. Sono solidale con la posizione di coloro (come Margaret Thatcher), che, di fronte alla perdita di sovranità, desiderano scendere all’istante dal treno della Uem. Sono solidale anche con coloro che perseguono l’integrazione nel quadro giuridico di una sorta di costituzione federale, che disponga di un bilancio federale molto più grande del bilancio comunitario. Quello che trovo assolutamente sconcertante è la posizione di coloro che stanno puntando all’unione economica e monetaria, senza la creazione di nuove istituzioni politiche (a parte una nuova banca centrale), e che alzano le mani con orrore alle parole ‘federale’ o ‘federalismo’. Questa è la posizione attualmente adottata dal governo e dalla maggior parte di coloro che prendono parte al pubblico dibattito.

Abolire l’Ue, fabbrica di odio, prima che distrugga l’Europa

Abolire l’Ue, fabbrica di odio, prima che distrugga l’Europa


A chi cedono sovranità gli Stati nazionali? E poi: sono davvero gli Stati nazionali a cedere sovranità? «Come ha detto recentemente Prodi in un articolo pubblicato da “Il Messaggero”, l’Ue è una commissione intergovernativa la cui unica funzione è l’imposizione di un modello ordo-liberista in cui la potenza politica dello Stato viene messa al servizio di una (meticolosissima) regolazione, finalizzata alla riduzione delle risorse destinate alla società, e all’asservimento e precarizzazione integrale del lavoro», sostiene Franco “Bifo” Berardi. «Il ricatto ha costretto il governo greco a recedere parzialmente, ma il pericolo è che il nazionalismo diventi la sola via di uscita per sfuggire a una Unione che appare sempre più una prigione per il semplice fatto che essa è davvero una prigione». L’espressione “dall’euro non si esce”, che un tempo sembrava una rassicurazione nei confronti di chi aveva un debito consistente, oggi suona al contrario: «Potete anche morire di infarto, non smetteremo di affondarvi le unghie nella carne». Sicché, «parlare di cessione di sovranità a questo punto diviene una truffa».
Non sono gli Stati nazionali che cedono sovranità all’Unione, scrive Berardi su “Sinistra in Rete”. «Il fatto che la gestione della guerra Euro-Russa venga assunta direttamente dal presidente francese e dalla cancelliera tedesca significa che di cessione di Prodisovranità non se ne parla neppure». Certo, di tanto in tanto «qualche baggiano racconta che l’Europa deve parlare con una sola voce». Ma lo sappiamo, sono solo «sciocchezze», perché «gli Stati nazionali mantengono intera la loro funzione di governo della popolazione e di decisione sullaguerra». L’Unione Europea, continua Berardi, «stabilisce una cosa soltanto: in che misura gli Stati nazionali rispettano la sola regola che conta: riduzione delle risorse e asservimento del lavoro». Di conseguenza, «non ha più alcun senso attendersi una riforma o una democratizzazione dell’Ue, o anche solo un’attenuazione del rigore finanziario». Non restaurare la sovranità nazionale ma “correggere” l’Unione? Impossibile: «Dato che l’Ue altro non è che una macchina di asservimento ordo-liberista, dietro ogni cessione di sovranità vi è solo cessione di risorse sociali».
Berardi teme che un ritorno alla sovranità nazionale monetaria comporti il rischio di «un’involuzione autoritaria», fino alla «guerra civile in molte zone d’Europa». Eppure, ammette, «è quello che succederà, perché è la conseguenza dello strangolamento finanziario progressivo, e ancor di più dell’odio e della sfiducia crescente che i popoli d’Europa provano l’uno per l’altro», dato «il vincolo che li strangola». A questo punto, ragiona Berardi, «o si lascia l’iniziativa di avviare la chiusura dell’esperienza europea alle destre nazionaliste, e il collasso porterà alla guerra civile europea, o un movimento europeo prende l’iniziativa di dichiarare conclusa l’esperienza dell’Unione e inizia il reset dell’unità europea partendo da alcune grandi questioni». Ovvero: una conferenza internazionale sul debito e un’altra sulla migrazione e sull’allargamento dei confini. «Per Berardiquesto occorrerebbe un’intelligenza e un coraggio politico che non si trova da nessuna parte, a quanto pare. Perciò rassegnamoci alla prima alternativa: la miseria, la violenza, la guerra, il nazismo. Oppure no?».
Recentemente, Tsipras ha detto: «Siamo stati lasciati soli». E’ vero, conferma Berardi: «La società europea non ha espresso alcuna solidarietà, se si eccettua l’enorme manifestazione di Madrid». Quanto all’Italia, «la società e la cultura italiana semplicemente non esistono più». La società e la cultura francese? «Sono entrate in un tunnel identitario, da cui il Fronte Nazionale può emergere come forza di governo». In Germania, poi, «nessuno pare rendersi conto dell’odio anti-tedesco che sta montando in ogni città d’Europa: nonostante alcuni flebili distinguo, la società e la cultura tedesca appaiono compatte come accadde nei momenti più tragici». Attenzione: «Il consenso dei tedeschi fa paura, e non si tratta di esprimere “internationale solidaritat”. Si tratta di attaccare l’ordine dello sfruttamento cui i lavoratori tedeschi sono sottoposti». Che fare? Se ci arrenderemo di fronte all’encefalogramma piatto della società europea, dice “Bifo”, sarebbe il collasso sistemico inevitabile a costringerci al brusco risveglio. «Come ha detto Tsipras da qualche parte, non possiamo certo pretendere che i greci, dopo aver fatto da cavia per il “risanamento finanziario”, facciano da cavia per il ritorno alla moneta nazionale. Ma il collasso sistemico arriverà. Più tardi arriva peggio è, per due ragioni facili da capire: più a lungo dura l’Unione Europea, più povera diviene la società. Più a lungo dura l’Unione Europea, più forte e rabbiosa diventa la destra sovranista e nazionalista».

Dario Fo & friends: Re/Search Milano, ecco la città segreta

Dario Fo & friends: Re/Search Milano, ecco la città segreta


L’alba contemplativa sulla Montagnetta di San Siro? «Siamo saliti anche noi sull’unico rialzo di Milano accessibile non solo da governatori o banchieri». Prodigio: «Il sorgere del sole su “smogville” ci ha dato superpoteri visionari, così abbiamo messo la mani sulla città smontandola pezzo dopo pezzo. Ora la stiamo ricomponendo a nostro piacimento, ma il lavoro non è ancora finito e per questo abbiamo bisogno del tuo aiuto». Bastano anche solo 10 euro, per spingere i capitani coraggiosi dell’“Agenzia X” verso la meta, battezzata “Re/Search Milano”. Ovvero, la mappa interattiva e multimediale di una città fatta a pezzi: «L’incredibile guida alla Milano sconosciuta, quella più interessante e vivace ma puntualmente ignorata dalla segnaletica ufficiale», anche adesso alla vigilia dell’Expo. E’ la Milano più intima e segreta, raccontata da autori come Dario Fo, Aldo Nove, Manuel Agnelli, Mauro Pagani, Marina Spada, Max Guareschi, Giovanni Bai. Sguardi d’autore, ma anche percorsi, schede descrittive, associazioni, gruppi etnici. Una Milano mai vista, mai raccontata tutta insieme in un unico colpo d’occhio.
Quella di “Re/Search Milano”, spiegano i promotori dell’operazione culturale, sostenuta da crowdfunding sociale, è una guida ipertestuale dedicata alla Milano più inattesa, quella dei luoghi dove si produce cultura indipendente e underground, dove si Dario Fosperimenta ogni giorno nuove forme di vita e di socialità, partecipazione e divulgazione dei saperi. «Una guida in grado di smontare lo scheletro urbano in tanti piccoli pezzi, con i quali poi dare indicazioni utili per un viaggio controcorrente, erratico, denso di sorprese ed emozioni». Una topografia insospettabile, fatta di «percorsi d’autore tra psiche e territorio, intinerari narrativi scritti dalle migliori penne milanesi in un divertente gioco per indizi, collegamenti e casualità, ma anche di nuove connessioni in cui il lettore potrà divenire protagonista». Al progetto parteciperanno una moltitudine di ricercatori, artisti, studiosi e professionisti. Inoltre, insieme al proprio sito di mappe interattive, la guida permette a ciascuna realtà coinvolta di “traspassare” i propri ambiti di riferimento, interagendo con tutte le altre esperienze qui rappresentate.
Le schede sono realizzate da un collettivo editoriale formato dai redattori di “Agenzia X” con molti giovani ricercatori e appassionati di letteratura che hanno individuato più di mille luoghi da esplorare. Hanno scelto circa 200 punti, su cui proporre una breve narrazione: «Duecento manufatti di scrittura creativa, realizzati grazie alle personali esplorazioni psico-geografiche degli stessi redattori o attraverso interviste o interventi dei gestori dei luoghi prescelti». Tragitti narrativi, guidati da «Ciceroni visionari», esperti di spazi a misura di bambino, ciclofficine, street art, architettura (Lucia Tozzi), musica live (“Rockit”), teatro (Gigi Gherzi), cinema (Alessandro Stellino). E ancora: storia e Resistenza(Maurizio Guerri), negozi di dischi ed etichette discografiche, cucina e alimentazione naturale. Marco Philopat, di “Agenzia X” (organizzatrice della grande kermesse di reading “Slam-X” guida il pubblico tra i centri sociali milanesi, mentre Uliano Lucas è il “cicerone” della fotografia e Rossella Moratto quella dell’arte contemporanea. E poi le minoranze (Marco Geremia, Lgbt friendly), il “viaggio Marco Philopatsituazionista” di Alessandro Abate, il femminismo (Lea Melandri e Viviana Nicolazzo). E ancora: la moda, la poesia, la “Milano Swing” di Martina Fragale, l’archeologia industriale della periferia nord raccontata da Massimo Bunny.
Notevole chicca, gli “Sguardi d’autore” affidati a personaggi come Dario Fo: si tratta di brevi racconti realizzati appositamente dalle migliori penne milanesi, «ideati per il piacere dei lettori più esigenti, in cui l’arte dello scrivere diventa protagonista mentre viene messa in luce una particolare porzione di tessuto urbano». I testi, avvertono i promotori, «saranno a carattere autobiografico dove l’autore ci illustrerà aneddoti personali, fatti storici, pietre miliari e notizie riguardanti il passato o il presente, accompagnandoci negli angoli prescelti di Milano: scrittori, storici, poeti, musicisti ed esperti dei vari settori offriranno uno sguardo inedito su una zona o un particolare della città», inclusi i punti cardinali del meticciato, visto che «più di un quarto dell’odierna popolazione milanese proviene da altri paesi del mondo». Dai ragazzi dell’underground, giovani cittadini di prima o seconda generazione migrante, proviene una mappa della Milano che ciascuno di loro conosce e attraversa ogni giorno. Una Milano multicolore: il parco Trotter durante i week end estivi, i concerti e gli angoli delle strade dove si suona rap o si esprime la cultura hip hop, i campetti di calcio o basket, gli spot di skateboard, i luoghi di lavoro. «Alla fine della campagna – spiegano – la redazione di “Re/Search Milano” (oltre cento persone) accompagnerà i soci più generosi a contemplare l’alba sulla montagnetta di San Siro. Lassù verranno trasformati in supereroi per risistemare la metropoli a loro piacimento».

venerdì 27 marzo 2015

Antitrust multa per 29 milioni Unipolsai e Generali, grave intesa anti-concorrenza

Antitrust multa per 29 milioni Unipolsai e Generali, grave intesa anti-concorrenza


<p>Sede Antitrust</p>

Due multe, per complessivi 29 milioni di euro, sono state irrogatedall’Antitrust alle compagnie di assicurazioni Generali (euro 12.013.443) e Unipol-Fondiaria, queste ultime confluite oggi nelgruppo UnipolSai (euro 16.930.031). L’Autorità ha sanzionato così"un’intesa restrittiva della concorrenza sulla partecipazione alle gare per la copertura assicurativa Rca dei mezzi di 15 aziende di Trasporto pubblico locale (Tpl) in altrettante città italiane". L’accordo, durato dal 2010 al 2014, ha riguardato 58 appalti. A giudizio dell’Agcm, "si è trattato di un’intesa unica e complessa consistente nella mancata partecipazione a numerose procedure di affidamento dei servizi assicurativi rami Responsabilità Civile Auto (Rca), allo scopo di evitare il confronto competitivo e mantenere la clientela storicamente servita attraverso negoziazioni bilaterali, a fronte di premi crescenti".
Su un totale di 58 gare, riferisce l'Agcm, "39 sono andate deserte e 19 sono state aggiudicate alla compagnia storicamente affidataria del servizio, in quanto unica offerente, bandite da queste aziende: Amtab Bari, Cstp Salerno, Aps Holding Padova, Autoservizi Irpini, Stp Terra d’Otranto, Ctp Napoli, Gtt Torino, Amt Catania, Atc Terni, Ftv Vicenza, Amt Genova, Tiemme Toscana Mobilità, Atam Reggio Calabria, Azienda Trasporti di Messina e Asm Rieti". "Il coordinamento è avvenuto, tra l’altro, -spiega l'Antitrust- attraverso i contratti intercorsi tra le compagnie nel gruppo di lavoro sul Trasporto pubblico locale istituito presso l’Ania, l’associazione di categoria delle imprese assicurative". L’intesa è stata giudicata "molto grave" dall’Antitrust perché "aveva per oggetto la partecipazione coordinata a gare d’appalto in un comparto particolarmente sensibile, come la copertura assicurativa obbligatoria sui rischi Rca nel Trasporto pubblico locale, per l’alto numero di aziende e di gare coinvolte, e infine per la durata".
Pronta la risposta di Unipolsai che, attraverso un suo portavoce, ha fatto sapere di respingere le conclusioni dell'Antitrust. "Unipolsai respinge le conclusioni a cui è giunta l’Agcm, ritenendole infondate e prive di supporti probatori oggettivi. La Compagnia ricorrerà prontamente nelle sedi giurisdizionali competenti a tutela dei propri diritti" ha detto il portavoce di Unipolsai. E non si è fatta attendere anche la risposta di Generali Italia che "respinge con fermezza l’accusa di avere posto in essere comportamenti in violazione della concorrenza". Lo sottolinea in una nota la società replica alla scelta dell'Antitrust si infliggere una multa alle compagnia di assicurazioni per "euro 12.013.443". Con riferimento al procedimento Antitrust che ha attribuito a Generali Italia la responsabilità di un’intesa restrittiva della concorrenza nel mercato dell’assicurazione rischi del trasporto pubblico locale (Tpl), la società "ribadisce la correttezza del proprio operato e farà ricorso alle competenti autorità amministrative per l’annullamento della decisione". In particolare, Generali Italia "sottolinea che la sua mancata partecipazione alle gare Tpl non è riconducibile ad intese anticoncorrenziali bensì a scelte giustificate dalla scarsa redditività del settore, in cui la compagnia sta progressivamente riducendo la propria presenza".


Un’azienda svedese innesta microchip ai propri dipendenti

Un’azienda svedese innesta microchip ai propri dipendenti


C’è un palazzo, in Svezia, dove si supera l’ingresso protetto semplicemente sfiorando un sensore con il dorso della mano. Il trucco? Sotto la pelle è stato installato un microchip, per identificare ogni dipendente. Lo rivela un breve servizio televisivo di “EuroNews”, nella rubrica “Hi-Tech”, che mostra belle ragazze entrare e uscire dal complesso ultramoderno “Epicenter”, a Stoccolma, che ospita «imprese innovative» e si propone di accorpare aziende grandi e piccole dell’hi-tech sotto lo stesso tetto. «Gli impiegati possono aprire le porte con un chip impiantato nella mano», annuncia con soave naturalezza lo speaker di “EuroNews”. «L’Rfid, identificazione radio-frequenze, è un chip in pirex che contiene antenna e microchip: al posto del codice di accesso, l’impiegato deve solo portare la mano davanti al sensore». E attenzione, il dispositivo non serve solo per l’apertura delle porte: «Il personale può attivare la fotocopiatrice e scambiarsi dati tramite Smartphone». Ma è solo l’inizio: i dipendenti-cavia aiuteranno a sviluppare questa tecnologia verso impieghi fino a ieri inimmaginabili.
«Il chip – spiega Patrick Mesterton, co-fondatore di Epicenter – ha la dimensione di un grosso chicco di riso, circa 12 millimetri, e si applica sottopelle con una siringa». Inviando il codice Rfid, il chip «diventa uno strumento di identificazione Microchip nella manoche può comunicare con gli oggetti circostanti». Insomma, per Mesterton la cimice ultra-piccola è estremamente pratica: «Può aprire le porte, può comunicare col telefono cellulare, può inviare il vostro biglietto da visita alle persone che avete incontrato». Per ora le prestazioni del chip sottocutaneo sono limitate, ammette “EuroNews”, ma l’obiettivo è esplorare le possibilità che rappresenta, e ovviamente svilupparle. «La speranza – spiega l’emittente televisiva – è che gli impiegati dell’edificio potranno acquistare pasti in mensa e controllare la loro salute tramite il chip». A tal punto, infatti, si spingono le possibili espansioni della microspia sottopelle, destinata a esercitare uncontrollo totale sulla persona che ha accettato di farsela inserire nel corpo.
«Alcune delle future possibilità – conferma lo stesso Mesterton – investono la funzione dell’odierno Pin, della carta di credito: quindi i pagamenti sono uno degli ambiti». Ma non è tutto. «Penso alla salute», continua il manager svedese, «per comunicare col medico e trasmettere i parametri corporei in relazione a quello che mangi e al tuo stato di salutegenerale». Monitoraggio elettronico in tempo reale, quindi, interamente tracciato. «Solo i volontari si fanno installare il chip», precisa “EuroNews”, secondo cui l’aggeggio «è totalmente sicuro», dal punto di vista dell’incolumità fisica del portatore. «Il metallo interno è pochissimo», dunque nessun fastidio coi metal detector, assicura “EuroNews”. «E niente rischi di rottura».

giovedì 26 marzo 2015

La Merkel come Bismarck, nell’Europa riletta da Giannuli

La Merkel come Bismarck, nell’Europa riletta da Giannuli


Molti parlamentari italiani non sanno neppure dove stia la Libia, quale città ne sia la capitale e con quali paesi confini? Vero, la classe politica italiana fa schifo, scrive Aldo Giannuli, ma gli altri come sono messi? «Certo, un ceto politico non si improvvisa, e da vent’anni la distruzione dei partiti e la scomparsa di ogni attività di formazionepolitica hanno prodotto una classe politica scalcinata di improvvisatori, cialtroni e incapaci. Ma, chiediamoci: l’impreparazione del ceto politico è un fatto italiano o più generale?». Restando in Occidente e tralasciando i recenti movimenti di protesta – tipo M5S, Front National, Indignados e “Veri Finlandesi” – il politologo dell’ateneo milanese si concentra sui capi di Stato e di governo che hanno retto i propri paesi dal crollo del Muro di Berlino, cioè dall’avvento della globalizzazione neoliberista. I Bush? Il padre, uno dei pochi non confermati per il secondo mandato. Il figlio? «Uno dei peggiori presidenti della storia americana». Di Clinton, «non si ricordano particolari successi». Soprattutto, Giannuli non ricorda né i bombardamenti su Belgrado, né la clamorosa abolizione del Glass-Steagal Act, che scatenò Wall Street verso l’orgia finanziaria culminata nella crisi mondiale del 2007, dovuta proprio alla licenza di speculare concessa da Clinton a tutte le banche.
«Molte speranze aveva suscitato Barack Obama, sia dal punto di vista dell’uscita dalla crisi economica, sia da quello della pace internazionale sia, infine, per quanto riguarda il riequilibrio delle diseguaglianze interne». E invece: nessuna riforma storicamente importante, «dato il modestissimo esito tanto della riforma sanitaria quanto di quella sulla finanza». Sul piano L'economista francese Alain Parguezdella politica internazionale, Obama «ha chiuso gli interventi in Iraq e Afghanistan, ma lasciando una situazione di sfascio totale», poi «ha partecipato all’intervento in Libia e anche lì la situazione è uno sfascio». Infine «ha rotto con la Russia, creando una situazione che non si vedeva dalla fine della guerra fredda». Un bilancio «forse peggiore di quello di Bush figlio», dice Giannuli, che però non cita le ombre più inquietanti della presidenza Obama: l’introduzione degli omicidi di massa mediante bombardamenti missilistici coi droni, il surreale annucio – senza prove – della presunta eliminazione di Osama Bin Laden in Pakistan e il finanziamento dello jihadismo in Siria, poi riciclato anche in Iraq con la sigla “Isis”. Passerà alla storia la tensione del 2013 con la Russia sulla crisi in Siria, da cui poi le immediate ripercussioni in Ucraina.
Singolare anche l’interpretazione che Giannuli fornisce della politica francese. Chirac? «Un presidente mediocre». Eppure, osò opporsi a Bush evitando di schierare la Francia nella guerra contro Saddam: una “mediocrità” di cui oggi ci sarebbe estremo bisogno. Sempre per Giannuli, trascurando l’incolore Hollande, il presidente «di gran lunga peggiore» della storia francese sarebbe stato Sarkozy e non Mitterrand, «cui si deve la riorganizzazione europea dopo la riunificazione tedesca», cioè l’attuale “inferno” dell’Eurozona. Il professor Giannuli lo definisce «un piano molto ambizioso, che sul lungo periodo non ha retto». Secondo la maggior parte degli osservatori indipendenti europei, al contrario, Mitterrand è stato il principale artefice dell’attuale regime tecnocratico europeo: un piano che ha retto benissimo, perché mirato alla confisca della democrazia in Europa. Il grande economista francese Alain Parguez, già insider all’Eliseo, rivelò la natura “monarchica” di Mitterrand e dei Nino Gallonisuoi più stretti consiglieri come Jacques Attali, quello della famosa frase sulla “plebaglia europea” («credono davvero che l’euro l’abbiamo creato per la loro felicità?»).
Altrettanto inconsueta l’analisi di Giannuli sulla Germania. Helmut Kohl? «Al pari di Mitterrand, è stato l’artefice della riorganizzazione europea e dell’ingresso dell’Europa nell’era della globalizzazione». Poi, Schoeder «ha proseguito sulla linea europeista del predecessore», avvicinando la Germania alla Russia e allontanandola da Parigi. E l’abominevole Merkel? «Nel contesto europeo attuale spicca, sembra quasi Bismarck, ma vista sul piano storico si colloca in posizione medio-bassa nella graduatoria. Forse in po’ più su di Schroeder, ma comunque al di sotto di Schmidt o Khol». Non una parola, da Giannuli, sull’Italia, se non l’accenno alla «catastrofe del 1992-93», cioè il ciclone Tangentopoli che cancellò la Prima Repubblica. Chiarissimo, al contrario, un analista di rango come l’economista Nino Galloni: fu Kohl a pretendere la testa dell’Italia – anche con Mani Pulite, appunto – per accettare l’euro imposto da Mitterrand come contropartita dell’unificazione tedesca. Kohl accettò a una condizione: che venisse azzoppata la concorrenza industriale italiana. Ormai è tutto chiaro, ma forse non per Giannuli: «Dovremo tornarci su – conclude – per chiederci il perché di questa decadenza della politica».

mercoledì 25 marzo 2015

Di Gioia come Lupi :Assunzione della figlia alle Poste


Lello Di Gioia

Di Gioia come Lupi :Assunzione della figlia alle Poste



Il caso dell’onorevole pugliese del Pd rivelato da Dagospia «La commissione che presiedo non ha alcun controllo su Posta Vita»

FOGGIA – Un momentaccio per il parlamentare socialista Lello Di Gioia, eletto nelle liste del Pd. Dopo la vicenda dei rapporti con chi si è poi rivelato la mente del furto milionario al caveau del Banco di Napoli; bufera sull’assunzione della figlia nella società, Poste Vita spa. Per il sito Dagospia, che ha rivelato la vicenda, un nuovo caso Lupi dal momento che la società sarebbe controllata dalla commissione parlamentare presieduta da Di Gioia. Il deputato foggiano si difende: “Le cose non stanno così”.

La vicenda

Secondo Dagospia Di Gioia diventa presidente della Commissione parlamentare sul controllo della previdenza a settembre del 2013 e la figlia viene assunta alle Poste a febbraio 2014. Successivamente, scaduto il contratto a maggio, la figlia di Di Gioia ha ottenuto un contratto a tempo indeterminato presso “Poste vita spa”. Secondo Dagospia, Poste vita è “uno degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale su cui deve severamente vigilare la commissione guidata da Lello Di Gioia”; e si domanda, sempre il noto sito, “l’amministratore delegato di Poste Vita, Bianca Maria Farina non è quell’energica signora che viene spesso audita dalla commissione e che intrattiene rapporti frequentissimi col suddetto presidente Di Gioia?” Di Gioia non nega il fatto che la figlia lavori presso quella società, ma stando alla sua versione le cose starebbero diversamente: “La commissione che presiedo non ha alcun controllo sulle Poste né tantomeno su Posta Vita. Questa società è controllata dall’Ivas e da Covip – spiega. – La nostra commissione parlamentare controlla direttamente Inps, Inail e le casse professionali. Le nostre audizioni sono legate al fatto che abbiamo avuto dal presidente della Camera, l’autorizzazione all’indagine conoscitiva sulla previdenza sia pubblica e privata. E tra i 67 soggetti auditi abbiamo ascoltato anche Poste Vita presente con il presidente, l’amministratore e lo staff”.

Poi il passaggio sulla questione paterna: “Mia figlia non ha bisogno di essere difesa da me, parla il suo curriculum per comprendere la sua professionalità. Lavorava già, è una esperta di sanità integrativa ed è stata chiamata da Poste vita dove ha sostenuto un regolare colloquio di lavoro” . Quando, come Posta Vita avrebbe annunciato ricerca di personale non è chiaro. Un fatto secondo Di Gioia è invece molto chiaro, ai suoi occhi: “Probabilmente do fastidio a qualcuno per il lavoro che sto sviluppando in commissione. E’ una mia supposizione, però più indizi portano ad un fatto”. Parlamentare alla terza legislatura, Di Gioia da sempre socialista nel Psi è stato eletto nell’ultima tornata parlamentare nelle liste del Pd a Cagliari; attualmente fa parte del gruppo misto.