giovedì 20 marzo 2014

IL SEGRETO DI STATO SUL DELITTO DI ILARIA ALPI E MIRAN HROVATIN. ECCO LA VERITA' INDICIBILE

IL SEGRETO DI STATO SUL DELITTO DI ILARIA ALPI E MIRAN HROVATIN. ECCO LA VERITA' INDICIBILE






di Gianni Lannes



Il 20 marzo 1994 a Mogadiscio (Somalia), un commando somalo uccideva la giornalista inviata del Tg3 della Rai Ilaria Alpi e l'operatore tv Miran Hrovatin poco prima che mandassero in onda un servizio televisivo che a dir poco avrebbe ribaltato la prima Repubblica.

Il 22 marzo 1994 la procura della Repubblica di Roma apriva un'inchiesta. Il 17 gennaio 1995, si insediava la Commissione bicamerale di inchiesta sulla cooperazione con i Paesi in via di sviluppo. La citata Commissione si occupò anche del «caso Alpi», tant' é vero che, nel corso di in un'audizione, veniva alla luce che la giornalista Ilaria Alpi era impegnata in un'inchiesta giornalistica su un traffico di armi, che coinvolgeva la flotta di pescherecci italosomala denominata «Shifco».

La procura della Repubblica di Roma, in data 25 giugno 1996, ordinava una seconda perizia balistica, che contrastava radicalmente con la prima perizia e che induceva a concludere che il colpo d'arma da fuoco, che aveva ucciso Ilaria Alpi, fosse stato sparato a bruciapelo ad una distanza ravvicinata. Alla stessa conclusione arrivò anche la terza perizia (18 novembre 1997), che sostenne che si trattò di una vera e propria esecuzione.

Tale Gianpiero Sebri, coinvolto in indagini sul traffico internazionale per lo smaltimento di rifiuti tossico-nocivi, nel dicembre del 2000, in un'intervista rilasciata al settimanale Famiglia Cristiana, affermava che l'allora direttore del Sismi, il generale Luca Rajola Pescarini, nella primavera del 1994, lo aveva informato che la questione dei due giornalisti Rai era stata «sistemata»; versione questa confermata nel 2002 davanti ai giudici della Corte di assise di Roma, titolare del processo d'appello bis al somalo Hassan. Nel corso dell'interrogatorio, il signor Sebri riferiva di due distinti incontri con il generale Rajola e con l'imprenditore Giancarlo Marocchino, nel corso dei quali si sarebbe discusso dell'interesse dei giornalisti per i traffici illeciti in Somalia. L'incontro più importante sarebbe avvenuto con Rajola e Marocchino (imprenditore con interessi in Somalia) nell'ottobre del 1993.

 audizione di Faduma Aidid (9 novembre 2000)

Il direttore del Sisde, generale Mario Mori, durante l'interrogatorio davanti alla Corte d'assise di appello di Roma, confermava l'esistenza di rapporti del servizio segreto civile nei quali si faceva riferimento all'organizzazione del duplice omicidio da parte di un gruppo di mandanti. Al generale Mori il collegio della Corte d'assise chiedeva se intendesse rivelare la fonte delle notizie, ma il generale Mori si rifiutava di rispondere, rifacendosi all'articolo 203 del codice di procedura penale, che consente al personale dipendente dei servizi di non rivelare i nomi dei propri informatori.

Matteo Renzi l’attuale presidente consiglio dei ministri pro tempore, di fronte a vicende gravissime quali quelle considerate, non ritiene di assumere iniziative immediate affinché la ricerca della verità non sia subordinata alle esigenze dei servizi segreti?

In questi giorni convulsi più di prima imperversano sui mass media - anche fintamente critici - i soliti depistatori di professione: essi, ora chiedono a gran voce la desecretazione di un fantomatico dossier dei servizi sulla morte di Ilaria e Miran. In realtà, c'è un generale dell'Arma, che in sede processuale si è avvalso della facoltà di non rispondere. Le sue fonti coperte sono a conoscenza dell'identità dei mandanti del duplice omicidio. L'unica persona che avrebbe potuto sollevarlo dal segreto, ossia il presidente del consiglio dei ministri (un tessera P 2 numero 1816, condannato con sentenza passato in giudicato a 4 anni di reclusione e a due anni di interdizione dai pubblici uffici), però non ha fiatato, anzi non ha neanche risposto ad alcuni atti parlamentari in tal senso. A parte una manciata di deputati, tanto tempo fa, nessuno ha obiettato alcunché anche e soprattutto nel fronte che a parole reclama la verità. Ma quale?


In Italia il segreto di Stato - unitamente a quello militare - viene sovente utilizzato per coprire ogni genere di crimini e di illegalità. Allora: dall'Italia armi e rifiuti; e dalla Somalia disponibilità di territorio per occultare le scorie pericolose e bambini. Almeno è quello che emerge dal racconto di Faduma Aidid, amica e fonte informativa di Ilaria Alpi. La sua esplosiva audizione, però, è rimasta sepolta in un cassetto del Parlamento.


  audizione di Faduma Aidid (9 novembre 2000)




Il generale dei carabinieri Mario Mori è un pò come il prezzemolo, ma invece che nelle pietanze, lo si trova negli intrighi di Stato: trattativa Stato & Mafia, oppure l'omicidio su commissione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Il 21 marzo 2012 avevo scritto e pubblicato il seguente articolo:


ILARIA E MIRAN: assassinati dallo Stato italiano 

  

 hl

Relazione parlamentare.

Ilaria e Miran (foto Raffaele Ciriello).


  audizione di Faduma Aidid (9 novembre 2000)

giovedì 13 marzo 2014

Non crea una banca pubblica? E io denuncio lo Stato

Non crea una banca pubblica? E io denuncio lo Stato


Per «dolosa omissione governativa», coperta da «combutta del silenzio tra mass media, istituzioni, politica», l’avvocato Marco Della Luna annuncia che, insieme a Loris Palmerini, sta lavorando alla redazione di una denuncia alla Corte dei Conti per “danno erariale”. Un buco colossale, da 80 miliardi di euro l’anno. E’ quanto lo Stato potrebbe “risparmiare”, tagliando di colpo il debito pubblico, semplicemente facendo ricorso all’articolo 123 del Tue, il Trattato di Maastricht, fondativo dell’Unione Europea. Il trattato, scrive Della Luna nel suo blog, «consente agli Stati dell’Eurozona di dotarsi di una banca statale e di usarla per finanziarsi presso la Bce ai tassi che questa pratica allebanche, cioè ora allo 0,25%». Risultato: «Lo Stato italiano potrebbe così risparmiare circa 80 miliardi l’anno». Perché nessuno si decide a imboccare questa strada? Germania e Francia già lo fanno, evitando di tassare a morte i cittadini e svendere il patrimonio nazionale a colpi di privatizzazioni.
A far impennare i tassi di interesse, il deficit e l’indebitamento pubblico, scatenando il declassamento del nostro paese, ricorda Della Luna, è stata Bankitaliainnanzitutto la scelta, già nel 1981, di rinunciare alla sovranità pubblica della Banca d’Italia, che garantiva lo Stato, costringendo in tal modo il governo a finanziare il proprio debito pubblico sui mercati finanziari speculativi internazionali. «Prima, il debito pubblico era sotto controllo. Da allora in poi, e sempre più, l’impennata dei rendimenti sta operando un massiccio trasferimento di redditi e asset, attraverso le tasse e i tassi, dalla popolazione generale e dal settore pubblico alla comunità bancaria-finanziaria sovrannazionale». L’Italia ha un forte avanzo primario. E il suo deficit, gonfiato dagli interessi passivi, è arrivato a 2.100 miliardi. Tutto questo serve solo a «“mungere” il lavoro e il risparmio degli italiani, anche attraverso un artificioso liquidity crunch che li costringe a svendere e a svendersi».
Questo drammatico travaso, continua Della Luna, è aggravato in modo decisivo dal sistema dell’euro: la Bce ha infatti prestato migliaia di miliardi allo 0,50% non più allo Stato ma alle banche. Denaro col quale gli istituti di credito comprano Btp che rendono anche oltre il 4%. Se questa è la regola aberrante dell’Eurozona – privilegiare le banche e colpire lo Stato – è pur vero però che il Trattato di Maastricht concede una scappatoia: lo Stato può farsi prestare glieuro direttamente dalla Bce attraverso una banca pubblica, o di cui sia comunque azionista di maggioranza. Perché i governi non vogliono approfittarne, salvando le finanze pubbliche senza più imporre “sacrifici umani”, super-tasse e tagli ai servizi vitali? «Perché sono al servizio degli stessi beneficiari di questo travaso», si risponde Della Luna, secondo cui l’ormai lontano divorzio tra Tesoro e Bankitalia resta una tappa fondamentale, Marco Della Lunasulla via della soppressione della sovranità monetaria e quindi della democrazia, insieme a Maastricht, all’euro, al Fiscal Compact.
Una tappa fondamentale «non solo per la destabilizzazione finanziaria permanente dell’Italia e il suo perpetuo sfruttamento», ma anche per «la sottomissione politicadell’Italia al potere e all’interesse finanziario: è il grande golpe iniziale, rispetto a cui quelli recenti e ripetuti di Napolitano sono solo sotto-golpe attuativi». Due analisti indipendenti come Giovanni Zibordi e Claudio Bertoni hanno ottenuto conferma dalla Bce: se solo volesse, l’Italia potrebbe ottenere denaro a interesse bassissimo dalla Banca Centrale Europea, tagliando il debito di decine di miliardi l’anno, proprio in base all’articolo 123 del Tue. Obiettivo teoricamente a portata di mano, ma secondo Della Luna in realtà non realizzabile, perché «va contro gli interessi e i poteri che hanno, con successo e profitto, realizzato quanto sopra, acquisendo il dominio delle istituzioni nazionali ed europee».

venerdì 7 marzo 2014

Ecco il nuovo esecutivo ucraino,la Merkel non centra davvero??

Ecco il nuovo esecutivo ucraino

Crisi ucraina. Il clan Tymoshenko, i nuovi oligarchi e i neonazisti di Svoboda

↳ Esponenti di Svoboda in piazza


Per gli occi­den­tali è il governo legit­timo dell’Ucraina, per Mosca un ese­cu­tivo gol­pi­sta. Ma a pre­scin­dere dai rispet­tivi punti di vista, al momento nei mini­steri di Kiev si sono piaz­zate que­ste per­sone. Chi sono di pre­ciso? Quali le loro bio­gra­fie? A quali cir­coli di potere rispon­dono? Più che da chi rico­pre posi­zioni, si può par­tire da chi non ne ha. È il caso di Vitali Kli­tschko e del suo par­tito, Udar, for­ma­zione cen­tri­sta e filo-occidentale con sta­tus di osser­va­tore nel Par­tito popo­lare euro­peo. Dal quale, assieme alla fon­da­zione Kon­rad Ade­nauer, filia­zione della Cdu tede­sca, ha rice­vuto lezioni di poli­tica e tec­nica par­la­men­tare, scri­veva a dicem­bre Der Spie­gel. Ci si chie­derà come mai Kli­tschko, che ha cer­cato di accre­di­tarsi come guida cari­sma­tica della pro­te­sta, almeno prima che dege­ne­rasse, non ha voluto assu­mere respon­sa­bi­lità di governo. Per qual­che ana­li­sta l’ex pugile, che punta alla pre­si­denza, non intende spor­carsi le mani con i prov­ve­di­menti impo­po­lari che il pac­chetto d’aiuti euro­peo, pronto a essere scon­ge­lato, dovrebbe imporre. In più sta­rebbe emer­gendo una con­trap­po­si­zione sem­pre più mar­cata — ed era pre­ve­di­bile — tra Udar e Bat­ki­v­schyna (Patria), il par­tito di Yulia Tymo­shenko.
La for­ma­zione della pasio­na­ria di Kiev ha fatto incetta di mini­steri, pro­ba­bil­mente sulla base di un ragio­na­mento oppo­sto a quello di Kli­tschko: dimo­strare di sapersi cari­care il paese sulle spalle. A gui­dare la com­pa­gine mini­ste­riale c’è Arse­niy Yatse­niuk, luo­go­te­nente della Tymo­shenko. Nomina scon­tata. Nelle scorse set­ti­mane la evocò anche l’assistente al segre­ta­riato di stato ame­ri­cano, Vic­to­ria Nuland, nel leak in cui si lasciò sfug­gire il «fuck the Eu». Accanto a Yatse­niuk ci sono figure di spicco del par­tito. Pavlo Petrenko è andato alla giu­sti­zia, Mak­sim Bur­bak alle infra­strut­ture e Ostap Seme­rak, con­si­gliere di poli­tica estera del primo mini­stro, sarà un po’ un gran ceri­mo­niere. Un ruolo chiave è quello di Vitali Yarema, ex capo della poli­zia di Kiev. È vice primo mini­stro con delega al law enfor­ce­ment.
Al blocco della Tymo­shenko – lei non avrà cari­che, la piazza ha mugu­gnato – affe­ri­sce anche il mini­stro degli interni Arsen Ava­kov, un tempo alleato dell’ex pre­si­dente Vik­tor Yush­chenko. È di Khar­khiv, la seconda città del paese. La più grande, tra quelle dell’est. Non ha casac­che, invece, il mini­stro degli esteri Andriy Desh­chy­tsia. Ma era stato tra i primi fir­ma­tari di un appello di alcuni diplo­ma­tici ucraini con­tro le repres­sioni di Yanu­ko­vich.
Nella coa­li­zione si deli­nea un ruolo note­vole per l’oligarca Ihor Kolo­moy­sky, numero uno di Pri­vat­Bank, prin­ci­pale isti­tuto di cre­dito del paese. Del cer­chio magico del ban­chiere, tra l’altro appena nomi­nato gover­na­tore di Dne­pro­pe­tro­vsk, fareb­bero parte il mini­stro dell’energia Yuriy Pro­dan (per­so­nag­gio chiac­chie­rato) e quello delle finanze Olek­sandr Shla­pak. Non è un caso, si direbbe, che si siano acca­par­rati due mini­steri così cru­ciali.
Discreta è l’influenza della Myhola Uni­ver­sity di Kiev, acca­de­mia rispet­tata, con respiro occi­den­ta­li­sta. Il mini­stro dell’economia Pavlo She­re­meta e quello dell’educazione Serhiy Kvit hanno inse­gnato lì.
Ristretto, un po’ a sopresa, il peso di Petro Poro­shenko, oli­garca di ten­denza euro­pei­sta. La sua pedina nel governo è Volo­dy­mir Gro­syan, ex sin­daco di Vin­ni­tsa, nell’ovest del paese. È il respon­sa­bile degli affari regio­nali. Una pos­si­bile mossa con cui, dato che Poro­shenko (pure lui di Vin­ni­tsa) è stato anche mini­stro con Yanu­ko­vich, tran­quil­liz­zare la popo­la­zione rus­so­fona. Per quanto pos­si­bile.
Arri­viamo alla destra-destra. A Svo­boda. Gli ultra­na­zio­na­li­sti, bol­lati come por­ta­tori di un verbo estre­mi­sta e anti­se­mita, hanno diversi inca­ri­chi. Olek­sandr Sych è vice primo mini­stro. In pas­sato fece cla­more pro­po­nendo il divieto asso­luto di aborto, per­sino in caso di stu­pro. Svo­boda s’è presa pure l’ambiente e l’agricoltura, con Andriy Mokh­nyk e Ihor Shvaika, due che hanno capeg­giato le pro­te­ste con­tro le licenze sullo shale gas con­cesse da Yanu­ko­vich a com­pa­gnie occi­den­tali.
In quota Svo­boda c’è anche Ihor Tenyukh, ex capo della marina. A lui la difesa. Men­tre Andrei Paru­biy, rite­nuto tra i fon­da­tori di Svo­boda, ma poi acca­sa­tosi presso la Tymo­shenko e da ultimo coor­di­na­tore delle bar­ri­cata di piazza dell’Indipendenza, pre­sie­derà il con­si­glio nazio­nale per la sicu­rezza. Dovrebbe avere come vice Dmy­tro Yarosh, coman­dante di Pra­vyi Sek­tor, le fami­ge­rate bande para­mi­li­tari di estrema destra. A quanto pare non ha ancora assunto l’incarico, ma ciò non toglie che si pro­fila un mono­po­lio della destra radi­cale sulla sicu­rezza. E la cosa ha allar­mato ben più di un osser­va­tore.
Infine, la piazza. Tetyana Chor­no­vol e Yegor Sobo­lev, gior­na­li­sti e atti­vi­sti, gui­de­ranno rispet­ti­va­mente l’anticorruzione e la lustra­zione. È la cam­biale riscossa da Euro­mai­dan per il con­tri­buto alla rivoluzione
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giovedì 6 marzo 2014

Spinelli: per cambiare l’Europa bisogna rompere col Pd

Spinelli: per cambiare l’Europa bisogna rompere col Pd



Barbara Spinelli, come gli altri promotori della lista Tsipras, spera davvero che bastino le prossime elezioni europee ad abbattere il regime del rigore che sta letteralmente devastando il Sud Europa: in caso di successo delle forze anti-austerity, un Parlamento Europeo “costituente” potrebbe cioè mettere fine all’attuale dittatura finanziaria della Troika, trasformando l’euro in moneta sovrana e la Bce in “prestatrice di ultima istanza”. Più prudente un economista come Emiliano Brancaccio, secondo cui è improbabile riuscire a strappare concessioni all’asse Berlino-Bruxelles senza prima mettere sul tavolo della vertenza argomenti decisivi e convincenti, come ad esempio l’uscita dell’Italia dal mercato comune europeo, a danno dell’export tedesco. Un’idea che ricorda la posizione bellicosa di Marine Le Pen: più che proporre un cambio di linea, il Front National – primo partito francese, secondo i sondaggi – minaccia addirittura l’uscita della Francia dall’Ue, cosa che metterebbe fine all’unione stessa.
Sul “Manifesto”, la Spinelli prende nota degli auspici formulati da Stefano Fassina, che si augura un’inversione radicale di rotta sulla politica europea, 
Stefano Fassina
ma poi non osa rompere col Pd, cioè il partito che ha sorretto il governo Monti, varato la riforma Fornero e votato il Fiscal Compact con l’inserimento (“consigliato”, ma non obbligatorio) del pareggio di bilancio in Costituzione – inserimento evitato dalla stessa Francia di Hollande. Il Pd – nel quale Fassina ancora milita – punta sul tedesco Martin Schulz per la presidenza della Commissione Europea? Male: Schulz si è appiattito sulle idee della Merkel e ha rifiutato gli eurobond per una politica europea più solidale. «Se c’è una certezza che anima oggi Schulz è la seguente: è da una Grande Coalizione social-conservatrice che dipende la sua aspirazione a essere eletto presidente dell’esecutivo europeo, o anche solo commissario». Inoltre, Fassina (e Civati) restano nel Pd di Renzi, un politico che si ispira apertamente a Tony Blair, cioè l’uomo che più di ogni altro ha «polverizzato» i valori identitari della sinistra, cioè l’uguaglianza e il bene pubblico.
«Sostiene Stefano Fassina, e con ottime ragioni, che l’Eurozona è sulla rotta del Titanic: l’iceberg è sempre più vicino, l’Unione già è fratturata in più punti. Ma non nascondiamoci che a costruire una nave così malfatta, e a imboccare una rotta così rovinosa, c’è purtroppo la sinistra classica europea, e in prima fila il Pd», scrive Barbara Spinelli. «A partire dalla metà degli anni ‘90, la loro rotta è stata precisamente quella che ci ha portato a sbattere contro l’iceberg». Se dall’epoca Blair ha sinistra ha tradito i suoi elettori, «è all’elettorato in rivolta contro quest’involuzione che si rivolge la Lista Tsipras, oltre che a tutti gli europeisti insubordinati che – lo dicono i sondaggi – sono in Italia una grande maggioranza, presente in varie formazioni politiche, in iniziative e comitati cittadini, in gran parte dell’astensionismo». Con Renzi, «l’involuzione del Pd non subisce battute d’arresto». Che senso ha, dunque, restare in quel partito? Barbara Spinelli vede una possibile alleanza trasversale, a Strasburgo, tra sinistra radicale, Verdi, socialisti «contrari al 
Tony Blair
patto con la destra», eurodeputati grillini e persino liberaldemocratici come Guy Verhofstadt.
Fino a quando i Fassina resteranno nel partito renziano, sostiene Spinelli, sarà difficile sperare che dalle parole si possa passare ai fatti, specie «nel momento in cui assistiamo all’ennesimo fratricidio avvenuto dentro il Pd», ovvero «un fratricidio che ci riconsegna la formula delle Grande Intese, e un semplice cambio di maschera al vertice (la maschera di Renzi al posto di quella di Letta)». Conclusione: «Se da questo sconquasso e da questi sotterranei tradimenti nascerà a Strasburgo un accordo sulle linee prospettate da Fassina, sarà una di quelle “divine sorprese” di cui prenderemo atto, senza smettere di vigilare sulla coerenza tra parole e azioni». Per contro, Spinelli sembra davvero credere che basterà il nuovo Parlamento Europeo ad imporre la democratizzazione dell’Unione Europea. Scelte essenziali: la conversione dell’euro in moneta sovrana, la Bce costretta a fare da prestatrice agli Stati, la fine delle politiche di austerità, l’abbandono del Fiscal Compact e dello strapotere della Troika costituita da Commissione, Bce e Fmi. «No all’Europa delle Costituzioni violate e dei cittadini inascoltati, sì a un bilancio europeo in crescita, da utilizzare per piani di comuni investimenti in una ripresa economica ecosostenibile». Non ultimo, il no al Ttip, il Trattato Transatlantico in via di elaborazione, se in nome dell’interesse delle multinazionali Usa dovesse scavalcare «le norme e gli standard di qualità che l’Europa impone al commercio di prodotti nocivi alla salute e al clima, e la cura di servizi pubblici come acqua o energia».

martedì 4 marzo 2014

INSURREZIONE POPOLARE A BILBAO CONTRO L'UNIONE EUROPEA

INSURREZIONE POPOLARE A BILBAO CONTRO L'UNIONE EUROPEA MENTRE LAGARDE DELL'FMI PARLAVA A UN CONVEGNO: VIOLENTI SCONTRI

INSURREZIONE POPOLARE A BILBAO CONTRO L'UNIONE EUROPEA MENTRE LAGARDE DELL'FMI PARLAVA A UN CONVEGNO: VIOLENTI SCONTRI.

BILBAO - Vetrine di banche e di esercizi commerciali spaccate, cassonetti bruciati e arredo urbano distrutto, due arresti operati dalla polizia. E' il bilancio degli incidenti registrati a Bilbao, durante la manifestazione di protesta, indetta dalla piattaforma Gune, promossa dai sindacati Ela e Lab contro la celebrazione del I Forum Global Spain.
Secondo fonti della delegazione di governo, intorno alle undici, un gruppo di incappucciati, tutti disoccupati, si e' staccato  dal corteo che percorreva la centrale Gran Via e ha cominciato a distruggere con mazze e pietre le vetrine di esercizi commerciali - Corte Ingles, Zara, Mango, Pull & Bear e Disegual - e a lanciare bombe di vernice contro alcune filiali bancarie della BBK, del Santanter e di Barclays.
Numerosi i cassonetti incendiati. Per frenare la rivolta, la polizia basca ha realizzato numerose cariche, mentre la manifestazione e' stata sciolta. Due gli arrestati, fra i quali un uomo di 42 anni, accusati di disordini pubblici e resistenza a pubblico ufficiale. 
La tensione in Spagna ha raggiunto livelli estremi, non si contano più ormai i tafferugli tra dimostranti contro l'Unione Europea e le forze di polizia agli ordini del governo Rajoy, asservito agli oligarchi di Bruxelles.
Mentre la piazza a Bilbao insorgeva contro la UE, il Direttore Generale del FMI, Christine Lagarde, intervenendo a Bilbao al Global Forum su "Spagna, dalla stabilita' alla crescita", ha elogiato "il coraggio politico del Governo spagnolo" , incitando l'Esecutivo a intensificare i sui sforzi nel settore dell'imprenditoria perche' "sia le aziende sia i lavoratori devono essere certi di raggiungere accordi appropriati sulle condizioni di lavoro".
A questo proposito, la Lagarde non ha citato la diminuzione dei salari, come sta avvenendo in alcuni comparti, come quello del trasporto aereo, dove Iberia e la Air Nostrum hanno siglato nelle settimane scorse con i sindacati intese che prevedono la riduzione del salario dal 14 al 20 per cento.
L'euro sta mostrando il suo volto crudele: disoccupazione e riduzione delgi stipendi di chi ha un posto di lavoro, in Spagna. Tuttavia, l'oligarchia di Bruxelles sottovaluta la capacità insurrezionale del popolo spagnolo, e di quello basco in particolare. A Bilbao solo un assaggio.

Gallino: elezioni europee per stracciare i trattati-capestro

Gallino: elezioni europee per stracciare i trattati-capestro


Oltre all’Unione bancaria e al micidiale Ttip, il Trattato Transatlanco che “asfalterebbe” le residue tutele europee sul lavoro a unico vantaggio delle multinazionali, una delle maggiori minacce che da Bruxelles incombono sull’Italia è il Patto fiscale, avverte Luciano Gallino. Da quest’anno, il Fiscal Compact obbliga gli Stati contraenti a ridurre il debito pubblico al 60% del Pil o meno, al ritmo di un ventesimo l’anno. Il Pil italiano 2013 è stato di 1.560 miliardi. Il debito si aggira sui 2.060 miliardi, pari al 132% del Pil. Gli interessi sul debito superano i 90 miliardi l’anno, con tendenza a crescere, di cui 80 pagati con l’avanzo primario, cioè la differenza tra le tasse che lo Stato incassa e quello che spende in stipendi, beni e servizi. Per scendere alla quota richiesta dal Patto, che varrebbe 940 miliardi, bisognerebbe quindi recuperare 1.120 miliardi. Divisi per venti, fanno 56 miliardi l’anno. «Dove li prende tanti soldi, per quasi una generazione, uno Stato che ha incontrato gravi difficoltà al fine di trovare due o tre miliardi una tantum per eliminare l’Imu?».
Per i neoliberisti, ciò che conta non è il valore assoluto del debito da scalare, bensì il rapporto debito-Pil. Ovvio: se il Pil italiano crescesse del 4% l’anno, Luciano Gallinocioè con un incremento di oltre 60 miliardi, il Fiscal Compact farebbe meno paura. Peccato però che – stando alle previsioni più ottimistiche – non si vada oltre l’1%. «Con questo tasso di crescita, risulta impossibile far fronte all’impegno assunto», scrive Gallino su “Micromega”, illustrando un possibile Piano-B. Per esempio: «Chiedere alla Ue di ridiscutere il trattato escludendo dal rapporto debito-Pil la colossale spesa per interessi». L’idea sbagliata è che, «a forza di contrarre la spesa pubblica, si arrivi a ripagare il debito». Attenzione: «Grazie a tale idea perversa, lo Stato italiano sottrae all’economia 80 miliardi l’anno, a causa di un iugulatorio avanzo primario usato solo per pagare gli interessi (e non tutti), facendo così precipitare il paese in una spirale inarrestabile di deflazione».
In altre parole, «l’austerità imposta da Bruxelles sta soffocando l’economia italiana, dopo la Grecia, l’Irlanda, il Portogallo, la Spagna». Tema decisivo, «da sottoporre al più presto a una discussione pubblica». Luogo perfetto, per parlarne: il Parlamento Europeo, «a condizione, ovviamente, di mandarci qualcuno il quale non pensi che l’austerità e il resto siano una cura mentre sono il malanno». La situazione è infatti palesemente insostenibile, e sarà ulteriormente aggravata dai nuovi trattati che la Ue si accinge a varare o che sono appena entrati in vigore. Trattati che «riguardano i salari pubblici e privati, i diritti del lavoro, le politiche sociali, lo stato della sanità pubblica, il sistema previdenziale, la sicurezza alimentare». Risultato: «La possibilità di una crisi economica ancora più grave dell’attuale». Le prossime elezioni Martin Schulzeuropee? Fondamentali, per fermare almeno tre di questi trattati: oltre al Fiscal Compact, anche l’Unione bancaria e il Trattato Transatlanco.
Sull’Unione bancaria, progettata per impedire che il costo di eventuali fallimenti ricada ancora sugli Stati, secondo Gallino la bozza approvata a dicembre è difettosa: da un lato affida troppo potere alla Bce, e dall’altro – con la scusa che non fa parte dell’Eurozona – esclude la Gran Bretagna, cioè «la maggior area finanzia del continente», con tre banche tra le prime 20 al mondo: Hsbc, Barclays e Royal Bank of Scotland totalizzano un attivo di 7.000 miliardi di dollari. Inoltre, il Regno Unito è il paese in cui, nella primavera 2008 (prima ancora che negli Usa), si verificarono i maggiori disastri bancari. Il meccanismo dell’Unione bancaria «è complicatissimo e può richiedere mesi per venire attivato, mentre una banca può entrare di crisi in un paio di giorni, e in altrettanti deve essere salvata o lasciata fallire». Il capitale che le banche stesse dovrebbero accantonare — con calma, entro il 2026 — per salvare le consorelle in crisi è di 55 miliardi: «Somma ridicola, se si pensa che il solo crollo della Hypo Real Estate nel 2009 costò al governo tedesco 142 miliardi». Il difetto peggiore? Secondo i teorici dell’Unione bancaria, lacrisi apertasi nel 2008 è stata innescata da «difetti di regolazione del sistema bancario», piuttosto che da «un modello d’affari fondato sulla creazione esponenziale di debito».
Sulla strada dell’Unione bancaria, per ora, sorge l’ostacolo del Parlamento Europeo: al disegno della Troika si oppone il presidente dell’Europarlamento, Martin Schulz. «Ma di certo il suo compatriota-avversario Schäuble insisterà per ripresentarlo dopo le elezioni». Periodo in cui «sulla testa degli europei» comincerà a incombere il Ttip, cioè il “Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti”, un piano che procede da circa un anno, in modo super-riservato. Lo stanno sviluppando 600 super-lobbysti, a nome delle maggiori multinazionali del pianeta, “dialogando” con Washington e Bruxelles. L’accordo, sintetizza Gallino, «offre alle corporations Usa mano libera nella Ue, scavalcando qualsiasi legge che ostacoli le loro attività in Europa». Basti pensare che gli Usa «non hanno mai sottoscritto le convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro concernenti la libertà di associazione sindacale, il diritto a contratti collettivi in tema di Harry Reidsalari, la parità di retribuzione uomo-donna, il divieto di discriminazione sul lavoro a causa di differenze di etnia, religione, genere, opinione politica».
Se il Ttip fosse approvato, conclude Gallino, «le migliaia di sussidiarie americane operanti in Europa potrebbero rifiutarsi di applicare tali convenzioni». Le multinazionali «potrebbero anche ignorare la legislazione europea in tema di ambiente, controlli sui generi alimentari, divieto di usare Ogm, sostanze nocive negli ambienti di lavoro», smantellando così l’attuale legislazione europea, «che nell’insieme è assai più avanzata di quella americana». Per questo, il Ttip è accusato da numerose Ong di essere «un progetto politico inteso ad asservire ancor più i lavoratori ai piani delle corporations, privatizzare il sistema sanitario e sopraffare qualsiasi autorità nazionale che volesse ostacolare il loro modo di agire». Contro questa minaccia potrebbe alzare la voce il nuovo Parlamento Europeo, anche in base a come andranno le elezioni di maggio, in collaborazione con lo stesso Congresso Usa: il leader della maggioranza democratica al Senato, Harry Reid, ha appena ha respinto la richiesta di Obama di adottare una “pista veloce” (fast track), rallentando così la discussione sul Ttip. Che resta sul piatto del nostro immediato futuro, insieme all’insostenibile Fiscal Compact e al progetto di di Unione bancaria. Domanda: la strada del nostro declino civile è già segnata o sarà possibile invertire la rotta?

Occhetto: rottamata la sinistra, nel Pd vince il potere

Occhetto: rottamata la sinistra, nel Pd vince il potere


«Berlusconi è finito, il berlusconismo non ancora». Larghe intese? «Difficile trovare accordi con la componente filogovernativa del vecchio Pdl: è vero che non sono più berlusconiani, ma continuano a essere liberisti». Così la pensa Achille Occhetto, un quarto di secolo dopo la “svolta della Bolognina” che segnò la fine del vecchio Pci, caduto il Muro di Berlino. Riflettori italiani, allora, tutti puntati su Craxi e Mani Pulite, mentre a Bruxelles le tecnocrazie europee – compresi elementi dell’aristocrazia italiana del futuro centrosinistra – agli ordini dell’élite finanziaria mettevano a punto il dispositivo egemonico sintetizzato dal Trattato di Maastricht, quello che avrebbe ridotto mezza Europa in frantumi (e l’Italia in mutande) con l’adozione dell’euro e la conseguente dottrina del rigore. Dettaglio: il centrosinistra è l’unico, tuttora, a difendere l’euro-disciplina ultraliberista.
Eppure, nonostante il granitico impianto ideologico di Letta, Renzi e Napolitano – tagli allo Stato, privatizzazioni necessarie, “sacrifici” Achille Occhettosociali inevitabili (secondo i dettami del pensiero unico dell’élite) per Occhetto evidentemente il Pd non è affatto liberista, è ancora “di sinistra”. Intervistato da “Il Giorno” a fine novembre 2013, l’ex segretario rievoca la sua “svolta” che aprì la strada alla Seconda Repubblica del bipolarismo berlusconiano. «La mia era una scommessa storica: coniugare la libertà a una politica radicalmente alternativa al modello neoliberista», dice Occhetto. «La domanda è ancora oggi senza risposta: è possibile abbracciare la libertà senza andare a destra?». Grigio lo spettacolo offerto dai dirigenti Pd: «Sembrano zombie che si muovono nel vuoto senza sapere dove andare. Non si può costruire il nuovo unendo il peggio del Pci e il peggio della Dc». Tra loro, «ha vinto chi ha interpretato la svolta come l’ingresso nel salotto buono del potere per il potere, del governo per il governo».
Manca un passaggio, fondamentale: il livello governativo nazionale – cui Occhetto fa riferimento – è ormai un dettaglio trascurabile. La politica di bilancio è subordinata alle indicazioni vincolanti dei decisori veri, quelli di Bruxelles, che rispondono a Draghi e alla Merkel, oltre che ai “mercati”, ormai padroni di quel che resta dello Stato. Occhetto preferisce limitarsi a denunciare le larghe intese, «una soluzione emergenziale che produce altra emergenza», e puntare il dito contro i difetti del Pd: «E’ afflitto dal male oscuro delle consorterie». Via d’uscita? «Raccogliere il meglio della tradizione della sinistra, a partire dal valore dell’uguaglianza declinato non più in chiave di giustizia sociale ma come tema di economia politica». A Renzi, Occhetto chiede «di andare avanti con la rottamazione, perché la politica smetta di essere il ripostiglio degli ex, ma di non limitarsi alla rottamazione dei nomi: serve anche una rottamazione delle idee, una nuova costituente delle idee, delle primarie sulle idee».

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