martedì 27 gennaio 2015

Vogliono acqua, luce e gas: soldi a palate, e il Pd obbedirà

Vogliono acqua, luce e gas: soldi a palate, e il Pd obbedirà


Acqua, luce, gas. Perché il Pd vuole privatizzare i servizi pubblici fondamentali? Perché gliel’hanno ordinato gli speculatori: la finanza ci guadagna di più e non rischia niente. Ecco il motivo dell’invocata modifica del Titolo V della Costituzione, che tuttora affida agli enti locali il controllo delle reti di distribuzione. Tutto iniziò con Franco Bassanini, attuale presidente della Cdp, la Cassa Depositi e Prestiti. Già socialista, poi transitato al Pds: fu lui, ricorda Paolo Barnard, a sferrare il primo storico attacco alla gestione pubblica dei servizi degli enti locali, le “utility”. Risultato: la legge 267 del 2000, figlia del lavoro svolto negli anni ‘90 da questo tecnocrate europeista. Bassanini «obbediva al già infame trattato Gats dell’Organizzazione Mondiale del Commercio di Ginevra», cioè il trattato del Wto che «mirava a mettere nelle mani degli speculatori internazionali (cioè privatizzare) i tuoi servizi essenziali, come scuola, sanità, assistenza sociale, cimiteri, anagrafe, acqua, luce, gas». Poi il Gats «si è impantanato», ma niente paura: oggi rientra dalla finestra col nome di Tisa ed è collegato al Ttip, il Trattato Transatlantico sul commercio.
Dopo le “limature” di Prodi e D’Alema alla fine degli anni ’90, continua Barnard, oggi Renzi «vuole portare la stoccata finale alla privatizzazione dei servizi enti locali». Domanda: «Ma perché tutta ’sta furia del Pd (coccige di Wall Street) a fare ’ste Bassanini“riforme”?». La risposta è persino banale: «Gli investitori sanno da tempo che investire in un servizio “utility” rende molto di più e si rischia molto di meno che investire nelle banche». Per la precisione, «significa che uno speculatore/investitore americano o russo o cinese guadagna molto di più, e rischia 9 volte di meno!, a investire nell’acqua o nel gas di un Comune che li privatizza piuttosto che a investire in Unicredit o Intesa o Bank of America o Bnp Paribas o Deutsche Bank». Non ci credete? «Non credete che mettere 1 milione di dollari sull’acqua sia mooolto meglio che metterli nelle super-potentibanche?». Il modello, continua Barnard, viene ovviamente dall’America: «Le “utility”, cioè proprio i servizi locali di acqua, luce e gas, hanno garantito agli investitori americani degli utili dall’80% al 50% di media!».
Rendimenti stellari, se paragonati ai settori finanziari classici, le mega-banche: ai suoi investitori, Jp Morgan ha garantito il 30%, mentre Bank of America «un miserabile 4%», e un colosso come Citigoup «un’agonia dello 0,9%». Senza contare i debiti, naturalmente: «Imparate che il rapporto fra i debiti di una banca e il suo capitale (azioni) si chiama “leverage ratio”. Più alto è il debito e più basso è il capitale, più c’è “leverage” (rischio). Gli investitori hanno sempre guardato a questo rapporto debiti-capitale quando hanno messo soldi in banche o in “utility”. Oggi – aggiunge Barnard – la realtà che gli Stati Uniti hanno insegnato all’Europa è che chi investe in banca si becca in media un “leverage” di 1 di capitale contro 10 di debiti, mentre, e qui sta il punto dei punti, chi investe in “utilities” si becca un rischio 9 volte inferiore, oltre che molti più utili». Il nostro problema? «Il rapido Renzi scondinzola», quindi «noi cittadinisiamo fottuti», visto che «qui si chiude il cerchio maledetto: la finanza ordina, il Pd obbedisce». Disposizione chiara: via il Titolo V, per poter privatizzare le “utility”. Coi più sentiti ringraziamenti, da parte degli speculatori, agli italiani che hanno votato Pd.

Taglio alle pensioni in vista,Tito Boeri all'Inps

Tito Boeri all'Inps, taglio alle pensioni in vista


Immagine tratta da Dagospia

Che ci fa un professore della Bocconi (un altro...), presidente della Fondazione Debenedetti, editorialista di Repubblica, fondatore de Lavoce.info, ex senior economist dell'Ocse e tante altre cose alla presidenza dell'Inps?
A prima vista arriva a restituire normalità all'ente incaricato di ritirare i contributi previdenziali dalle imprese ed erogare le pensioni, secondo le regole stabilite in passato. Dopo la sciagurata stagione di Mastrapasqua e due commissari straordinari, un presidente autorevole potrebbe sembrare quello che ci vuole.
Il primo sospetto è venuto dalla constatazione della sproporzione evidente tra il curriculum del Boeri più noto (il fratello Stefano, architetto, ha firmato tra l'altro il "recupero" dell'arsenale de La Maddalena per un vertice G8, in regime berlusconiano) e la presidenza di un carrozzone di Stato, decisivo nelle politiche di redistribuzione ma pur sempre un carrozzone di Stato. Uno come lui, insomma, sta sempre nel listino dei candidati a ministro dell'economia...
Poi, dagli articoli dedicati alla nomina dai giornali mainstream, è cominciata a trapelare qualche ragione meno peregrina. Al Corriere della Sera, per esempio, si sono ricordati con affetto di quel che alcuni anni fa era stato un lavoro scientifico del prof. Boeri giudicato forse a torto "minore": il meccanismo di "ricalcolo" delle pensioni.
Ai profani può sembrare in effetti poca cosa, ma il meccanismo tecnico disegnato - in via d'ipotesi, per carità - da Boeri era incardinato dentro un'idea di riforma complessiva del sistema pensionistico pubblico. In pratica, Boeri si è segnalato in campo pensionistico per l'idea di ricalcolare le pensioni in essere interamente con il sistema contributivo, superando la stratificazione normativa - e monetaria - creata dal tempo della "riforma Dini" (1995).
Un'altra riforma delle pensioni è del resto stata più volte evocata come "necessaria" in ambito governativo e confindustriale, ma subito le voci sono state silenziate, perché facevano sembrare il governo Renzi un po' troppo simile a tutti quelli precedenti, specie all'odiatissimo Monti-Fornero, e stavolta pure senza alcuna lacrima dietro il sorriso strafottente.
L'idea di Boeri ha invece il pregio di apparire soltanto un "dettaglio tecnico", non proprio una "riforma". Consentirebbe grandi risparmi sulla spesa pensionistica senza dover allungare ulteriormente l'età pensionabile (67 anni sono un limite che per il momento neanche la Merkel chiede di superare).
Come? Tagliando gli assegni alle pensioni già in essere. Il ragionamento è semplice quanto omicida: se si "ricalcola" l'assegno pensionistico - di quelli che già si sino ritirati dal lavoro come di chi ci andrà in futuro, da qui all'eternità - secondo il sistema contributivo (in base cioé ai contributi effettivamente versati) si ottiene una riduzione più o meno drastica della cifra erogata. DIpende da quanti anni di servizio sono stati calcolati fin qui col "retributivo" e naturalmente dall'entità dei contributi versati annualmente (in proporzione allo stipendio).
A venir falciati in misura maggiore sarebbero dunque gli assegni attualmente pagati ai pensionati che hanno avuto tutta la loro carriera calcolata col retributivo (diciamo quelli che si sono ritirati dal lavoro fino a una decina di anni fa, grosso modo). A seguire ci sarebbe un taglio sostanzioso per quanti, all'epoca della "Dini", si sono visti spezzare la carriera in due periodi (una prima parte col "retributivo" e una seconda col "contributivo"). In linea teorica - ma non ci giureremmo - nulla cambierebbe per quanti già ora sanno che la loro vita lavorativa sarà compensata con una pensione da fame, quantificata in base al solo "contributivo". Constatiamo però che in campo pensionistico non sembra esistere limite alle riduzioni possibili; quindi anche i giovani attualmente al lavoro (quelli che hanno "la fortuna" di avercelo) potrebbero vedersi amputare parti più o meno consistenti dei quattro soldi che avranno a fine carriera (già ora è sotto attacco il Tfr...).
Insomma: una nomina che è tutto un programma. Di rapina.