martedì 5 febbraio 2013

Restauri a Pompei: corruzione e truffa, un arresto. Indagato l'ex commissario


Restauri a Pompei: corruzione e truffa, un arresto. Indagato l'ex commissario


Ordinanza di custodia per la rappresentante della ditta che ha eseguito i lavori. Misure interdittive per ingegneri dello staff di Marcello Fiori

La Guardia di Finanza sta eseguendo un'ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari nei confronti del rappresentante legale della 'Caccavo S.r.l.', società aggiudicatrice dei lavori di restauro all'interno dell'area archeologica degli Scavi di Pompei.

Disposto il sequestro preventivo di beni per 810 mila euro circa. Indagato per abuso d'ufficio l'ex commissario straordinario degli Scavi, Marcello Fiori.Tra le misure cautelari in esecuzione anche tre misure cautelari di divieto dell'esercizio della attività professionale nei confronti di ingegneri della Soprintendenza di Pompei ed un divieto di contrarre con la Pubblica Amministrazione nei confronti dell'impresa coinvolta. 

Le accuse sono di corruzione, abuso d'ufficio, frode nelle pubbliche forniture e truffa ai danni dello Stato. I provvedimenti scaturiscono da indagini relative ai lavori eseguiti all'interno dell'area archeologica, che hanno comportato una spesa per oltre 8 milioni di euro. 

L'appalto dei lavori è stato eseguito nel periodo di commissariamento degli Scavi di Pompei, sotto la gestione della Protezione civile, dell'allora commissario straordinario Marcello Fiori, che ora risulta indagato per abuso d'ufficio. Le indagini hanno fatto emergere, si apprende, «illegittimità sull'utilizzo, da parte della gestione commissariale, delle procedure derogatorie nell'affidamento dei lavori rispetto alla normativa sull'evidenza pubblica».

Pg C. Conti:condono ha ragioni fondate


Pg C. Conti:condono ha ragioni fondate

Ma non voglio intervenire in dibattito politico



(ANSA) - ROMA, 5 FEB - Il condono fiscale ha ''motivazioni intuitive e fondate''. Lo ha detto in una conferenza stampa il procuratore generale della Corte dei conti, Salvatore Nottola, precisando di non voler intervenire nel dibattito politico.

Se va Monti al governo ,rischiamo come la Grecia il disatro sociale,Grecia: sciopero agricoltori, marittimi


Grecia: sciopero agricoltori, marittimi

Ancora in agitazione i giornalisti dei media pubblici



(ANSA) - ATENE, 5 FEB - Proseguono anche oggi in Grecia le agitazioni in due dei maggiori settori del lavoro del Paese, agricoltori e marittimi: i primi sono giunti all'ottavo giorno consecutivo di mobilitazione e i secondi al sesto. Gli agricoltori continuano a minacciare di ''tagliare in due'' la Grecia bloccando con i trattori l'autostrada che collega Atene- Salonicco e tutto il Nord se il governo non ridurra' il prezzo del gasolio e l'Iva. E continua anche lo sciopero dei cronisti dei media pubblici.

Monte Paschi paga il prezzo della scalata Abn Amro


Monte Paschi paga il prezzo della scalata Abn Amro

L'Opa sull'olandese del 2007 costò 71 mld. Più il crollo della banca senese, di Fortis e Scotland. E 12 mila licenziamenti.


La scalata al colosso olandese Abn Amro, avvenuta alla fine del 2007 da parte di Banco Santander, Royal Bank of Scotland e Fortis Bank Netherland (gruppo olandese) fu un'operazione da oltre 71 miliardi di euro interamente rovesciata sulle spalle dei governi europei, dei contribuenti, delle migliaia di dipendenti i quali persero il posto in seguito alla fusione, e dei piccoli risparmiatori.
L'AFFAIRE ANTONVENETA. Compresi quelli italiani: perché nel novembre di quell'anno Santander annunciò la cessione di Antonveneta (inserita nel pacchetto di Abn e controllata dagli olandesi) a Monte dei Paschi prima ancora di averla formalmente acquistata dagli olandesi. E Mps sgravò così gli spagnoli di 9 dei 20 miliardi di euro dovuti per la loro quota della banca olandese, con conseguenze pesantissime che solo ora le inchieste giudiziarie stanno portando alla luce. Tra queste, la perdita secca di oltre 12 mila posti di lavoro a causa dei tagli operati da Scotland, Fortis e Mps per coprire i buchi aperti dalla gigantesca operazione avviata senza le risorse necessarie per portarla a termine.
ABN, OPA SENZA LIQUIDITÀ. Fu uno tsunami finanziario che a partire dal 2007 devastò l'Europa e che ancora oggi non si è placato. Nessuno dei tre acquirenti di Abn infatti aveva in realtà il denaro sufficiente per quella mostruosa operazione e tutti si arrangiarono in maniera quanto meno disinvolta.
Santander emise 7 miliardi di titoli spazzatura, i Valores pagati 13 euro dai risparmiatori e svalutati poi fino a 2 euro. L’olandese Fortis precipitò nel baratro e fu salvata dal denaro pubblico del governo de L'Aja. Mentre gli azionisti di Scotland, quinto gruppo al mondo, si rifiutarono di sottoscrivere gli aumenti di capitale necessari al take over: il governo di Londra fu così costretto a rilevare il controllo della banca fondata nel XVIII secolo, con un travaso di soldi pubblici pari allo spaventoso importo di 45 miliardi di sterline, corrispondente al cambio di oggi a circa 51 miliardi di euro.
LA CORDATA A TRE CONTRO BARCLAYS. Tra maggio (lancio dell'Opa) e ottobre 2007 (annuncio della scalata), in sostanza tre pesci medio-piccoli decisero di mangiarne insieme uno gigante, Abn Amro, facendolo a pezzi e dividendosi in tre le sue attività in Europa e nel mondo.
Offrendo 71,1 miliardi di euro (questa fu la valutazione ufficiale, poi le spese salirono parecchio tra revisioni dei conti, oneri e consulenze) il terzetto batté la concorrenza di Barclays che aveva messo sul piatto 67,5 miliardi.
IL CROLLO DI FORTIS. Fortis, il pesce più debole, fu la prima a crollare: si accollò la sua quota di Abn al prezzo di 24 miliardi di euro, mentre in quegli stessi giorni del 2007 Fortis sui mercati ne valeva (secondo gli analisti del New York Times) appena 37. Il bluff durò meno di un anno: Fortis era con l’acqua alla gola e il governo olandese fu costretto a nazionalizzarla (insieme con la parte di Abn già acquistata) spendendo così 16,8 miliardi di euro di denari pubblici.
Ma Fortis aveva una fetta delle proprie attività anche in Belgio, dove la mossa de L'Aja fu vista con sfavore perché anche Bruxelles dovette immettere capitali pubblici per salvare ciò che restava, provocando forti tensioni tra i due Paesi.

Il conflitto: le obbligazioni per l'acquisto di Antonveneta vendute da Antonveneta

La parte però più singolare di questa scalata fu che vi partecipò in maniera nascosta anche il Monte dei Paschi, con quel 'tutto in una notte' avvenuto nell'ottobre 2007, quando i vertici senesi si accordarono con Santander per rilevare subito Antonveneta, inserita nella quota di Abn spettante a Santander ma poco interessante per gli spagnoli che la usarono per fare cassa alle spalle degli italiani ed evitare di svenarsi per sborsare i 20 miliardi di competenza per la loro fetta di Abn Amro.
SIENA E L'ASSIST A BOTIN. Di fatto, acquistando Antonveneta prima ancora che passasse in mano a Santander, Mps diede una grossa mano agli spagnoli e si caricò di spese per 10 miliardi, senza però averli in tasca. Partirono così le emissioni di bond, derivati e altri titoli tossici sui quali oggi indagano diverse procure italiane, con l'ipotesi che il collocamento sia avvenuto alla maniera di Parmalat, cioè piazzando ai risparmiatori e ai propri correntisti cedole di cui in banca si sapeva che avrebbero avuto scarso valore, ma che era necessario emettere per finanziare un acquisto (quello Antonveneta) altrimenti impossibile.
IL RICORSO AI DERIVATI. Ma per anni in Italia non si è saputo o voluto collegare la crisi di Monte Paschi, sotto gli occhi di tutti, con la spericolata scalata ad Abn che già aveva travolto Fortis, Bank of Scotland e i risparmiatori spagnoli, i quali a migliaia stanno portando in tribunale ancora oggi Santander per quella emissione di Valores tossici per un importo totale di 7 miliardi di euro.
Per tamponare la crisi nata da quella spericolata operazione, Mps trafficò in derivati con banche giapponesi (movimenti oggi sotto la lente della magistratura), emise obbligazioni e, non essendo tutto questo sufficiente, ricorse all'aiuto statale attraverso il prestito deliberato prima dal governo Berlusconi (i Tremonti bond) poi da quello di Monti, con l'ultima legge di stabilità, per un importo pari a 3,9 miliardi di euro.
ABN PAGATA DAI GOVERNI EUROPEI. A questo punto, un dato appare chiarissimo. Abn venne venduta per 71,1 miliardi di euro. Un semplice conto mostra che sommando l'intervento pubblico britannico (51 miliardi), quello olandese (16,8 miliardi) ai Monti e Tremonti bond elargiti a Mps (3,9 miliardi) si arriva a un totale di circa 72 miliardi, cioè il prezzo di Abn più quel miliardo circa di 'oneri' che i toscani versarono a Santander in aggiunta ai 9 pattuiti.
Con una differenza: che mentre i governi di Londra e de L'Aja hanno rilevato il controllo di Scotland e Fortis, il governo di Roma ha premiato Monte Paschi senza ottenere in cambio nemmeno una azione, finendo così per favorire la speculazione dei gruppi spagnolo, scozzese e olandese tramite i soldi dei contribuenti italiani.
MPS «SOCIO OCCULTO» DELL'OPA. Ma quello che emerge oggi ancora più chiaro dalle carte italiane e spagnole è che Mps partecipò di fatto alla scalata di Abn senza però entrare nell'offerta pubblica di acquisto presentata ai mercati, deliberata invece dagli azionisti di Santander, Fortis e Scotland e sottoposta al controllo delle autorità di vigilanza di Madrid, Londra e l'Aja ma non di Bankitalia e Consob.
Le date parlano chiaro. L'Opa partì il 29 maggio 2007 e venne accettata l'8 ottobre dello stesso anno. L'8 novembre Santander annunciò di aver ceduto a Mps Antonveneta per 9 miliardi, mentre ancora non aveva rilevato da Abn la banca veneta. Tanto che la formalizzazione della vendita ai senesi avverrà solo nel maggio dell'anno successivo.
SANTANDER RISPARMIA 9 MLD. Ed Emilio Botin, patron di Santander, nella lettera ai suoi azionisti di quell'8 novembre (leggi il pdf) disse con chiarezza che l'intervento di Mps avrebbe permesso a Santander di ridurre il prezzo di acquisto delle quote Abn da 20 a 11 miliardi di euro.
In quella cordata a tre c'era dunque un intruso italiano. E Antonveneta, che sapeva perfettamente quanto stava accadendo, collaborò consapevolmente a questo aggiramento dell'Opa.
Almeno una tranche delle obbligazioni emesse da Mps appositamente per comprare la banca veneta (la parte del 26 marzo 2008) fu infatti affidata dai senesi per il collocamento agli sportelli della stessa Antonveneta, in quei giorni ancora in mani straniere. Lo dice lo stesso prospetto informativo dell’emissione Mps (che peraltro pochi risparmiatori leggono) nel quale si parla esplicitamente di rischio di «conflitti di interesse» nell'operazione di collocamento dei bond.
IL VIA LIBERA DI BANKITALIA, CONSOB E TESORO. Ma mentre in Gran Bretagna e Olanda i governi e l'opinione pubblica, insieme con le autorità di controllo finanziario, tra il 2008 e il 2012 facevano apertamente il conto dei danni dello tsunami Abn, in Italia - come le tre scimmiette - nessuno vedeva, sentiva o parlava, pur essendo tricolore il quarto scalatore della cordata. Bankitalia, Consob e il Tesoro vagliavano e approvavano singole operazioni di emissione, senza però inquadrarle nell'immenso gioco di Abn da 71 miliardi di euro.

Rocca Salimbeni: dismissioni per 2 miliardi e aiuti per 4

I risultati furono disastrosi. Il valore delle azioni di Mps, che nel maggio del 2007 (lancio dell'Opa su Abn) oscillava attorno ai 5 euro, precipitò sino a 1,25 euro di ottobre, con un prezzo in Borsa attorno a 1,8 euro a fine maggio 2008, quando l'acquisto di Antonveneta (solo annunciato a novembre 2007) venne perfezionato e concluso realmente.
Nel frattempo, Mps e la Fondazione che la controlla erano state costrette a vendere gran parte dei loro gioielli 'reali', cioè aziende che producono e non partecipazioni finanziarie, per un valore di circa 2 miliardi: dal gruppo toscano uscirono tra l'altro palazzi storici di Siena, tenute agricole, l'assicurazione Quadrifoglio Vita e altri beni.
IL SOCCORSO STATALE. Tutto questo veniva però coperto da dichiarazioni rassicuranti, tese a sopire mercati e autorità pubbliche. Il 18 novembre 2008 il presidente di Mps Giuseppe Mussari dichiarava a La Stampa che Monte Paschi era «sufficientemente capitalizzata» e non aveva bisogno di ricapitalizzazioni. Ma nel frattempo, il 15 novembre, il direttore generale Antonio Vigni spiegava a Il Sole 24 Ore che Mps stava valutando la possibilità concreta di attingere a fondi dello Stato per almeno 1 miliardo di euro, diventati poi come sappiamo oggi quasi 4 miliardi, grazie ai Tremonti e ai Monti bond.
In questo modo si chiude il cerchio di una scalata occulta a un pezzo di Abn, avvenuta d'intesa con Santander e la stessa Antonveneta e scaricata in gran parte sulle casse pubbliche e sul risparmio privato.
Mentre in Italia ancora si cerca di capire il costo di questo oneroso incantesimo da apprendisti stregoni senza soldi, in Gran Bretagna il quadro è più chiaro ed estremamente doloroso.
LA NAZIONALIZZAZIONE DI RBS. Royal Bank of Scotland, devastata dallo sbarco in Olanda sulle sponde di Abn, è stata nazionalizzata con un esborso pari a 51 miliardi di euro. Anche qui, come in Italia, il prezzo venne pagato dai cittadini: già nel novembre 2008 (avvio dell'operazione di salvataggio statale) il governo di Sua Maestà comprava azioni di Scotland per un importo di 22,8 miliardi di sterline, a un prezzo di 65,5 pence per azione, mentre alla Borsa di Londra le stesse azioni di Scotland venivano scambiate ad appena 55,3 pence. Secondo una analisi del Sole 24 Ore la perdita secca immediata per i contribuenti britannici fu di circa 3 miliardi di sterline, a causa della differenza tra il prezzo pagato dal governo britannico e quello invece battuto al London Stock Exchange. Un immenso regalo di denaro pubblico agli azionisti privati di una banca che si era dissanguata nell'operazione Abn compiuta senza avere in tasca i soldi per concluderla.
NEL REGNO UNITO: MENO 3.500 POSTI. Per pagare il prezzo impossibile di Abn, Scotland licenziò immediatamente 2.700 dipendenti in Gran Bretagna nel 2008, anno di conclusione dell'acquisto della banca olandese. Per proseguire poi con altri tagli, negli anni, di circa 3.500 lavoratori sparsi tra Inghilterra, Scozia, Ulster e negli sportelli e uffici in Asia. Nel frattempo Fred Goodman, amministratore delegato uscente di Scotland, si garantiva una pensione di 900 mila sterline l'anno.
Non andò meglio in Olanda e Belgio, dove l'ingresso di Fortis in Abn, oltre all'esborso di 16,8 miliardi da parte dello Stato, venne pagato dai dipendenti dei due colossi con circa 5 mila licenziamenti.
LA DIETA SENESE TRA LICENZIAMENTI E CESSIONI. Monte Paschi, in questo turbine, non è stata certo a guardare: il Piano industriale varato nel giugno 2012 prevede la chiusura di 400 sportelli e l'uscita, fino al 2017, di 4.600 dipendenti fra tagli al personale (oltre mille a casa), esternalizzazioni di contratti (altre 1.100 persone) e cessione di attività con all'interno altri 2.600 lavoratori.
La scalata di Abn, oltre ai denari pubblici versati nei buchi delle banche coinvolte, ha avuto e sta avendo dunque anche un pesantissimo bilancio sociale: il posto di lavoro perduto in Europa da oltre 12 mila persone.


Latour, la politica manipolata e dimenticata


Latour, la politica manipolata e dimenticata

L'antropologo Latour spiega a Lettera43.it perché aver dato tanto spazio all'economia compromette il bene comune.

Bruno Latour.

La montatura nera degli occhiali è un cerchio quasi perfetto. La curva gli incornicia le fessure a semiluna degli occhi e poi scivola via rapida lungo il mento, senza trovare mai uno spigolo e una punta: non ci sono linee rette nè divisioni nette sul viso di Bruno Latour, l'antropologo che non ama i confini tra le discipline.
Se ne sta seduto composto al tavolino tondo di metallo, vestito di grigio ma con una cravatta originale: serio, eccentrico e alla moda allo stesso tempo. Apparentemente assuefatto al cicaleccio dei visitatori, circondato da riviste, sedie dal design ergonomico e schermi multimediali che interrompono il bianco uniforme delle pareti, si presta paziente alla conversazione.
L'IRRAZIONALITÀ DELL'OCCIDENTE. Lo hanno chiamato all'Hangar Bicocca di fondazione Pirelli - l'ex spazio industriale riconvertito dall'azienda a casa milanese dell'arte contemporanea - a dialogare di scienza e arte con Tomás Saraceno, artista argentino, creatore di installazioni futuristiche che riproducono la struttura della materia.
La sua presenza non è strana. Il professore dell'Institut d'études politiques di Parigi ha iniziato da giovane a rovesciare le convenzioni accademiche e mescolare le discipline: al posto di studiare i pigmei, ha analizzato le tribù degli scienziati, la vita nei laboratori e le abitudini dei produttori di certezze matematiche. L'analisi del mondo scientifico gli ha permesso di scoprire tutte le false convinzioni della società occidentale.
LA POLITICA NON FA IL SUO MESTIERE. A 65 anni ha lanciato il suo progetto più ambizioso: scrivere un'intera “antropologia dei moderni”, abbattere tutti i falsi miti e ridisegnare i rapporti tra politica e scienza, scienza e religione, religione ed economia, attraverso un dibattito pubblico e multimediale. E l'Unione europea ha deciso di finanziarlo.
Perché proprio il celebre sovvertitore di schemi? Forse per trovare la bussola dopo anni di crisi economica, o forse addirittura per capire le ragione più profonde di uno stallo che ha investito anche la classe dirigente.
«Le difficoltà dell'attività politica sono talmente grandi che semplicemente i politici hanno abdicato al loro mestiere», spiega Latour a Lettera43.it, a meno di un mese dalle elezioni politiche italiane.

DOMANDA. Come è successo?
RISPOSTA. La politica è stata sempre sottomessa all'idea della scienza: scienza politica, scienza di governo, governance economica. E a un certo punto la politica ha dato alla scienza, all'economia in primis, un ruolo 'superiore'.
D. E qual è il problema?
R. Che la scienza è una versione ridotta della politica.
D. Si spieghi meglio.
R. Per esempio ci si attacca agli economisti. Perché l'economia appare più razionale della politica.
D. E lo è?
R. No, affatto. Solo nella nostra immaginazione.
D. Perché?
R. Una cosa è la disciplina economica, una cosa è la politica economica. Da una parte ci sono regole, teoremi e sistema di calcolo: in due parole, sistemi contabili. E non c'è realtà.
D. E dall'altra?
R. Dall'altra c'è l'economia reale: l'organizzazione particolare delle relazioni tra le persone e i loro beni. E in questo non c'è alcuna vocazione razionale. Tra le due sfere non c'è legame.
D. Facciamo un passo indietro. Cosa c'entra questo con la nostra quotidianità?
R. Il punto è che di fronte a tutti i problemi dell'economia reale, ma anche dell'ecologia, viene utilizzato l'approccio della contabilità.
D. È controproducente?
R. In tutti i maggiori dibattiti scientifici - dal cambiamento climatico al nucleare, dalle biotecnologie agli organismi geneticamente modificati - la stessa comunità scientifica è divisa. E quindi produce risposte politicizzate e frammentate.
D. Quindi nessuna risposta preconfezionata?
R.No, quell'era è finita. La scienza oggi è frammentata e anche politicizzata.
D. Addirittura.
R. In America ci sono gli scienziati repubblicani, al fianco di politici repubblicani, di sindaci repubblicani e di cittadini repubblicani. E poi ci sono scienziati, politici e cittadini democratici.
D. E da noi?
R. Tra Francia e Italia abbiamo un altro esempio: la linea ferroviaria alta velocità Torino-Lione. Ci sono geologi che danno il via libera ai lavori. Altri che dicono: c'è l'amianto in quella montagna, non si può fare.
D. Insomma, nessun fronte compatto.
R. Su questioni fondamentali come quella del clima c'è una controversia aperta. Quindi sono delle battaglie politiche. Se vogliamo cosmologiche, nel senso che riguardano il cosmo.
D. Cioè?
R. Siamo in un mondo inquinato e l'origine dell'inquinamento è l'attività umana. Dobbiamo fare qualcosa? Una domanda come questa divide tutti.
D. Non stupisce.
R. Persino la previsione dei terremoti in Italia divide. A L'Aquila gli esperti hanno detto: state tranquilli, il sisma non ci sarà, state a casa.
D.  ...
R. Cioè hanno esercitato una pressione sulla popolazione che è una decisione politica, ma giustificata dal sapere scientifico.
D. E così le persone si sono fidate.
R. Gli scienziati hanno preso delle decisioni con un certo piacere.
D. Qual era l'alternativa?
R. Se la decisione fosse stata presa da degli uomini politici, avrebbero potuto dire: non c'è pericolo, ma uscite lo stesso. Perché i politici usano il sistema della precauzione. Questo è solo un esempio di un conflitto di autorità. Ma i casi sono sempre più frequenti.

«La vera politica? Né Monti, né Hollande»

D. Se gli scienziati sono politicizzati, cosa succede con gli economisti chiamati a ripianare i dissesti degli Stati?
R. Con l'economia è più semplice: non ci sono due economisti che sono d'accordo tra loro.
D. Quindi?
R. È chiaro che la politica deve riprendere la mano.
D. E invece l'Italia per un anno ha avuto come premier tecnico, l'economista Mario Monti.
R. Monti veniva dopo anni di Berlusconi, dopo anni di un fallimento politico così grande, che è stato utile chiamare un tecnico: è stato strategicamente utile. Ma tutti sanno che Monti ha fatto politica.
D. Allora parliamo di politici veri: Hollande e la tassazione al 75%.
R. La decisione di Hollande non appartiene né alla scienza né alla politica: è stata presa senza alcuna analisi delle conseguenze in seno al partito socialista.
D. Bocciato?
R. Né Monti in Italia né Hollande in Francia rappresentano la condizione migliore della politica.
D. Cioè?
R. In politica da 30 anni a questa parte ci si limita ad avere delle posizioni. Voi siete di sinistra e allora fate così.
D. E che male c'è?
R. Uno può dire sono di sinistra e quindi sono contro il capitalismo. Ma non serve a nulla, se il problema è fare o non fare la Tav.
D. Insomma, non ci sono più regole?
R. È impossibile che solo per il fatto di avere una posizione politica, si sappia come trattare i dossier dell'attualità.
D. Allora è d'accordo con Monti che vuole distruggere destra e sinistra?
R. Destra e sinistra sono dei pacchetti.
D. E tra Stato e mercato?
R. È una guerra di religione.
D. Addirittura.
R. È un'immagine del '900 e nessuno crede che funzioni ancora. Non c'è un mercato unico, ma organizzazioni con interessi diversi e anche contrapposti. E anche il controllo pubblico si declina attraverso istituzioni differenti e indipendenti.
D. Ma allora come ci si orienta?
R. Il bene comune non è qualcosa che sappiamo in anticipo.
Oggi, soprattutto nei Paesi dell'Europa del Sud, abbiamo destra, estrema destra, centro, sinistra ed estrema sinistra, e tutti pensano di sapere perfettamente cos'è il bene comune.
D. Non dovrebbero?
R. Il bene comune è il futuro, non lo si conosce, è l'orizzonte. Per arrivarci però bisogna passare per un processo.

Per raggiungere il bene comune, bisogna ritornare alla tradizione civica

D. Quale?
R. Fare politica è estremamente complesso perché vuol dire mettere in atto una procedura di esplorazione di cosa è il bene comune e poi farlo comprendere a tutti.
D. Come si fa?
R. Bisogna ritrovare un movimento di produzione del politico. È qualcosa di molto ambizioso e assomiglia molto alla sperimentazione. In effetti assomiglia molto alla ricerca scientifica.
D. In che senso?
R.  Bisogna sperimentare. Bisogna smettere di parlare di bene comune in maniera astratta e riniziare a parlare della realtà: cioè degli interessi. Mettere sul piatto gli interessi degli uni e degli altri e discuterne.
D. E poi?
R. Bisogna ricomporre le posizioni e trovare gli spazi di accordo sui problemi concreti.
D. In Italia più che altro la chiamerebbero anti-politica.
R. Dell'anti-politica c'è la versione “Io non voglio partecipare, impegnarmi”. È la vecchia versione.
D. E la nuova?
R. È la mia versione che è pragmatica, ma ha una tradizione illustre.
D. Quale?
R. La tradizione di progettazione civica dei comuni italiani. Bisogna ripartire da lì.
D. E in cosa consiste?
R. Per ogni battaglia bisogna riniziare da capo col lavoro politico, con l'elaborazione del bene comune. È difficile, ma è lo specifico della politica.
D. Crede nella democrazia diretta?
R. Il problema è che quelle che chiamiamo politiche partecipative spesso si riducono a dire sì o no a delle cose che sono già stabilite e che possiamo solo accettare o rifiutare.
D. Insomma, non ci si può accontentare dei referendum.
R. La democrazia non è mettere un like su Facebook, ma esplorare nuovi problemi, proporre nuove questioni.
D. Che futuro immagina?
R. Ci sono milioni di cause e milioni di cittadini. Il futuro sono aggregati di cittadini, scienziati e politici impegnati in cause locali e globali: reti di dibattito con geometrie differenti.
D. Ma alla fine chi detiene il potere?
R. Il potere è già ridistribuito tra i politici e gli esperti dei diversi settori di competenza. Il problema piuttosto è che c'è la tendenza a pretendere la trasparenza in ogni campo.
D. Cioè?
R. Si è diffusa l'idea che il potere non debba trasformare l'informazione. O che l'informazione debba essere pura in ogni campo.
D. In Italia Beppe Grillo sembra interpretare questa tendenza.
R. Beh, i clown conoscono molto bene i segreti delle parole.
D. Cosa intende?
R. La neutralità è un miraggio.
D. Cioè?
R. Gli scienziati devono per forza ricevere finanziamenti per le loro ricerche, quindi non sono puri. I giornalisti non riporteranno mai parola per parola una conversazione, perché nessuno leggerebbe l'articolo. E i politici devono convincere, non elencare dati.
D. Insomma manipolare le informazioni è normale?
R. Sì, se fatto in maniera onesta. D'altronde, non c'è una sola verità, ce ne sono tante. E per arrivare al bene comune devono essere confrontate fra loro.


Arona, un ufo nei cieli


Arona, un ufo nei cieli

Un oggetto volante avvistato in provincia di Novara.


L'avvistamento nei cieli di Arona, in provincia di Novara.


Una normale mattina ad Arona in provincia di Novara si è trasformata in una data da ricordare. Lunedi 4 febbraio intorno alle 12 nei cieli sopra la cittadina qualcuno ha visto qualcosa di strano. Ed è arrivato subito l'allarme ufo.
AVVISTAMENTO RIPRESO COL TELEFONINO. A notare un oggetto in volo di grandezza abbastanza evidente è stata una donna che stava andando a prendere la figlia a scuola. La testimone ha ripreso l'avvistamento con la videocamera del suo cellulare e ha scattato alcune foto (guarda le immagini). 
Non sarebbe la prima volta che in quell'area si registrano presenze "strane" nei cieli: già in passato c'erano stati proprio lì altri avvistamenti sospetti. 
UNA SFERA VOLANTE BIANCA E NERA. La testimonianza della donna è stata raccolta dal team di ufologi diretto da Angelo Carannante del Cufom (il Centro ufologico mediterraneo) e i filmati e le foto consegnate mostrano una sfera volante non identificata colorata per metà di colore bianco e metà di colore nero. A notare l'oggetto sarebbe stato anche un altro passante e la figlia della testimone che ha documentato con immagini il suo avvistamento.
Certo Il fatto che il fatto che si tratti davvero di un ufo è tutto da dimostrare. Sono tanti anche i possibili oggetti, da un pallone metereologico a una mongolfiera, che potrebbero essere stati scambiati da lontano per una navicella spaziale.
LE IMMAGINI NON SONO NITIDE. E anche le immagini riprese dalla testimone oculare non sono nitide.
Ogni anno il numero dei presunti avvistamenti supera quello dell'anno precedente. E gli scettici cercano di smontare l'ipotesi con ipotesi razionali. Ma intanto, almeno per ora, sui cieli di Arona resta il mistero.

Lunedì, 04 Febbraio 2013

A letto con la fidanzata, i parenti di lei lo gettano dal balcone


A letto con la fidanzata, i parenti di lei
lo gettano dal balcone


Un commerciante, Francesco Iorno, di 70 anni, la moglie, Elena Bianchini (55) ed il figlio Efraim (25), sono stati arrestati dai carabinieri a Crotone.


A letto con la fidanzata, 
i parenti di lei
lo gettano dal balcone

Un commerciante, Francesco Iorno, di 70 anni, la moglie, Elena Bianchini (55) ed il figlio Efraim (25), sono stati arrestati dai carabinieri a Crotone. Padre e figlio per tentato omicidio mentre la moglie per lesioni ai danni del fidanzato della figlia. Iorno e la moglie hanno sorpreso la figlia ed il fidanzato in camera da letto. Il ragazzo è stato picchiato e successivamente il padre ed il fratello lo hanno lanciato dal balcone. Il ragazzo è stato ricoverato in ospedale.(ANSA)

Pd & Mps, massoni e Opus Dei. Giannuli: serve l’ergastolo


Pd & Mps, massoni e Opus Dei. Giannuli: serve l’ergastolo


Pene pesantissime per i criminali finanziari: da vent’anni di carcere all’ergastolo, magari anche con il regime speciale del 41/bis, quello dei boss mafiosi. «Pensate che i reati finanziari siano meno pericolosi di quelli di terrorismo e mafia?». E’ la ricetta di Aldo Giannuli per uscire dalla crisi su cui lo scandalo Montepaschi ha aperto una voragine anche mediatica. Fermare la pirateria finanziaria? Col carcere duro, con la messa al bando dei titoli derivati e con la separazione tra banche d’affari al servizio della sola finanza e banche commerciali sane, al servizio dell’economia reale. E per favore: senza più ingerenze da parte della politica. Lo scandalo Mps cade come il cacio sui maccheroni, perché «mette a nudo una serie di questioni di cui proprio non si fa cenno in questa sordida campagna elettorale». Scandalo a orologeria, per ostacolare il Pd? Ovvio. Ma nessuno finga di sorprendersi: era noto a tutti, da anni, che il bubbone sarebbe esploso.
«Che il Mps navigasse fra i guai di titoli obbligazionari basati sul nulla era cosa che si sapeva già da un bel po’», rileva Giannuli nel suo blog, Montepaschiricordando che già da maggio dell’anno scorso i senatori Pancho Pardi ed Elio Lannutti dell’Idv avevano chiesto addirittura il commissariamento della terza banca italiana. «Che la crisiesploda in modo irreparabile proprio ora, a 30 giorni dal voto, non sembra davvero una coincidenza casuale. E si capisce anche che Alessandro Profumo, che di suo non è certo ostile al Pd, per salvarsi, abbia anticipato i tempi di qualcosa che stava per arrivare». Se è vero che Profumo «può prendere le distanze dalla gestione del passato e presentarsi come la persona corretta che svela le magagne dei predecessori», questo però «non significa che il Pd sia una vittima innocente». La gente si è fatta l’idea che il Montepaschi sia “la banca del Pd”? Non è esattamente così, ma forse la realtà è persino peggiore.
Mps, continua Giannuli, ha come suo cuore una fondazione che è espressione del Comune di Siena. La fondazione fu istituita nel 1995 per separare la proprietà pubblica dalla gestione della banca. Come è noto, Siena ha da sempre amministrazioni locali “rosse”: negli anni ruggenti, il Pci rastrellava anche il 60% dei voti. Ancora oggi, le leve di potere sono in mano al Pd, per tramite degli enti locali e della fondazione che li esprime. Stiamo parlando dell’influenza della politica su quello che è ormai il terzo gruppo bancario italiano, dopo l’assorbimento di Antonveneta. «Pertanto – conclude Giannuli – a Siena  si è costituito un complesso centro di potere che associa il locale Pd ad una delle massonerie più importanti d’Italia ed anche a rilevanti pezzi di Opus Dei». Un gruppo di pressione «che ha una sua Lannutti e Pardiautonomia dal Pd nazionale» ed agisce «come un gruppo di pressione a sé stante».
Questo, però, secondo Giannuli «non assolve il gruppo dirigente nazionale» del partito di Bersani, «perché bisogna tenere presente il ruolo del Mps come spina dorsale finanziaria del sistema organizzativo del Pci-Pd che va dagli enti locali tosco-emiliani alla Lega delle Cooperative, all’Unipol ed allo stesso partito, tutti beneficiari della cornucopia senese». Un complicato intreccio politico-finanziario, anticipato dall’ormai leggendaria battuta di Piero Fassino al telefono con l’ad dell’Unipol, Giovanni Consorte: «Allora, siamo padroni di una banca? Facci sognare!». Certo, ammette Giannuli, il Pd nazionale non ha il potere di disporre nomine e linee del Monte dei Paschi, «ma non può essere ignaro di quel che succede a Siena». Insomma: il Pd «Conta troppo poco per decidere, ma abbastanza per sputtanarsi». Si chiama: conflitto di interessi. «Non c’è solo per Berlusconi, che è insieme capo partito e padrone di Mediaset».
Il caso-Siena rivela il cuore del problema: «Tracciare un confine molto netto fra politica e finanza: i partiti facciano i partiti e le banche facciano le banche, pubbliche o private che siano. Anche perché, poi va a finire che non è il partito che dice alla banca quel che deve fare (che sarebbe sbagliato) ma è la banca a dare la linea politica al partito (che è ancora più sbagliato)». L’espediente delle fondazioni? Non ha risolto nulla. «E non servono reazioni scomposte come quella di Bersani che sbraita: “Li sbraniamoooo!!!”». Se vogliamo, l’uscita di Bersani «fa un po’ pena ed è anche controproducente». Se poi da Mps si passa al resto del panorama bancario, si scopre «una melma» da cui è il caso di uscire al più presto, con una netta separazione tra potere politico e finanza: «Il che non significa necessariamente che la finanza debba esse sempre e solo privata (anzi, sarebbe auspicabile un ritorno della finanza pubblica), ma separare nettamente gli interessi e non Fassinocreare “centri di potere misto”», con responsabili di nomina non-politica e pubblicamente controllabili.
Poi, la separazione tra banche di raccolta e banche d’affari: «L’inizio della serie ininterrotta di scandali bancari degli ultimi dieci anni (dal caso Enron a Parmalat, dalla Lehman Brothers a Dexia) in un modo o nell’altro è sempre riconducibile all’infausta decisione degli anni ‘90 di cancellare la separazione fra banche d’affari e banche di raccolta», una norma sciagurata e «criminogena». Come il via libera ai derivati, grazie ai quali Mps si è comportata come tutte le altre banche, scegliendo di «nascondere i propri imbrogli nel tritacarne dei derivati che sono alla base del crack del 2007-8 e che sono ripresi in piena forma, superando il volume pre-crisi». E’ ora di limitare i derivati, o addirittura di vietarli, con norme internazionali. E pene severissime per i crimini finanziari, che – ribadisce Giannuli – non sono certo meno pericolosi dei reati di mafia o di terrorismo

Cremaschi: addio diritti, i sindacati hanno scelto il potere


Cremaschi: addio diritti, i sindacati hanno scelto il potere


Ci sono notizie che durano il tempo di una breve del telegiornale, e poi vengono inghiottite dal bidone aspiratutto degli scandali e della campagna elettorale, mescolati tra loro. L’Istat ci ha comunicato che la dinamica attuale dei salari è la peggiore degli ultimi trent’anni. Questo dato dovrebbe essere alla base di ogni proposta che si fa per affrontare la crisi. Ma non è così. La caduta dei salari è diventata un dato di colore, fa parte dello spettacolo del dolore mostrato in televisione, sul quale meditano e dissertano i candidati. Ma senza che si pronunci la frase semplice e brutale: aumentare la paga! Poco tempo fa il Cnel ha comunicato un altro dato su cui riflettere davvero. Negli anni ‘70 la produttività del lavoro in Italia è stata la più alta del mondo, poi è solo calata. Sì, proprio quando il lavoro aveva più salario e più diritti, “rendeva” di più!
Anche questa notizia è stata rapidamente metabolizzata e poi successivamente ignorata dal sistema politico informativo. Immaginiamo Ettore Petroliniinfatti come sia difficile collegarla alla precedente. La produttività e i salari calano assieme da trenta anni, ma non ci sarà un rapporto tra i due dati? No, una seria analisi su tutto questo non la si può fare, altrimenti bisognerebbe concludere che sono fallimentari tutte, ma proprio tutte le politiche economiche e sociali tese ad agire sulla compressione del costo del lavoro. Insomma tutte le politiche del lavoro di tutti i governi degli ultimi trenta anni hanno concorso a determinare il disastro attuale. E tutte le ricette in continuità con esse, flessibilità competitività blablabla, cioè quelle delle principali coalizioni che si contendono il governo del paese, sono inutili, sbagliate, dannose. Ma tutto questo non avviene, anche perché mancano all’appello coloro che per funzione per primi dovrebbero sollevare scandalo ed indignazione per tutto questo.
Il grande comico Petrolini una volta si trovò in teatro uno spettatore che dalla galleria lo insultava… Ad un certo punto interruppe la recita e si rivolse al disturbatore dicendo: io non ce l’ho con te, ma con chi ti sta vicino e non ti butta di sotto! I grandi sindacati confederali hanno accompagnato con i loro accordi questi trenta anni di ritirata dei salari e del lavoro, a volte ottenendo come scambio vantaggi di ruolo e potere. I lavoratori andavano indietro, ma il sindacato confederale andava avanti sul piano istituzionale. Il disastro dei salari ed il declino economico sono dunque anche figli delle Cremaschipolitiche di moderazione rivendicativa, di concertazione e complicità, che hanno prevalso in questi ultimi trent’anni nel movimento sindacale.
Grazie a queste politiche, per lungo tempo l’organizzazione del sindacato confederale non ha risentito del peggioramento delle condizioni del mondo dellavoro. Finché Monti ha ufficialmente affermato che si poteva fare a meno anche di quello scambio, il consenso sindacale non era più necessario, si potevano massacrare le pensioni senza accordo. Così dopo la ritirata del lavoro è cominciato il vero declino sindacale. Non è vero che i sindacati non servono, ma è vero che il sindacato che pensa di sopravvivere continuando ad accettare le compatibilità e i vincoli economici degli ultimi trenta anni non serve più a niente. Neanche a se stesso.

Perche' non votare Monti Bersani e Berlusconi,B.Mps: Rizzo; Monti-bond e' derivato, rischio buco senza fondo


B.Mps: Rizzo; Monti-bond e' derivato, rischio buco senza fondo





ROMA (MF-DJ)--"C'e' un piccolo emendamento da 4 mld che nessuno sta guardando, che sono soldi nostri. Quello e' un derivato, mica un bond. Se quel buco e' 4 mld oggi, puo' diventare 16 mld domani e tu stai entrando in un matrimonio con un buco di cui non conosci il fondo".

Lo afferma in un'intervista sul sito di Servizio Pubblico, programma di Michele Santoro, Antonio Rizzo, l'ex funzionario della banca d'affari Dresdner sentito oggi a Roma come teste dalla Gdf nell'ambito
dell'inchiesta su B.Mps. "Prendete il testo, leggetelo e fatelo analizzare da uno che fa trading, perche' quell'emendamento non e' scritto da Bankitalia, non e' scritto dal Tesoro, ma e' scritto da un trader" afferma
Rizzo.









Lo psico nano colpisce ancora,adesso tutti parlano di lui


Perché è difficile l'intesa con Berna

Una strada in salita:patto con la Svizzera è ancora da firmare

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C’è un solo modo nel quale può funzionare la proposta di Silvio Berlusconi per coprire i rimborsi Imu: tornare all’opacità che gli italiani hanno già pagato a caro prezzo con la crisi del debito.
L’idea dell’ex premier di finanziare la sua promessa con gli introiti di un patto con la Svizzera, ancora da firmare, non lascia altre possibilità. Proviamo a riassumere. Da mesi l’accordo con Berna per il rimpatrio dei capitali italiani nascosti al Fisco sembra imminente.
A sentire Berlusconi, produrrebbe gran parte delle risorse per rimborsare l’Imu. Ma da mesi la firma continua a slittare. Perché? Non che gli elvetici non abbiano interesse a concludere l’accordo. Dopo i patti con Londra e Vienna, la Svizzera intende mostrare che fa sul serio nel rispetto della convivenza (fiscale) fra Paesi. Eppure resta un aspetto sul quale gli elvetici non sembrano pronti a un passo indietro: il segreto bancario. Fino a oggi l’accordo con l’Italia non si è fatto perché le richieste di trasparenza avanzate dal governo Monti non hanno fatto breccia. Vista dall’Italia, un’insistenza del genere è inevitabile. L’intero Paese sta cercando di mettersi sulla rotta dell’emersione delle transazioni nascoste, condizione necessaria a rendere sostenibile il debito. Concludere un accordo con la Svizzera garantendo l’anonimato a chi ha qualcosa da nascondere di fatto incoraggerebbe certi italiani a spostare i loro averi da qui a lì.
Alla fine, significa depauperare la base fiscale del Paese a danno di chi non può o non vuole sottrarsi. È qui che Svizzera e Italia non si sono intese, finora. Magari ora un nuovo governo ispirato da Berlusconi può anche provare a rimuovere l’ostacolo. Il prossimo esecutivo potrebbe aver bisogno urgente dei nuovi fondi scudati per rimborsare l’Imu, dunque potrebbe rinunciare a pretendere trasparenza. La vicenda del Monte dei Paschi, solo l’ultima in ordine di tempo, non deve aver proprio insegnato niente. I coni d’ombra sono il modo migliore per produrre rendite parassitarie di ogni tipo: le stesse che i cittadini finiscono invariabilmente per pagar caro, perché aumentano il debito e aggravano la paralisi dell’economia. La disoccupazione e gli aumenti delle tasse nascono da lì. C’è poi un dettaglio: il gettito dell’Imu nel 2012 è stato di 24 miliardi. Improbabile che i fondi recuperabili dalla Svizzera bastino a coprire una somma del genere, anche solo per un anno. Ma queste sono miserie contabili da lasciare ad altri: quelli che, se certe idee diventassero realtà, dovrebbero (fra non molto) ripianare un altro buco.