venerdì 13 luglio 2012

Moody's invece di valutare le porcate delle banche USA taglia titoli Italia Spread a quota 481


Moody's taglia titoli Italia Spread a quota 481

Bene asta Btp a 3 anni: in netto calo al 4,65% Spread sfonda quota 480. Passera: 'Fuorviante'

13 luglio, 14:03
Un operatore di Borsa

Moody's taglia titoli Italia Spread a quota 481
NEW YORK - Arriva l'ennesima tegola di Moody's sull'Italia. L'agenzia ha infatti tagliato di ben due scalini il rating dei titoli di Stato, portandolo da A3 a Baa2 e mantenendo un outlook negativo.
La notizia e' arrivata proprio mentre il premier Mario Monti atterrava in Idaho, Stati Uniti, per recarsi alla Allen Conference di Sun Valley, dove e' riunito il gotha della finanza e del mondo dei media 'made in Usa'. Li' il Professore - che interverra' nelle prossime ore intervistato (a porte chiuse) dal noto anchorman della Cbs, Charlie Rose, ha come obiettivo principale quello di convincere ad investire in Italia.
Non a caso Moody's, spiegando la sua decisione, sottolinea come tra i fattori che probabilmente porteranno ad ''un ulteriore netto aumento dei costi di finanziamento'' dell'Italia ci sono anche ''segnali di erosione'' sul fronte degli investeminte esteri, oltre al rischio contagio da Grecia e Spagna, con i rischi di un'uscita di Atene dall'euro ''che sono saliti'' e il sistema bancario spagnolo sempre piu' in difficolta'.
Ma l'agenzia di rating punta il dito anche su altri fattori: dal ''deterioramento delle prospettive economiche nel breve termine'', nonostante le misure e le riforme decise dal governo Monti, al ''clima politico che, con l'avvicinarsi del voto della prossima primavera - scrive Moody's - e' fonte di un aumento dei rischi''. Questo spiega anche l'outlook negativo, con il nostro Paese che resta sotto stretta osservazione da parte dell'agenzia di rating. Per la quale ''i rischi che gravano sull'attuazione delle riforme restano considerevoli''. Il peggioramento dell'economia, poi, col Paese in recessione, ''aumenta il peso dell'austerity e delle riforme sulla popolazione italiana''. Questo porta le forze politiche a frenare, in qualche modo, l'azione del governo. Quest'ultimo - riconosce Moody's - ha messo in campo ''un programma di riforme che ha davvero le potenzialita' per migliorare notevolmente la crescita e le prospettive di bilancio''. Nonostante cio' la recessione incombe e raggiungere gli obiettivi di risanamento dei conti resta una enorme sfida, con il pareggio di bilancio - si sottolinea - slittato di due anni. Forse gli analisti di Moody's pensavano al 'percorso di guerra' citato ieri dallo stesso Monti.
PASSERA, INGIUSTIFICATO E FUORVIANTE - Il giudizio di Moody's è del tutto ingiustificato e fuorviante". Lo ha detto il ministro dello Sviluppo Corrado Passera all'assemblea dell'Ance, aggiungendo che "non tiene conto del lavoro che il nostro paese sta facendo".
BRUXELLES, TEMPISTICA MOODY'S INAPPROPRIATA  - La Commissione europea giudica la "tempistica" del declassamento dell'Italia da parte di Moody's "inappropriata" e "discutibile" per la coincidenza con l'odierna "importante" asta di titoli di Stato, spiegando che considera le riforme adottate dal governo "impressionanti, se non senza precedenti".Lo ha detto il portavoce di Olli Rehn.
SQUINZI, NOSTRO PAESE PIU' FORTE DI VALUTAZIONI "Penso che il nostro paese manifatturiero sia molto più forte di quello che appare nelle valutazioni di Moody's". Lo ha detto il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi arrivando all'assemblea dell'Ance.
BERLINO, SOSTEGNO A RIFORME CORAGGIOSE DI MONTI - "Monti ha fatto riforme con coraggio e forza e ha il sostegno del governo tedesco". Lo ha detto il portavoce del governo tedesco Steffen Seibert a Berlino in conferenza stampa. Seibert ha sottolineato che il governo tedesco non commenta il declassamento dell'Italia da parte di Moody's come tutte le decisioni delle agenzie di rating.
GIAPPONE MINIMIZZA, UE SU STRADA GIUSTA - Il Giappone minimizza la portata del taglio del rating di Moody's sull'Italia (da A3 a Baa2) sulla convinzione che i leader Ue "stiano facendo gli sforzi per risolvere gravi problemi mai sperimentati nella storia". Ne è convinto il ministro delle Finanze, Jun Azumi, secondo cui, "dato il potenziale, sono sicuro che l'Europa supererà i problemi e riavrà la fiducia del mercato". Le prospettive sono più che positive con la mossa Ue su controllo unico bancario, coinvolgendo la Bce, e cooperazione economica e fiscale
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(S)vendesi Italia


 (S)vendesi Italia

venerdì 13 luglio 2012
FINANZA/ 1. (S)vendesi ItaliaInfophoto
Il bollettino quotidiano del percorso di guerra, per dirla con le parole di Mario Monti, presenta una notizia positiva: l’asta dei Bot a 12 mesi ha segnato un indiscutibile successo. Sono stati collocati tutti i 7,5 miliardi offerti a un rendimento del 2,697%, in forte contrazione dal 3,972% di metà giugno. Siamo tornati sui livelli di metà maggio, anche se siamo ben lontani dall’1,15% registrato a inizio marzo. Oggi, come in primavera, poi, a favorire la ripresa sono state più le mosse di Mario Draghi che non il recupero di fiducia dei mercati per i fondamentali dell’Italia. Allora, il recupero era stato reso possibile dalla spinta dei prestiti di Francoforte. Oggi gioca un ruolo fondamentale la decisione della Bce di non remunerare più il denaro depositato dalle banche europee. Stamattina la banca centrale ha comunicato che in un solo giorno i depositi overnight presso la Bce sono crollati a 324,931 miliardi di euro da 808,516 miliardi e il fenomeno dovrebbe proseguire.
L’Italia della finanza pubblica, dunque, ha bevuto un brodino che non serve a rivitalizzare l’economia reale. Non ne fa mistero Giorgio Squinzi, presidente della Confindustria, che ieri ha tenuto fede alla sua fresca fama di Pierino della stanza dei bottoni segnalando che il Pil quest’anno scenderà del 2,4%. Possibile, anzi probabile, che abbia ragione. Del resto, nonostante i progressi della mattinata, la forbice tra Btp e Bund resta di 450 punti, quella con i titoli francesi di 250. Insomma, un distacco che rende impossibile, in un’economia che, lungi dal cedere, scende a rotta di collo, alle aziende italiane di competere. Anche perché le banche, cui è in pratica precluso l’accesso all’interbancario (anche i francesi chiudono l’uscio ai nostri istituti), lesinano i capitali alle nostre imprese.
Il risultato? Non passa giorno senza che un’impresa di casa nostra non passi a qualche operatore a caccia di saldi. Ieri è toccato a Valentino, finito a un player del Qatar vicino al fondo Qia. È una legge amara ma ben nota: quando la banca chiude i rubinetti, si finisce con il vendere l’argenteria al prezzo voluto dal compratore.
La crisi, insomma, morde. E crescono, com’è comprensibile, allarme e malumori. Ma è difficile che ci siano troppe alternative di sostanza alla ricetta Monti, mica più severa della ricetta Rajoy. Anche perché è quanto ci viene chiesto dai partner internazionali, gli stessi che, a novembre, hanno in pratica dato a Cannes gli otto giorni al premier Silvio Berlusconi. In questa cornice la polemica sulla concertazione è un po’ patetica. Certo, la formula ha avuto un grande ruolo nel passato delle relazioni industriali e si può definire “concertata” la svolta della Germania tra il 2001 e il 2003, quando la Repubblica Federale ha messo le basi per i successi di oggi. Ma quella, sia sul fronte fiscale che della scuola e degli investimenti produttivi, era una scelta di imprenditori e del sindacato che guardava alla competitività del sistema, con una una ripartizione delle reponsabilità. Al contrario, il richiamo alla concertazione che occupa il palcoscenico della politica italiana sembra guardare più al buon tempo antico in cui tutto si decideva entro i cortili del nostro condominio, piuttosto che alla necessità di stare sui mercati, cosa che impone grande flessibilità.
Proviamo perciò ad allargare lo sguardo oltre l’uscio di casa, a partire da quell’alluvione di liquidità che scorre in giro per l’Europa, in netto contrasto con il credit crunch che affligge il sistema del credito. I capitali, che fuggono dagli investimenti come un vampiro dall’aglio, hanno ormai compresso i rendimenti dei Bund tedeschi e dei Bond Usa a lungo termine a livelli impensabili: ieri chi voleva avere “l’onore” di parcheggiare i propri soildi presso i titoli a dieci anni emessi da Belino si doveva accontentare dell’1,22%. Chi intende scegliere il Tesoro Usa, incurante della galoppata del deficit Usa e delle incognite fiscali nel dopo elezioni, viene retribuito con l’1,40%. Ma anche chi ha scelto i titoli a breve di Parigi ha acettato di pagare un interesse negativo: chi ha scelto gli Oat scadenza fine dicembre, ha subito un salasso seppur minimo, lo 0,003%. In cambio, François Hollande ha avuto la gradita sorpresa di uno sconto: il debito pubblico paga in media il 2,14%, contro il 2,8% di un anno fa.
Si spiega, in questa cornice, la considerazione inquietante del bollettino della Bce: la volatilità sui titoli di Stato, pur inferiore a quella di novembre, è vicina ai livelli toccati prima della crisi di Lehman Brothers. Dietro l’abbondanza di liquidità provocata da anni di tassi vicini allo zero e altre misure espansive si celano le insidie di acquitrini scivolosi in cui nessuno si sente al sicuro. Nemmeno gli emergenti che hanno ormai preso atto che la crisi europea rischia di avere effetti pesanti in casa loro. Non a caso ieri la Corea del Sud hatagliato a sorpresa i tassi per dare slancio all’export che mostra segnali di fatica. Lo stesso ha fatto il Brasile, che dallo scorso agosto a oggi ha tagliato il costo del denaro otto volte. La Cina si è già mossa, in più occasioni, ma i margini sono ristretti: su Pechino grava il rischio del crollo dei prezzi immobiliari e di una gelata dei consumi cui si aggiunge il rischio di un’estate con una corsa dei prezzi degli alimenti, innescata dalla siccità nel Midwest americano.
Anche senza citare le incognite della campagna elettorale Usa, che sta condizionando le mosse della Fed, o il rischio di un’esplosione in Medio Oriente o in altre aree calde, dobbiamo prender atto che il disordine monetario, stavolta provocato dall’incapacità congenita dell’Eurozona di intervenire a tutela della moneta unica, sembra prender corpo in un modo ancor più pericoloso di quello del 2008. Non fosse che per una ragione: rispetto ad allora, le banche centrali hanno sparato larga parte delle cartucce.
Inoltre, fa quasi tenerezza ripensare alle sciocche rassicurazioni dei governi di quattro anni fa: allora, recitava lo slogan, si cercava di tener separate la finanza “cattiva” dall’economia reale che era “sana”. Oggi anche i più scarsi di comprendonio devono prender atto che il caos finanziario, cui non si è opposta una terapia convincente (basti pensare agli scandali che esplodono in Usa o al caso Barclays), ha investito in pieno l’economia reale. Con un’aggravante. L’Europa, più simile a un patchwork dalle tinte bizzarre piuttosto che a una realtà economica in grado di ritrovarsi su obiettivi politici o fiscali comuni, si ostina a battere il terreno dell’austerità nella convinzione (errata) che i guai derivino dalla finanza allegra di Italia e Spagna piuttosto che dagli squilibri finanziari generati da un’espansione monetaria sconsiderata e da una finanza più attenta ai bonus dei manager che non alla crescita dell’economia.
È in questa cornice, pessima, che l’Italia deve fare i compiti: l’unica nostra speranza consiste nel far quadrare i conti della bilancia commerciale e dei pagamenti senza dover far ricorso ai finanziamenti da fuori, che non ci sono più da un anno almeno. In assenza della valvola di sfogo della svalutazione (pessimo rimedio), a fronte di “alleati” che non intendono aiutarci se non a condizioni inaccettabili, non resta che l’arma della deflazione di salari e stipendi e/o della riduzione dello stock del debito pubblico con interventi il più possibile condivisi, se non concertati.
Insomma, siamo di fronte a una torta che si è ristretta, ma che deve sfamarci, in qualche maniera, tutti quanti. È difficile, però, trovar la quadra con gli stessi meccanismi utilizzati negli anni delle vacche grasse, quando i sacrifici erano di breve durata ma restava la speranza di una fetta più grande nel futuro. Purtroppo, occorre muoversi più in fretta e con decisioni più severe di quelle degli anni passati. Certo, non nutrire speranze è peccato. Chissà, il futuro potrebbe essere meno brutto di quanto non sembri oggi. Soprattutto se faremo i compiti per bene.


La Francia verso la rinucia alla TAV per insostenibilità


La Francia verso la rinucia alla TAV per 

insostenibilità


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Il nuovo governo francese, stando a quanto riporta Le Figaro, sta pensando di riesaminare ed eventualmente rinunciare a dieci progetti di linee ferroviarie ad alta velocità, tra cui la Torino-Lione.
«Lo Stato ha previsto una serie di progetti senza averne fissato i finanziamenti. Il governo non avrà altra scelta che rinunciare ad alcune opzioni», ha dichiarato il ministro del bilancio, Jerome Cahuzac. Secondo il quotidiano, sotto esame anche la Torino Lione, a causa del costo elevato (12 miliardi) e del calo del traffico merci. Poi in serata, l’indiscrezione pubblicata dall’Ansa: «La Torino-Lione ha un’importanza maggiore, diversa dagli altri progetti, ma per poter passare alla sua concreta realizzazione servono nuovi finanziamenti» da parte della Ue. Così una fonte del governo francese, che ha spiegato anche che – data la crisi economica – servirebbe un «nuovo accordo» con l’Italia e con Bruxelles su questa vicenda.
Nella hit-parade delle linee ad alta velocità minacciate dai tagli della crisi, ci sono – tra l’altro – la Nizza-Marsiglia e la Torino-Lione, ha scritto Le Figaro, che sottolinea come dopo il tempo delle promesse è arrivato quella della realtà. In particolare, aggiunge il quotidiano, quest’ultima sarebbe «squalificata per il suo costo (12 miliardi di euro)». Ma anche dal calo registrato nel «trasporto merci, sceso a quattro milioni di tonnellate su quella tratta, contro gli undici milioni di tonnellate vent’anni fa, non gioca a favore di quel progetto».
Era il 2007 quando le autorità pubbliche avevano previsto entro il 2020 la realizzazione di quattordici linee ad alta velocità, circa 2000 chilometri. Un programma da 260 miliardi di investimenti. Ma, in tempi di bilanci «magri», la Francia non ha più i mezzi per accollarsi così tante infrastrutture. Il governo dovrà quindi scegliere i collegamenti a cui rinunciare. Una missione composta da parlamentari ed esperti sarà presto nominata per classificare i progetti in ordine di priorità. Una relazione è attesa entro la fine dell’anno.
Tuttavia in serata il parziale dietrofront di una fonte del ministero del Bilancio francese, interpellato dall’Ansa. Sull’eventuale stop del «progetto dell’alta velocità Torino-Lione non bisogna trarre conclusioni affrettate», spiegando che per il momento non c’è alcuna rinuncia al progetto da parte di Parigi, ma solo «una missione che sta valutando la correttezza degli investimenti pubblici»

Romania: Germania convoca ambasciatore

Berlino preoccupata per rischio principio separazione poteri


Romania: Germania convoca ambasciatore
TAG:  ROMANIA ANSA
(ANSA) - BERLINO - Il governo tedesco ha convocato l'ambasciatore della Romania a Berlino, Lazar Comanescu, per manifestare preoccupazione per le vicende politiche a Bucarest.  Ad allarmare Berlino sono le misure del governo socialista di Victor Ponta per ridurre le prerogative della giustizia costituzionale e il trasferimento di competenze in materia di pubblicazione delle decisioni giudiziarie, che "minacciano seriamente il principio della separazione dei poteri"