mercoledì 6 febbraio 2013

Turismo:oltre 60% imprese non investira'


Turismo:oltre 60% imprese non investira'

Resta il Nordest il piu'dinamico. Ristoratori i piu' preoccupati



(ANSA) - ROMA, 6 FEB - Ben oltre la meta' delle imprese turistiche (il 64%) quest'anno non fara' alcun investimento, un altro 30% si dice incerto. Resta intenzionato a rischiare solo uno scarso 9%. La previsione e' dell'Isnart, che conferma nel Nordest l'area piu' solida. Del resto, e' quella che ricorre piu' facilmente al credito bancario, al contrario del Sud che fa ricorso soprattutto all'autofinanziamento. Tra i ristoranti, la quota di chi non effettuerà gli investimenti è particolarmente elevata: 66% circa.

Turchia: Erdogan,senza Ue non fine mondo


Turchia: Erdogan,senza Ue non fine mondo

Premier a Budapest, mancanza di rispetto verso Ankara


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ANSA) - ANKARA, 6 FEB - Nuove dichiarazioni del capo del governo turco Recep Tayyip Erdogan sulla candidatura all'Ue: in visita a Budapest ha spiegato ai cronisti turchi che lo accompagnano che l'Unione ''non e' un must'' per la Turchia e che ''non e' la fine del mondo'' se Ankara rimane fuori. ''Siamo stati pazienti tutto questo tempo. Ma dove siamo arrivati?'' ha chiesto polemicamente. ''Qualche altro Paese e' stato trattato cosi? No. E' una mancanza di rispetto verso la Turchia'', ha aggiunto.










Rifiuti:in Campania'danni incalcolabili'


Rifiuti:in Campania'danni incalcolabili'
E' il giudizio della Commissione parlamentare sulle ecomafie


(ANSA) - ROMA, 6 FEB - L'apparato amministrativo in Campania ha favorito "in larga parte interessi sostanzialmente illeciti".

E' quanto si legge nella relazione sugli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti in Campania approvata all'unanimità dalla Commissione parlamentare d'inchiesta presieduta da Gaetano Pecorella. In Campania l'inquinamento ha prodotto "danni incalcolabili, che graveranno sulle generazioni future". (ANSA).

'Ndrangheta: condannato giudice Giglio


'Ndrangheta: condannato giudice Giglio

processo Milano,4anni 7mesi. A consigliere Morelli 8anni e 4mesi



(ANSA) - MILANO, 6 FEB - L'ex magistrato del tribunale di Reggio Calabria Vincenzo Giuseppe Giglio, e' stato condannato a 4 anni e 7 mesi di carcere nel processo milanese sulla 'ndrangheta. I giudici hanno anche condannato a 8 anni e 4 mesi il consigliere regionale calabrese del Pdl Franco Morelli. Per Giglio disposta l'interdizione per 5 anni dai pubblici uffici, per Morelli l'interdizione perpetua. Riconosciuto un risarcimento di 1 milione e 400 mila a favore del Comune di Milano che si e' costituito parte civile.

Presidente !! L' Amnistia?'Napolitano sulle carceri in gioco l'onore dell'Italia


Napolitano sulle carceri in gioco l'onore dell'Italia

A San Vittore, 'Situazione gravissima. Stato non rispetta Costituzione, per umanita' e funzione'


Carceri, Napolitano: 'in gioco l'onore del Paese



Milano - Napolitano: 'sulle carceri la situazione e' gravissima, in gioco l'onore dell'Italia'. Riprendendo le parole del presidente del Dap, Tamburrino, il capo dello Stato ha spiegato che sul sistema carcerario italiano è in gioco "una delle condizioni essenziali dello Stato di diritto". Ma, ha aggiunto Napolitano, "sono in gioco, debbo dire nella mia responsabilità di presidente della Repubblica, il prestigio e l'onore dell'Italia".
"Nessuna parte vorrà negare gravità ed emergenza della questione carceraria". Lo dice Giorgio Napolutano parlando nel carcere di San Vittore.
LO STATO NON RISPETTA LA COSTITUZIONE "La mancata attuazione delle regole penitenziarie europee conferma la perdurante incapacità del nostro Stato a realizzare un sistema rispettoso del dettato dell'artico 27 della Costituzione sulla funzione rieducativa della pena e sul senso di umanità". Così il presidente Napolitano in visita al carcere di San Vittore.
Il tema delle carceri, del loro estremo sovraffollamento, deve essere valutato "da qualsiasi parte politica con serenità, senza pregiudiziali liquidatorie". Lo ha detto il presidente Napolitano oggi a S.Vittore. E' quindi una questione che deve essere ben presente "a tutte le forze politiche e anche - ha aggiunto il presidente - ai cittadini-elettori nel momento in cui il nostro popolo è chiamato ad eleggere un nuovo Parlamento".
 I "prolungati ritardi" nelle nomine dei capi degli uffici giudiziari hanno una "pesante ricaduta" sul "prestigio del Csm". Così il Capo dello Stato Giorgio Napolitano nella lettera che ha inviato al vicepresidente del Csm Michele Vietti e di cui sarà data tra poco lettura nel Plenum di Palazzo dei Marescialli. Dall'esame dell'attività del Consiglio - scrive Napolitano - ho potuto constatare che vi sono molti posti vacanti di livello direttivo e semidirettivo, anche di importanti uffici giudiziari. E' quindi evidente che l'espletamento delle procedure per il conferimento dei relativi incarichi subiscono rilevanti ritardi e non rispondono, in ogni caso, ai tempi previsti nelle risoluzioni che lo stesso Consiglio si è dato". "La scopertura prolungata degli incarichi di vertice - sottolinea il capo dello Stato - comporta ricadute negative sul buon andamento (art.97 della Costituzione) degli uffici giudiziari e sull'ordinato ed efficiente svolgimento dei procedimenti di loro competenza". Napolitano ricorda di aver "negli ultimi anni più volte richiamato alla pesante ricaduta che, in generale, prolungati ritardi nelle decisioni di nomina - riferibili anche al trascinarsi di contrasti e/o tentativi di accordo tra le diverse componenti della rappresentanza della magistratura in seno al Csm - hanno sul prestigio dell'istituzione". "Ritengo pertanto che si renda necessaria un'urgente accelerazione delle procedure attraverso la puntuale e rigorosa osservanza dei tempi stabiliti dalle norme e dalle risoluzioni dello stesso Consiglio superiore" conclude il presidente della Repubblica, confidando nel fatto che Vietti "non mancherà di assumere ogni opportuna iniziativa per porre rimedio a tale situazione".
RITARDI PER CONTRASTI CORRENTI  I "rilevanti" ritardi nelle nomine dei capi degli uffici giudiziari da parte del Csm sono "riferibili anche al trascinarsi di contrasti o tentativi di accordo tra le diverse componenti della rappresentanza della magistratura in seno al Cms". Lo sottolinea Napolitano nella lettera che il vicepresidente Vietti sta per leggere.
REGGIO CALABRIA SENZA PROCURATORE DA 11 MESI Sono passati ormai 11 mesi da quando, il 9 marzo 2012, Giuseppe Pignatone lasciò la poltrona di procuratore di Reggio Calabria per andare a dirigere la Procura di Roma, ed ancora il suo posto è vacante. La Procura reggina, il cui Consiglio comunale è stato sciolto per contiguità mafiose nelle scorse settimane, attualmente è retta da Ottavio Sferlazza, il procuratore aggiunto più anziano tra i tre in servizio. Gli altri due, Michele Prestipino e Nicola Gratteri sono tra i candidati, interni, alla carica di procuratore alla quale concorrono magistrati di varie procure italiane. Tra gli esterni figura, tra gli altri, il procuratore aggiunto di Napoli Federico Cafiero De Raho. E' proprio Cafiero De Raho il favorito a sostituire Pignatone. Nulla è ancora definito, ma si fa sempre più consistente la pista che porta al magistrato napoletano. La quinta commissione del Csm si è infatti pronunciata a suo favore: nella votazione, il procuratore aggiunto della Dda di Napoli ha avuto sei voti, mentre gli attuali procuratori aggiunti di Reggio Prestipino e Gratteri e il procuratore di Caltagirone Francesco Paolo Giordano ne hanno ottenuto uno ciascuno. La parola finale spetta ora al Plenum del Csm.

Ecco perche' Votare ad Ingroia,per evitare il grande inciucio capeggiato da D'Alema


Monti-Pd, prove di alleanza

Il Prof apre a una grande coalizione. E anticipa l'abbassamento di Irpef e Irap. Bersani: «Pronti a collaborare».

Un riavvicinamento improvviso. Inaspettato, soprattutto se letto alla luce delle ultime schermaglie.
Pier Luigi Bersani e Mario Monti tornano a parlare, pur con i condizionali del caso, di un'alleanza post-elezioni.
Il primo passo in avanti porta la firma del Professore che, nel corso dell'intervista aLa Stampa del 5 febbraio, ha ipotizzato che, dopo il voto, al governo dell'Italia possa andare una «grande coalizione». E ancora: «Sarò disponibile ad alleanze con tutti coloro che saranno impegnati in riforme strutturali».
UNITI CONTRO IL CAV. Parole che non sono sfuggite al segretario del Partito democratico (Pd). Nonostante sia a Berlino, Bersani ha subito colto la palla al balzo: «Noi siamo prontissimi a collaborare con tutte le forze contro il leghismo, contro il berlusconismo, contro il populismo. E quindi certamente possiamo farlo anche con il professor Monti», ha chiarito, spiegando poi le motivazioni di una eventuale alleanza. «Monti è arrivato da solo. Era il professor Monti. Gli abbiamo dato noi la maggioranza. Lo abbiamo voluto noi».
Da Pordenone, nel pomeriggio, il premier ha detto di «apprezzare ogni apertura e disponibilità, comprese le parole di Pier Luigi Bersani».
«I SINDACATI NON PARALIZZINO IL PAESE». Anche sui sindacati la posizione del leader democratico appare più simile che mai a quella di Monti. «Certo io ascolto i sindacati. Ascolto anche gli imprenditori, perché se ascolti fai meno errori, ma se sai dove devi andare ci arrivi», ha spiegato Bersani parlando al Dgap, aggiugendo però: «Credo al dialogo sociale ma credo anche che non debba paralizzare le decisioni e credo che questo sia possibile anche in Italia».
E proprio la scelta di Berlino, terra di Angela Merkel, dove Bersani è andato anche ad intensificare i rapporti, fa pensare a un ulteriore passo europeista di avvicinamento fra Monti e il segretario Pd.
«BERLUSCONI? MA QUALE SORPASSO...». Bersani a Berlino si è rivolto a una platea di tedeschi, per spiegare il rapporto con il premier del governo tecnico. «Abbiamo affrontato insieme il popolo per le riforme ci sentiamo protagonisti nel bene e nel male di questo anno e mezzo. Ora bisogna andare avanti e fare le elezioni, come in tutti i Paesi». Attualmente con il Prof ci sono però «schermaglie elettorali».
E sui nuovi sondaggi - sbandierati dal Cav - che vedrebbero il centrodestra in rimonta sul centrosinistra, Bersani ha minimizzato. «Berlusconi più la Lega sono una forza che arriva al 24%. Di questo si tratta, e quindi di una forza non tanto lontana dalle destre di altri paesi europei come la Francia».

Usa, gli hacker attaccano la Federal Reserve


Usa, gli hacker attaccano la Federal Reserve

Violato un sito web della Banca. Diffusi i dati di 4 mila dirigenti.


Anche la Fed è finita nella rete degli hacker, proprio mentre il governo americano inasprisce le regole d'ingaggio della sua cyberguerra.
Un sito Internet interno della Banca centrale statunitense è stato attaccato da pirati informatici che hanno «ottenuto informazioni» custodite nella banca dati dell'istituto.

RIVENDICAZIONE DI ANONYMOUS. Lo ha reso noto la sera del 5 febbraio la stessa Fed. L'ammissione ha seguito un annuncio da parte di hacker legati al gruppo di attivisti Anonymous secondo cui la Fed era stata presa di mira e dati personali su oltre 4 mila dirigenti erano stati sottratti e pubblicati sulla Rete.

«La Federal reserve è a conoscenza del fatto che informazioni sono state ottenute sfruttando una vulnerabilità temporanea in un sito web» interno, ha detto un portavoce della banca centrale, sottolineando che l'episodio «non ha avuto alcun impatto sulle attività vitali» della banca.

ISTITUZIONI E MEDIA SOTTO ATTACCO. La Fed non ha fornito ulteriori dettagli ma sembra che il sito colpito serva da collegamento interno con le sedi della Fed nei vari stati Usa in caso di disastri naturali.

L'infiltrazione del 5 febbraio è arrivata dopo numerosi attacchi negli Usa che hanno preso di mira banche, istituzioni, i principali quotidiani del Paese, il sito del social network Twitter e 'motori di ricerca' come Google.
Da parte sua, la Casa Bianca è in dirittura d'arrivo nell'elaborazione del primo manuale di regole sulla catena di comando per la cyber-war, mentre il Pentagono continua a potenziare il suo cyber-arsenale.

Obama sei un grande Presidente,mi piacerebbe che qualche politico italiano ti seguisse Debito, basta ricatti: Obama dichiara guerra a Wall Street,


Debito, basta ricatti: Obama dichiara guerra a Wall Street


La Casa Bianca dichiara guerra alla finanza speculativa: clamorosa la decisione di Barack Obama, che chiederà 5 miliardi di dollari all’agenzia di rating “Standard & Poor’s” a titolo di risarcimento per i danni causati dalla crisi dei mutui subprime: secondo il governo, il colosso del rating avrebbe ampiamente “gonfiato” le valutazioni di alcuni mutui ipotecari, pur essendo a conoscenza dei rischi che di lì a poco avrebbero scatenato l’inferno della più profonda recessione dagli anni della Grande Depressione. Finora, gli unici politici ad aver messo alla berlina lafinanza erano stati gli islandesi, giunti a spedire in galera 9 banchieri accusati del crack del 2008, mentre in Italia – contro le agenzie di rating – si sono mossi i giudici di Trani, secondo cui “Standard & Poor’s” e “Fitch” avrebbero provocato un danno all’Italia stimato in 120 miliardi di euro, generato da analisti finanziari incompetenti e notizie manipolate “a orologeria”, per arrivare alla “tempesta dello spread” che ha insediato il governo Monti su mandato di Bruxelles per conto della finanza internazionale.
 
Senza precedenti l’offensiva di Obama, dopo anni di indagini sulle responsabilità non solo di “Standard & Poor’s”, ma anche delle altre due Barack Obamagrandi agenzie, “Moody’s” e “Fitch”. Contro “S&P” le autorità di Washington hanno deciso di lanciare un’azione civile sia federale che a livello di molti singoli Stati. «Tutto ciò – scrive “La Stampa” – mentre il presidente americano, Barack Obama, appare fortemente intenzionato ad andare fino in fondo anche con la riforma di Wall Street, nonostante le mille resistenze». Lo dimostra anche la recente scelta di aver messo a capo della Sec (la Consob americana) un’ex procuratore, uno “sceriffo” per garantire che le nuove regole nel settore finanziario vengano realmente attuate e applicate.
Cuore del sistema finanziario mondiale, le agenzie di rating sono accusate di “truccare” le informazioni che vendono agli investitori, interessati all’acquisto di titoli privati o di Stato. Mentre gli investitori chiedono garanzie di solvibilità, gli emittenti di titoli – in cerca di liquidità – puntano ad avere dalle agenzie di rating referenze positive, cioè la “pagella” che renda i loro titoli appetibili sul mercato. Problema: anche se vestono i panni dell’arbitro, le agenzie di rating sono responsabili dell’“impazzimento”della finanza internazionale, che proprio attraverso continue manipolazioni organizza colossali speculazioni quotidiane, anche a danno di interi popoli. Se ne sono accorti i magistrati di Trani, secondo cui le agenzie hanno aggravato ad arte la percezione della crisiitaliana, condannando il paese Standard & Poor'sall’emergenza interpretata dal rigore di Mario Monti che sta letteralmente piegando il paese.
A livello internazionale, c’è il clamoroso precedente dell’Australia: dove la stessa “Standard & Poor’s” è stata condannata a risarcire 24 milioni di euro per valutazioni errate espresse nell’attività di rating. La causa australiana è stata innescata da una class action, un’azione collettiva, simile a quella condotta dall’Islanda contro i banchieri “infedeli”: nove alti funzionari di banca ritenuti responsabili del crack del 2008 sono finiti dietro le sbarre. Contrariamente a quanto avviene nel resto del mondo – ad esempio negli Usa, dove Goldman Sachs (almeno finora) ha potuto fare il bello e il cattivo tempo influenzando i mercati finanziari di tutto il pianeta – in Islanda non si sono limitati ad attribuire colpe e responsabilità, ma hanno scelto di far pagare la crisi a chi l’ha provocata, senza far gravare i costi sulle spalle dei cittadini.
Assorbiti dalla riscrittura della Costituzione con un metodo orizzontale e partecipativo, gli islandesi hanno anche deciso di liberarsi dall’ingerenza del Fondo Monetario Internazionale, l’altra istituzione europea che – insieme alla Bce e alla Commissione di Bruxelles – è direttamente responsabile della catastrofe recessiva che sta affondando la Grecia e minacciando seriamente Spagna, Portogallo, Irlanda e Italia. «I risultati della silenziosa rivoluzione in Islanda sono tangibili», osserva “WakeUp News”: «Il popolo, attraverso un referendum, ha vietato allo Stato di farsi carico dei debiti contratti dalle banche a causa dei banchieri speculatori, definendo il debito “detestabile” – cioè un debito contratto dallo Stato che non porta al popolo nessun vantaggio, ma solo penalità – e quindi non esigibile».
Fine del ricatto del debito pubblico impugnato come alibi per imporre misure di austerity: è la stessa trincea nella quale ora si impegna nientemeno che il presidente degli Stati Uniti, deciso ad evitare a tutti i costi una soluzione “europea”, cioè la riduzione del debito attraverso tagli selvaggi alla spesa pubblica che, come da noi sta già avvenendo, metterebbero in ginocchio anche il settore privato e quindi l’intera economia nazionale. Tagli Draghi e Montiche, negli Usa, «finirebbero inevitabilmente per penalizzare molti servizi e per rallentare la già timida ripresa dell’economia», osserva “La Stampa”.
Evitare il baratro del “fiscal cliff” e il taglio automatico di 85 miliardi di dollari destinati alla spesa pubblica? Obama può farlo, se il Parlamento glielo consentirà, perché gli Usa dispongono di moneta sovrana: possono continuare ad emettere dollari a costo zero attraverso la Fed, a differenza dei paesi dell’Eurozona, costretti ad elemosinare l’euro della Bce – a tasso di usura – attraverso il sistema finanziario privato. E’ l’euro-catastrofe che in Europa si traduce nella follia del Fiscal Compact e del pareggio di bilancio: lo Stato costretto a non investire più sui servizi vitali per la cittadinanza, condannando anche le imprese – e quindi le famiglie, i redditi, i consumi – alla spirale regressiva della depressione. E, mentre i politici italiani si allineano ai diktat di Bruxelles, la Casa Bianca sembra intenzionata a sferrare un’offensiva storica contro i parassiti della finanza.

Finmeccanica, la super-holding per la guerra che ci attende


Per metà “bancomat” destinato ad alimentare il sistema di corruzione politico nazionale, e per metà centro dispensatore di incarichi, consulenze e prebende per mogli, amanti e figli dei potenti di turno. Dopo la Fiat, Finmeccanica è la seconda holding industriale d’Italia: produce aerei, elicotteri, locomotive, carri armati, missili, satelliti e centri di telecomunicazione, con una spiccata vocazione per gli strumenti di morte da esportare ad ogni esercito in guerra. Dal 2009 è tra le dieci regine del complesso militare industriale mondiale e ha intrecciato partnership con i giganti d’oltreoceano moltiplicando ordini e commesse. Una gallina dalle uova d’oro per manager e azionisti, inclusi il ministero dell’economia e delle finanze, che ancora controlla il 30,2% del pacchetto azionario.
E’ il ritratto che di Finmeccanica traccia Antonio Mazzeo nel suo blog, in un intervento ripreso da “Megachip”: «Grazie ad un complesso meccanismo di Il caccia F-35scatole cinesi, rigorosamente con sedi all’estero, Finmeccanica gode d’immensi privilegi fiscali al limite dell’evasione», finendo anche al centro di indagini giudiziarie «come quella sugli affari a suon di tangenti tra l’Enav, l’ente nazionale per l’assistenza al volo, e la controllata Selex Sistemi Integrati che ha costretto il potente amministratore delegato di Finmeccanica Pier Francesco Guarguaglini e la moglie Marina Grossi (ad di Selex) ad abbandonare prematuramente i profumatissimi incarichi». Il successore di Guarguaglini, Giuseppe Orsi, «è indagato per corruzione internazionale e riciclaggio relativamente alla fornitura di 12 elicotteri Agusta-Westland alle forze armate dell’India», una commessa che secondo i magistrati romani avrebbe comportato il versamento di tangenti per 41 milioni di euro ad alcuni funzionari indiani e di 10 milioni alla Lega di Bossi.
Sempre a Roma s’indaga sulle presunte tangenti versate durante la vendita al Comune di bus prodotti da Breda-Menarini, altra controllata Finmeccanica. E pure sulle consulenze “inutili” che sarebbero state affidate a Lisa Lowenstein, cittadina statunitense ed ex moglie di Vittorio Grilli, ministro dell’economia del governo “tecnico” diMario Monti. Nello scorso ottobre è stato ordinato l’arresto dell’ex direttore commerciale di Finmeccanica, Paolo Pozzessere, nell’ambito dell’inchiesta sulle presunte tangenti per la vendita di aerei ed elicotteri a Panama e Russia e, con Fincantieri, di unità navali al Brasile (nelle indagini è stato coinvolto anche l’ex ministro Claudio Scajola), mentre un mese prima era finito in manette Pierluigi Romagnoli, ex manager Alenia-Finmeccanica e responsabile export di Eads, il consorzio internazionale di cui l’holding è socia nella produzione dei cacciabombardieri “Eurofighter Typhoon”. Romagnoli è stato accusato diVittorio Grillibancarotta fraudolenta e riciclaggio: nel mirino degli inquirenti, la vendita sospetta di 15 aerei alle forze armate austriache.
«L’ultimo anno – continua Mazzeo – è stato uno dei più difficili della storia di Finmeccanica anche dal punto di vista economico-finanziario». Nel 2011 l’azienda ha perso due miliardi di euro, contro il mezzo miliardo guadagnato nel 2010. Ordini in calo e occupazione a picco: nell’ultimo biennio, Finmeccanica è passata da 75.000 a 69.000 dipendenti, con un indebitamento che supera i 4 miliardi e mezzo mentre il valore delle azioni è precipitato a 3,8 euro, contro i 21,2 di cinque anni prima. «A complicare il quadro è giunta qualche settimana fa la notizia del declassamento del rating dell’azienda da parte di “Moody’s”», relativo alla capacità di ripagare i debiti a breve termine. Crisi accelerata dalla scelta di puntare tutto sul settore degli armamenti, sostiene Mazzeo. Nonostante ciò, l’ultimo piano di rilancio aziendale scommette quasi esclusivamente nel settore aerospaziale e delle telecomunicazioni militari. Tra gli obiettivi a breve e medio termine: la dismissione delle aziende del settore energetico (sprerando di ricavarne un miliardo di euro), il taglio di oltre 900 dipendenti nelle industrie aeree e l’emissione di “corporate bond” per 750 milioni di euro, «misura che sovraesporrà debitoriamente l’holding con il sistema bancario».
Intanto proseguono le ristrutturazioni e le fusioni aziendali nel settore a prevalente produzione bellica. Il polo aeronautico (Alenia e Armacchi) sforna velivoli come i caccia “Tornado” ed “Eurofighter”, ed è capo-commessa per l’Italia del contrioverso F-35, mentre partecipa allo sviluppo di un nuovo drone, l’Ucav. Nel settore degli elicotteri militari, la holding conta su Augusta-Westland, che produce velivoli d’assalto come l’A-129 “Mangusta”. Grazie ad Oto Melara, Finmeccanica controlla inoltre una fetta del mercato internazionale delle artiglierie navali e terrestri, dei carri armati, dei blindati e dei sistemi antiaerei. Attraverso le controllate Selex-Galileo, il gruppo si è affermato nel business dell’elettronica e dei sistemi di comando, controllo, comunicazioni e intelligence, mentre il settore spaziale è coperto Telespazio, joint-venture con la francese Thales, tra i principali operatori mondiali nella gestione di satelliti, civili e militari. Altra joint-venture di importanza strategica è Mbda, azienda leader nella produzione di dronesistemi missilistici, dove Finmeccanica è presente insieme ai colossi europei Bae Systems e Eads.
«Nonostante l’ampio ventaglio di clienti internazionali (compresi quei paesi che dovrebbero essere posti sotto embargo perché belligeranti o violatori dei diritti umani), nell’ultima decade è cresciuto il pressing e il corteggiamento dei dirigenti di Finmeccanica verso l’Alleanza Atlantica e il suo paese-guida, gli Stati Uniti d’America». E gli affari non sono certo mancati, racconta Mazzeo: forniture di supporto per “Eurofighter” e “Tornado”, programmi avanzati di sicurezza cibernetica, sviluppo di centri di telecomunicazione satellitare in Belgio, Grecia e Turchia. “Made in Italy” anche l’avanzato sistema “Nacma” per siti terrestri in tutta Europadestinati al controllo dello spazio aereo e, sempre in ambito Nato, Finmeccanica è in corsa per aggiudicarsi una porzione consistente del business relativo all’acquisizione di nuovi sistemi di comando, telecomunicazione e intelligence per la gestione di missili balistici.
Sistemi radar “made in Italy” per la «costruzione di un’architettura anti-missili balistici» sarebbero stati testati «con successo» lo scorso settembre, quando sono stati provati anche i «sistemi di difesa da missili superficie-aria a medio raggio» di coproduzione franco-italiana e il nuovissimo “Principal Anti Air Missile System” (Paams), il sistema di armi anti-aeree che sarà installato a bordo delle fregate europee di nuova generazione “Horizon”. «L’holding italiana – prosegue Mazzeo – si è preparata da tempo all’appuntamento con lo scudo anti-missili che la Nato intende dislocare anche “fuori dai confini geografici dell’alleanza” per la “protezione” delle unità impegnate in operazioni internazionali». Nel settembre 2005, Finmeccanica è entrata a far parte di Alliance Shield, un consorzio di cui fanno parte anche Bae Systems e Lockheed Martin. Dello stesso periodo il consolidamento della partnership di Finmeccanica con il colosso missili navalistatunitense delle armi, produttore dell’F-35 e del sistema anti-missile “Meads”, destinato a sostituire i “Patriot”.
Mentre Finmeccanica accede alle commesse del Pentagono, tutti i governi italiani – Prodi, Berlusconi, Monti – concedono il territorio per installazioni militari per il riarmo di Washington: dalla base Dal Molin di Vicenza a Sigonella, “capitale mondiale dei droni”, senza contare i comandi Us Africom di Vicenza e Napoli e il controverso impianto Muos di Niscemi, di cui proprio Lockheed è il principale contractor. «Una specie di do ut des, commesse in cambio di basi, facilitato dall’incondizionato sostegno italiano agli interventi Usa e Nato in Afghanistan e Iraq nel nome della “lotta al terrorismo” internazionale», sottolinea Mazzeo. Dopo che l’ammiraglio Giampaolo Di Paola, ora ministro, fu promosso a capo di Stato maggiore della difesa nel 2004, l’Italia ha accolto le maggiori richieste di Washington, come quella di installare in Sicilia il Muos e “Global Hawk”, trasformando l’intera penisola «in piattaforma avanzata per le nuove operazioni delle forze armate nel continente africano».
La sapiente tessitura di relazioni politiche, diplomatiche, militari e industriali – aggiunge Mazzeo – sarà premiata nel 2008 dalla firma del trattato siglato da Ignazio La Russa e Robert Gates, in base al quale «ogni governo dà accesso al suo mercato della Difesa all’industria dell’altro paese», standardizzando procedure, forniture e sistemi d’arma. Ma quello che era stato festeggiato come un affare da 6-7 miliardi di dollari, continua Mazzeo, rischia di trasformarsi in un flop: commesse a rilento, dopo i tagli decisi da Obama, che ha irrigidito la politica protezionista per fronteggiare la crisi americana oppure imposto clausole-capestro come nel caso dell’acquisizione della Drs Technologies, una delle maggiori fornitrici alle forze armate Usa di apparecchiature di comando e controllo su mezzi terrestri e aeronavali. Per impossessarsene, Finmeccanica ha dovuto sborsare miliardi lasciando però il controllo dell’azienda agli americani, padroni assoluti delle “informazioni  sensibili”, i segreti militari che, di fatto,Giampaolo Di Paolaconfermano la nostra sudditanza rispetto alle scelte strategiche degli Usa.
«La progressiva americanizzazione del complesso industriale militare nazionale è confermata pure dalla scalata azionaria di importanti fondi d’investimento privati Usa», conclude Mazzeo. Meno di un anno fa, tra i maggiori azionisti di Finmeccanica comparivano Tradewinds Global Investors, Deutsche Bank, BlackRock e Grantham Mayo Van Otterloo & Co. Ad essi vanno aggiunti società e fondi-pensione statunitensi che detengono rilevanti pacchetti azionari. «Insieme, il capitale finanziario a stelle e strisce dovrebbe controllare già più del 18% della sempre meno italiana Finmeccanica». Di contro, a riprova del processo di globalizzazione di quello che ormai legittimamente può essere definito il complesso militare-finanziario-industriale, i gruppi bancari italiani più importanti, contestualmente azionisti e creditori di Finmeccanica – attraverso una moltitudine di fondi flessibili, bilanciati e misti – hanno fatto incetta di importanti quote azionarie dei colossi bellici Usa come Lockheed Martin, Northrop Grumman, Boeing, General Electric, L-3 Communications. «Un’evoluzione dei mercati che nell’ultima decade ha reso sempre più inestricabile la partnership di guerra Italia-Stati Uniti d’America».

Pedofilia LA chiesa si autodenuncia..finanlmente


PRETI PEDOFILI, 600 DENUNCE L' ANNO


Pedofilia chiesaI dati della Congregazione per la Dottrina della Fede: il picco di denunce di abusi sessuali in tutto il mondo nel 2004. Molti casi nel periodo tra 1965 e 1985. 

Le denunce per abusi sessuali compiuti in tutto il mondo da ecclesiastici hanno raggiunto nel 2004 il numero di 800, e negli anni successivi si sono attestate sui 600 casi all'anno, ma molte riguardano episodi vecchi fino a 40 anni prima.
Lo ha reso noto il nuovo promotore di giustizia della Congregazione per la Dottrina della Fede, padre Robert W. Oliver, specificando che «in maggioranza le denunce riguardano abusi commessi dal 1965 al 1985».
Incontrando i giornalisti, il successore di monsignor Charles Scicluna, ha ricordato che la Congregazione è competente per i delitti più gravi
e che nel 2011 aveva inviato una lettera con indicati i criteri per redigere le "linee guida" da seguire nella lotta agli abusi per aiutare le Conferenze Episcopali «nello spirito di servizio proprio della Curia Romana, secondo quanto stabilisce la Pastor Bonus».
E questo, ha precisato, «seguendo la visione di Papa Benedetto che ci ha indicato le priorità con una precisa indicazione riguardo alle urgenze: assistenza delle vittime, protezione dei minori, formazione nei seminari, supporto agli abusatori e collaborazione alle autorità civili». 

Ecco perche' nonn votare Monti Berlusconi e BersaniMilano, il presidente di “Sos racket” si dà fuoco davanti alla Rai: è grave,


Milano, il presidente di “Sos racket”
si dà fuoco davanti alla Rai: è grave


I soccorritori davanti alla sede della Rai a Milano

Frediano Manzi si è cosparso
il copro di benzina. In un biglietto
le motivazioni del suo gesto:
«Lo faccio per le vittime dell’usura»
MILANO
Il presidente di una delle più note associazioni antiracket, Frediano Manzi, si è dato fuoco questa sera davanti alla sede della Rai a Milano in Corso Sempione. Manzi, Coordinatore dell’associazione Racket e Usura, versa in gravi condizioni.  

Frediano Manzi, secondo una prima ricostruzione dei carabinieri, che sono giunti in Corso Sempione con il 118 e i vigili del fuoco, si è cosparso di benzina e si è dato fuoco davanti all’ingresso della Rai, poco dopo le 20.30. Al momento i medici del 118 stanno cercando di stabilizzare le sue condizioni a bordo di una ambulanza. A terra sul marciapiede, il presidente di Sos Racket e Usura, noto per alcune denunce che hanno dato vita a diversi filoni di inchiesta sul racket a Milano e altrove, presentava vaste ustioni a braccia e torace. 

«Ho deciso di darmi fuoco per portare l’attenzione delle istituzioni su tutte le vittime dell’usura». 
Con queste parole comincia una lettera lasciata da Frediano Manzi, presidente di Sos Racket e Usura, nella sede della Rai di Milano, poco prima di darsi fuoco. Una pagina in stampatello che ora è stata acquisita dai carabinieri.