giovedì 14 febbraio 2013

Meditate ..Meditate


Meditate ..Meditate



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Figli e padri disoccupati


Figli e padri disoccupati.L’Italia trema per il suo “sistema famiglia”





Salvatore parla quattro lingue. Ha lavorato in tre continenti e messo in piedi in Ecuador un lussuoso ristorante italiano. Oggi a sfamare sua moglie e suo figlio di venti mesi sono però gli aiuti della Caritas.
“Qui in questa busta c‘è praticamente il nostro mese di sopravvivenza – dice mostrandoci il pacco appena ritirato nella parrocchia milanese di SS. Nebore e Felice -. Ma quello che mi interessa di più sono queste cose per il bimbo”.
Salvatore è uno dei quasi 2,9 milioni di disoccupati censiti a dicembre in Italia. La cifra, aumentata dell’1,8% in un anno, spaventa gli esperti per possibili conseguenze, come il crollo del sistema di solidarietà basato sulla famiglia, che ha finora permesso di evitare il peggio.
“Per l’Italia, la Spagna e i paesi mediterranei che hanno fatto tradizionalmente affidamento alla famiglia come come rete di protezione – spiega Ian Ross Macmillan, direttore del Centro di ricerca Dondena sulle dinamiche sociali dell’Università Bocconi -, fa davvero la differenza se c‘è disoccupazione anche fra gli adulti più avanti con gli anni. In quel caso, questa rete di protezione cede di schianto”.
Quando il crack Lehman Brothers gli si è mangiato i risparmi e l’ha costretto a lasciarsi alle spalle quanto aveva costruito all’estero, Salvatore ha deciso di ricominciare da Milano. La crisi l’ha però raggiunto e gli ha portato via anche il ristorante che dal 2009 gestiva per conto di una grande catena. Oggi dice di non trovare lavoro proprio a causa della sua ‘eccessiva’ esperienza.
“A volte mi dicono che è per l’età – spiega -, a volte per il mio curriculum: con più di vent’anni d’attività alle spalle si presume che mi si debba pagare un certo tipo di stipendio. Che sia all’altezza di questa esperienza e questa professionalità”.
Più che mai, l’importanza del sostegno familiare appare oggi cruciale. Tutti gli indicatori mostrano che per sopravvivere i figli hanno sempre più bisogno dei padri.
In media del 24% nell’Eurozona, in Italia il tasso di disoccupazione degli under 25 è aumentato di quasi 5 punti in un anno e sfiora adesso il 37%.
In sempre più dicono inoltre di dover rinunciare a “bisogni basilari” per arrivare alla fine del mese, collocando l’Italia al quart’ultimo posto in Europa di questa triste classifica.
Una ricerca su giovani e crisi condotta dal vicedirettore del Centro Dondena, Arnstein Aasve, non esita a parlare di “disastro economico e sociale” su scala europea, soprattutto per i possibili effetti a lungo termine.
“I giovani d’oggi – spiega – non saranno altrettanto indipendenti, sul piano economico, di quelli della generazione precedente. Tutto, per loro, finisce quindi per slittare nel tempo: trovare un impiego stabile, comprare casa, mettere su famiglia, avere dei bambini…”.
Una conseguenza di breve termine sarà secondo Arnstein Aassve un consistente incremento delle migrazioni verso i paesi più ricchi. Le differenze si acuiscono però intanto anche in Italia.
Più che doppia di quella della Lombardia, in Campania la disoccupazione giovanile ha toccato il livello record del 34%. I laureati che trovano lavoro, guadagnano poi in media il 17% in meno dei loro colleghi del Nord.
In tasca una laurea in matematica all’Università Federico II di Napoli, Raffaella è una di loro.
“Ho lavorato in una scuola privata per sette mesi a soli 600 euro al mese – racconta -. E questo perché mi è stata tolta la possibilità di abilitarmi. E’ uscito un concorso quest’anno, ma potevano partecipare solo i laureati fino al 2002 e quelli con l’abilitazione. E noi? Noi non siamo stati presi in considerazione”.
Quasi raddoppiata a partire dal 2007, la disoccupazione a un anno dalla laurea ha toccato nel 2011 il 19%.
Ex-compagna di studi di Raffaella, per sfuggire alla disoccupazione la sua amica Roberta ha dovuto rassegnarsi a fare tutt’altro e a mettere da parte le sue aspirazioni.
“Io laureata in matematica con 110 e lode, e formatami anche all’estero – racconta – ho dovuto adattarmi, trovando altri tipi di lavoro, ho lavorato due anni come impiegata”.
Flebili anche le speranze che tanti giovani come Roberta e Raffaella possono riporre nelle statistiche: nel 2011 pari al 12,5% delle assunzioni, il numero di laureati che saranno assorbiti dalle aziende italiane, dovrebbe salire entro la fine dell’anno di non oltre 2 punti.

Perche' Votare Grillo


Unica opposizione vera, con idee di sinistra? Beppe Grillo


Per chi, nonostante tutto, trova ancora a sinistra – intesa nel senso fresco, aggiornato e post-ideologico ben espresso qualche settimana fa da Giulietto Chiesa – il proprio universo di riferimento politico, queste elezionisono un vero e proprio rebus. Chi la sinistra sostiene di rappresentare, in questa tornata, ha compiuto autentici capolavori di masochismo, andando oltre il fondo che già ormai pensavamo si fosse definitivamente toccato negli anni precedenti. A cominciare è stato Vendola, con la decisione suicida di allearsi con il Partito Democratico. A Vendola sarebbe bastato guardare alla sua sinistra e dire “uniamoci e torniamo in Parlamento”, e non avrebbe fatto fatica a porsi alla guida di una coalizione saldamente ancorata a sinistra, alternativa al Pd, facilmente accreditabile di una percentuale di voti ben superiore a quell’8% necessario ad entrare in entrambi i rami del Parlamento.
Invece Vendola, ad un’opposizione libera da condizionamenti e capace di rinvigorire e cementare una sinistra italiana uscita disastrata dalle politiche Vendola e Bersanidel 2008, ha preferito spaccarla ulteriormente e puntare su un’alleanza innaturale col Pd, che lo costringe ogni giorno che passa di questa campagna elettorale a fare i salti mortali per garantire al suo elettorato che lui con Monti non si alleerà mai (come se, del resto, essere alleati di Enrico Letta e Fioroni, invece, sia una cosa che un elettore di sinistra, oggi, possa digerire facilmente). Dal che discende, oltre che un’emorragia di voti per Sel (oggi accreditata della metà dei consensi che i sondaggi le assegnavano prima della decisione di “sposare” il Pd), un vero e proprio enigma per un suo elettore: se vota Sel, lo fa perché vuole contribuire, da sinistra, a un’alleanza di governo, altrimenti voterebbe “Rivoluzione Civile”; ma che senso avrebbe allora votare Sel se, come è evidente, Bersani sarà costretto all’alleanza con Monti e Vendola a quel punto si sfilerà, come non si stanca mai di assicurare?
Lasciando gli elettori di Sel al loro enigma, passiamo appunto a “Rivoluzione Civile”. Ricreare la fallimentare accozzaglia elettorale che era stata la Sinistra Arcobaleno nel 2008 pareva francamente arduo. Cinque anni dopo ci si è riusciti addirittura peggiorandola, con l’innesto di un corpo estraneo, Di Pietro (che, visto da sinistra, non può che essere considerato tale), e con l’affidamento incondizionato ad un improvvisato “deus ex machina”, Ingroia, nel segno di un personalismo politico modaiolo e banale che con la sinistra dovrebbe centrare poco o nulla (pur con tutto il rispetto per Ingroia). Intendiamoci: quello di “Rivoluzione Civile” è un programmainteressante di cui un elettore di sinistra potrebbe pure accontentarsi (ammesso che, a sinistra come a destra, esistano ancora elettori interessati ai programmi). Tuttavia, la dinamica frettolosa con cui “Rivoluzione Civile” è nata, che finisce con il farla apparire come una sorta di Frankenstein prematuramente partorito, rischia di annullare la bontà di qualunque Ingroiaprogramma, già poco dopo la chiusura delle urne.
L’aspetto masochistico di tutto ciò è che la nascita di “Rivoluzione Civile” a scopi meramente elettorali ha finito con il frenare bruscamente – se non addirittura compromettere – l’unico vero processo di costruzione democratica e dal basso in Italia di un soggetto politico di sinistra, quello che stava avvenendo all’interno di “Cambiare si può”, come dimostra la presa di distanza da “Rivoluzione Civile” da parte dei cosiddetti “professori” che di “Cambiare si può” sono la mente. Così, per il nostro elettore di sinistra, si ripropone con “Rivoluzione Civile” un altro enigma: se vota “Rivoluzione Civile”, lo fa perché vuole che nel prossimo Parlamento ci sia un’alternativa a sinistra della coalizione Pd-Sel; ma che senso avrebbe votare “Rivoluzione Civile” se questo soggetto dovrà poi fare i conti con un collante elettorale destinato a venire subito meno, col rischio – molto concreto – di assistere ad un triste spettacolo di disunione interna, dal quale l’alternativa di sinistra uscirebbe del tutto indebolita, per di più col rischio che questa dinamica si ripercuota anche fuori dal Parlamento, come lascia intendere quanto già avvenuto nell’ambito di “Cambiare si può”?
In questo enigmatico contesto, ecco che – paradossalmente – il nostro frastornato elettore di sinistra potrebbe essere tentato dall’idea che il voto speso meglio sia quello dato al “Movimento 5 Stelle”, guidato, anzi “capeggiato”, da uno che di sinistra non è mai stato, Beppe Grillo. Con lui, i rischi che si corrono con Sel e “Rivoluzione Civile” non ci sono: non c’è nessun dilemma-alleanze come nel caso di Vendola e nemmeno un dilemma-tenuta come nel caso di “Rivoluzione Civile”, ovvero si può stare certi che il “Movimento 5 Stelle”, una volta in Parlamento, farà per tutta la legislatura un’opposizione netta, radicale e granitica. I problemi, con Grillo, sono altri e ben noti, guardandolo da sinistra. E non stiamo parlando dei dubbi sul fatto che si tratti di una forza realmente di sinistra. Ha scritto uno dei più acuti osservatori del “Movimento 5 Stelle”, Andrea Scanzi, sul “Fatto Quotidiano”, facendo riferimento al loro programma: «Sanità pubblica, scuola pubblica, reddito minimo garantito per tutti, pacifismo, ambiente, liste pulite, Grilloabbattimento dei costi dellapolitica, no agli inceneritori, etc: il “Movimento 5 Stelle” è di destra come Storace di sinistra».
I problemi sono piuttosto altri, e innegabili: l’appiattimento sul “Capo” e la dipendenza totale da lui, la scarsa democrazia interna (sempre citando Scanzi: «Il M5S contiene anche questa anomalia di inseguire lademocrazia dal basso – “Uno vale uno” – ma di essere al tempo stesso la dimostrazione – per ora – del contrario») e il populismo urlato dei toni (non dei contenuti). Ecco quindi la domanda: può un elettore di sinistra tapparsi occhi, orecchie e naso di fronte a questi che da sinistra non possono che essere visti come degli inaccettabili difetti del “Movimento 5 Stelle” e concentrarsi solo su quella che dal suo punto di vista può apparire come un’evidente qualità, ovvero essere la forza in gioco che meglio può garantire di poter contare, dentro il prossimo Parlamento, su un’opposizione netta, radicale e granitica fondata su contenuti di sinistra? Non lo sappiamo. Quello che è certo, tuttavia, è che si verificherebbe, a quel punto, ciò che proprio Grillo ha più volte affermato con enfasi: colui per il quale voto diventa un mio dipendente, e deve fare quello che io gli chiedo. E questo, forse, potrebbe essere il miglior modo di neutralizzare, da sinistra, ogni rischio di deriva populista e anti-democratica del “Movimento 5 Stelle”. Agli elettori di sinistra, da sempre minoritari e ora anche frastornati, l’ardua decisione.

Debito e banche pubbliche: la Germania ci rovina barando


Debito e banche pubbliche: la Germania ci rovina barando

La Germania sta barando: ci impone lo spietato regime di austerity e il taglio della spesa pubblica, mentre – sottobanco – usa nientemeno che il proprio debito pubblico (quello che ci impedisce di utilizzare) per lucrare sulla nostra crisi, aggravandola e pilotandola attraverso il mercato finanziario dei titoli di Stato. Lo afferma Pietro Cambi attraverso “Crisis”, il blog di Debora Billi. La “virtuosa” Germania, sostiene Cambi, ricorre proprio alla vituperata finanza pubblica per ricattare l’Italia e gli altri “Piigs”, grazie ad un semplice artificio bancario: se lo adottasse anche l’Italia, potrebbe abbattere di colpo gli interessi sul debito e tagliare lo spread dell’80%. Basterebbe tornare alla sovranità monetaria, sottraendosi alla tagliola dell’euro? Berlino, sostiene Cambi, lo sta già facendo: alla faccia delle pretese privatizzazioni, che a noi vengono imposte, è tuttora largamente pubblico il capitale delle maggiori banche tedesche.
Berlino, racconta Cambi, ha sistematicamente aggirato l’articolo principale del regolamento europeo che vieta allebanche centrali di concedere Angela Merkelliquidità agevolata ai propri Stati, passando direttamente alla clausola – perfettamente legale – che invece concede questa facoltà decisiva agli “enti creditizi di proprietà pubblica”. In regime pre-euro, la funzione di “prestatore di ultima istanza” era prerogativa di Bankitalia: anche oggi, se fosse autorizzata, la banca centrale potrebbe infatti approvvigionarsi presso la Bce di liquidità ad un tasso privilegiato, come tutti gli istituti bancari europei, dello 0,75%: così, Bankitalia potrebbe «comprare i titoli di Stato italiani immessi sul mercato» e «spegnere immediatamente la febbre da spread». In concreto: gli interessi su Bot e Btp lo Stato li pagherebbe a se stesso, perché «sarebbe debitore di una banca di cui è il proprietario». Quindi quei soldi «tornerebbero allo Stato o, cosa equivalente, andrebbero a ricostituire le riserve della banca stessa, che così potrebbe meglio adempiere alle proprie funzioni e, alla fine, fare da sé», ovvero «comprare i titoli Btp senza più chiedere soldi alla Bce».
In pratica, aggiunge Cambi, si recupererebbe la famosa sovranità monetaria che permetteva alla Banca d’Italia di stampare lire, ove necessario, per acquistare i titoli di Stato rimasti invenduti e così tener bassi i tassi d’interesse. Mission impossibile: lo vieta il regolamento europeo che mette fuori gioco le banche centrali. Ma attenzione: non gli “enti creditizi di proprietà pubblica” che, «nel contesto dell’offerta di liquidità da parte delle banche centrali, devono ricevere dalle banche centrali nazionali e dalla Banca Centrale Europea lo stesso trattamento degli enti creditizi privati», ovvero la sospirata “liquidità agevolata” della Bce. Chiaro, no? Persino imbarazzante, dice Cambi: dunque, in teoria, “si può fare”. Tant’è vero che la Germania lo sta già facendo. All’Italia basterebbe nazionalizzare una banca, magari in cattive acque come il Monte dei Paschi di Siena, usandola come Commerzbank, colosso finanziario tedesco a capitale pubblicoveicolo – attraverso l’acquisizione facilitata di euro – per sostenere i titoli di Stato e abbattere lo spread.
In Germania, spiega Cambi, oltre la metà del sistema bancario è in mani pubbliche. Eesempio: la Commerzbank, secondo istituto tedesco, ha lo Stato come azionista di maggioranza. E «siccome, tramite le proprie banche investe (e massicciamente) nei nostri Btp, lo Stato tedesco, come azionista di maggioranza, lucra sulle nostre sfighe e sul nostro spread: gli basta non comprare i nostri bond, ed ecco che lo spread si innalza». In poche parole, il governo di Berlino «esercita un controllo diretto impressionante sulla nostra politica interna», con manovre finanziarie da centinaia di miliardi. Lo Stato tedesco «è l’azionista di maggioranza di centinaia di istituti bancari di diritto privato ma a capitale quasi totalmente pubblico, che accedono alla Bce allo 0,75%». Quindi Berlino «compra massicciamente titoli tedeschi, tenendo giù i loro tassi di interesse».
Altro esempio, la Kfw (Kreditanstalt fuer Wiederaufbau), istituto nato nel dopoguerra per gestire i fondi del Piano Marshall: è posseduta all’80% dalla Repubblica Federale Tedesca e al 20% dai Lander. In pratica, è al 100% pubblica, «come altre centinaia di banchetedesche» che, «con la scusa del project financing», finanziano un sacco di enti, iniziative e attività pubbliche e private, al posto dello Stato, «tenendo su a forza l’economia del paese». Formalmente, sono istituti di diritto privato, e quindi i loro finanziamenti – frutto del capitale pubblico e decisivi per l’economia tedesca – non vanno ad aumentare il debito pubblico della Germania. E come fa, Berlino, ad approvigionarsi di euro? «Comprando decine di miliardi di euro di Bund, con gli euro presi in prestito dalla Bce allo 0,75% e, ovviamente con gli interessi sui prestiti a privati». Per approvvigionarsi sul mercato allo scopo Kwf, altro pilastro della finanza pubblica tedescadi finanziare queste attività, il governo tedesco «ha emesso nel tempo una quantità enorme di obbligazioni: insomma, ha fatto debiti per 430 miliardi di euro».
Al contrario della nostra analoga Cassa Depositi e Prestiti, le cui passività (obbligazioni postali) contribuiscono al cumulo del debito pubblico italiano per quasi il 20% del nostro Pil, le passività germaniche della Kfw, pari quasi 500 miliardi di euro, rappresentano il 17% del Pil tedesco. Ma – e qui sta il “trucco” – non sono state contabilizzate nel bilancio statale, e quindi non vanno ad aumentare, come invece dovrebbero, il “virtuoso” debito pubblico tedesco. Il tutto, aggiunge Cambi, è regolarmente permesso dalla Comunità Europea attraverso l’Esa-95, il manuale contabile che detta le regole per il calcolo dei debiti pubblici. Bruxelles «esclude dal computo le società pubbliche che si finanziano con pubbliche garanzie ma che coprono il 50,1% dei propri costi con ricavi di mercato e non con versamenti pubblici, tasse e contributi». Ovvero: fino a che un eventuale deficit o comunque i costi di funzionamento sono coperti almeno per il 50,1% dai ricavi, il deficit e le altre passività dell’istituto non vengono computati nel bilancio dello Stato. Come ha scritto il “Corriere della Sera”, la serietà di un tale principio è paragonabile alla considerazione del rischio da parte dei contabili che hanno favorito il crac della Lehman Brothers.
«Con un trucco meramente contabile, che in casi analoghi oltreoceano ha portato a condanne per bancarotta fraudolenta, la Germania ha cancellato o, se preferite, “occultato” oltre il 17% del suo debito pubblico», dichiara Cambi. «Eliminato questo trucco contabile, il debito pubblico tedesco farebbe un balzo del 20% in in colpo solo, dall’80% al 97%». Ed è solo la punta dell’iceberg di un tipo di “contabilità creativa” «probabilmente più spudorata di quella che è stata imputata alla famigeratissima e disgraziatissima Grecia, che peraltro aveva truccato i conti di un ben più modesto 10%». In effetti, aggiunge Cambi, i debiti degli istituti tedeschi nei confronti della Bce ammontano a qualcosa come 750 miliardi di euro – e di questi, almeno la metà sono da riferire a banche di proprietà pubblica. E il François Hollandebello è che la Germania non è il solo paese a fare questo genere di trucchetti: «Anche in Francia, Hollande (tanto per cambiare) ha appena istituito un ente simile, la Bpi, con compiti simili e una quarantina di miliardi di dote».
E allora perché Monti e colleghi non hanno pensato, a loro volta, a una soluzione del genere? Ovvero: perché mai, «pur essendo ben a conoscenza di questi immensi trucchi contabili», i “salvatori” dell’Italia «non hanno denunciato la Germania e le sue velleità paneuropee di fronte al mondo?». E’ proprio lì che Monti non voleva arrivare: «Non volendo nazionalizzare una banca per meri motivi di contabilità nazionale, perché così facendo si renderebbero troppo evidenti i giochini altrui, si preferisce trovarsi una buona scusa, come ad esempio l’evidente rischio di insolvenza dell’istituto medesimo, per essere “costretti” a nazionalizzarlo», come appunto il Montepaschi. Tutto questo, aggiunge Cambi, poteva semplicemente non-succedere, se solo non avessimo privatizzato, in nome del liberismo, la maggior parte dei nostri istituti bancari e di conseguenza la Banca d’Italia. Quanto alla mancata denuncia dei trucchi tedeschi, basta ascoltare Monti: solo «una crisi tremenda» avrebbe consentito di tagliare in Pietro Cambimodo selvaggio la spesa pubblica e procedere alla «privatizzazione e liberalizzazione forzosa dell’intera società».
Capito a cosa serviva, l’esplosione dello spread? «Una volta deciso che la crisi e le sue devastanti conseguenze erano il prezzo da pagare per plasmare il paese, Grecia o Italia non importa, secondo la dottrina della shock economy, il resto è una logica conseguenza: se non è un movente, ci si avvicina molto». E in Europa lo sanno? «Certo», conclude Cambi: è proprio da lì – dal sistema di potere che si estende da Bruxelles fino a Berlino – che è partita la grande “tosatura” dell’Italia e degli altri “Piigs”. Operazione truccata, insiste Cambi, e atrocemente sleale: proprio chi vieta all’Italia di ricorrere al debito, in realtà fa uso massiccio del propriodebito pubblico per sostenere la propria economia, contro la nostra. Quand’è che la politica italiana se ne comincerà ad occupare?

Pur calando i consumi il costo del carburante non diminuisce!i petrolieri fanno cartello!!noi resisteremo un attimo in piu'


Petrolio: Up, consumi gennaio -10,4%

Domanda totale benzina e gasolio diminuita del 7,6%



(ANSA) - ROMA, 13 FEB - Nuovo forte calo dei consumi petroliferi italiani a gennaio: sono ammontati a circa 4,8 milioni di tonnellate, con una contrazione del 10,4% (-556.000 tonnellate) rispetto allo stesso mese 2012. Lo rende noto l'Unione Petrolifera precisando che la domanda totale di carburanti (benzina + gasolio) a gennaio e' stata pari a circa 2,3 milioni di tonnellate, di cui 0,6 milioni di benzina e 1,7 di gasolio autotrazione, con un calo del 7,6% (-193.000 tonnellate) rispetto allo stesso mese del 2012.

Accradra' anche a te Merkel,Francia: -0,3% Pil quarto trimestre


Francia: -0,3% Pil quarto trimestre

Lo informa istituto nazionale statistica



(ANSA) - ROMA, 14 FEB - Il Pil della Francia e' sceso dello 0,3%, nel quarto trimestre 2012, rispetto al mese precedente (quando aveva segnato un +0,1) e allo stesso periodo del 2011.

E' quanto informa l'istituto nazionale di statistica. Il risultato e' superiore al -0,2% della media degli analisti contattati da Bloomberg.

'Ndrangheta: scoperto bunker latitante


'Ndrangheta: scoperto bunker latitante

Trovato nelle campagne del Reggino dai carabinieri, un arresto



(ANSA) - CANDIDONI (REGGIO CALABRIA), 13 FEB - I carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria, del Ros e dello squadrone cacciatori hanno scoperto un bunker sotterraneo di 10 metri quadrati nelle campagne di Candidoni destinato ad ospitare la latitanza di Marcello Pesce, ritenuto il boss dell'omonima cosca di Rosarno, ricercato dal 26 aprile 2010. Al rifugio si accedeva da una botola mimetizzata dalla vegetazione. I militari hanno arrestato Francesco Alviano, ritenuto vicino al latitante.

Usura e frode, decine perquisizioni Gdf


Usura e frode, decine perquisizioni Gdf

Sette avvisi garanzia, imprenditori a vertici organizzazione



(ANSA) - BOLOGNA, 13 FEB - La Guardia di Finanza di Cremona ha eseguito decine di perquisizioni tra Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Calabria nei confronti di imprenditori del settore edile e dei trasporti e professionisti coinvolti in attivita' di usura e frode fiscale, aggravate dalla finalita' di agevolare un'associazione mafiosa. L'indagine e' coordinata dalla Procura Nazionale Antimafia e dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bologna. Ai vertici, tutti imprenditori, notificati sette avvisi di garanzia.