giovedì 19 febbraio 2015

MONSANTO:Voi pensate alla guerra, noi intanto ci mangiamo l’Ucraina

Voi pensate alla guerra, noi intanto ci mangiamo l’Ucraina


Nello stesso momento in cui gli Stati Uniti, il Canada e l’Unione Europea annunciavano una nuova serie di sanzioni contro la Russia nella metà del dicembre dello scorso anno, l’Ucraina riceveva 350 milioni di dollari in aiuti militari da parte degli Usa, arrivati subito dopo un pacchetto di aiuti da un miliardo di dollari approvato nel marzo 2014 dal Congresso degli Stati Uniti. Il maggior coinvolgimento dei governi occidentali nel conflitto in Ucraina è un chiaro segnale della fiducia nel consiglio stabilito dal nuovo governo durante i primi giorni di dicembre. Questo nuovo governo è più unico che raro nella sua specie, dato che tre dei suoi più importanti ministri sono stranieri a cui è stata accordata la cittadinanza Ucraina solo qualche ora prima di incontrarsi per questo loro appuntamento. Il titolo di ministro delle finanze è andato a Natalie Jaresko, una donna d’affari nata ed educata in America, che lavora in Ucraina dalla metà degli anni ’90, sovraintendente di un fondo privato stabilito dal governo Usa come investimento nel paese. La Jaresko è anche amministratore delegato dell’Horizon Capital, un’azienda che amministra e gestisce svariati investimenti nel paese.
Per strano che possa sembrare, questo appuntamento è in linea con ciò che ha tutta l’aria di essere una acquisizione dell’economia ucraina da parte dell’Occidente. In due inchieste – “La presa di potere delle aziende sull’agricoltura ucraina” e Campagna contro la Monsanto“Camminando dalla parte dell’Ovest: la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale nel conflitto ucraino” – l’Oakland Institute ha documentato questa presa di potere, in particolarmente evidente nel settore agricolo. Un altro fattore importante nella crisi che ha portato alle proteste mortali ed infine all’allontanamento dagli uffici del presidente Viktor Yanukovich nel febbraio 2014, è stato il suo rifiuto di un patto dell’Associazione Ue, volto all’espansione del commercio e ad integrare l’Ucraina alla Ue, un patto legato a un prestito di 17 miliardi di dollari da parte del Fondo Monetario Internazionale. Dopo la dipartita del presidente e l’installazione di un governo pro-occidente, il Fondo Monetario Internazionale ha messo in atto un programma di riforme come condizione a questo prestito, allo scopo di incrementare gli investimenti privati nel paese.
Il pacchetto delle misure adottate include la fornitura pubblica di acqua ed energia e, ancor più importante, si rivolge a ciò che la Banca Mondiale identifica col nome di “radici strutturali” dell’attuale crisi economica esistente in Ucraina, con un occhio in particolare all’alto costo del generare affari nel paese. Il settore agricolo ucraino è stato un obiettivo primario per gli investitori stranieri ed è quindi logicamente visto dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Centrale come un settore prioritario da riformare. Entrambe le istituzioni lodano la prontezza del nuovo governo nel seguire i loro suggerimenti. Ad esempio, il piano d’azione della riforma agraria guidata dall’Occidente nei confronti dell’Ucraina include la facilitazione nell’acquisizione di terreni agricoli, norme e controlli sulle fabbriche e sulla terra, e la riduzione delle tasse per le aziende e degli oneri doganali. Gli interessi che gravitano intorno al vasto settore agricolo dell’Ucraina, che è il terzo maggior esportatore di mais ed il quinto Il grano ucrainodi grano, non potrebbero essere più alti. L’Ucraina è nota per i suoi ampi appezzamenti di suolo scuro e ricco, e vanta più di 32 milioni di ettari di terra fertile ed arabile, l’equivalente di un terzo dell’intera terra arabile di tutta l’Unione Europea.
La manovra per il controllo sul sistema agricolo del paese è un fattore decisivo nella lotta che sta avendo luogo negli ultimi anni tra Occidente e Oriente, fin dalla Guerra Fredda. La presenza di aziende straniere nell’agricoltura ucraina sta crescendo rapidamente, con più di 1.6 milioni di ettari acquistati da compagnie straniere per scopi agricoli negli ultimi anni. Sebbene Monsanto, Cargill e DuPont siano in Ucraina da parecchio tempo, i loro investimenti nel paese sono cresciuti in modo significativo in questi ultimi anni. Cargill, gigante agroalimentare statunitense, è impegnato nella vendita di pesticidi, sementi e fertilizzanti, e ha recentemente espanso i suoi investimenti per acquistare un deposito di stoccaggio del grano, nonché una partecipazione nella UkrLandFarming, il maggiore agrobusiness dell’Ucraina. Similarmente, la Monsanto, altra multinazionale americana, era già da un po’ in Ucraina, ma ha praticamente duplicato il suo team negli ultimi tre anni. Nel marzo 2014, appena qualche settimana dopo la destituzione di Yanukovych, l’azienda investì 140 milioni nella costruzione di un nuovo stabilimento di sementi in Ucraina. Anche la DuPont ha allargato i suoi investimenti annunciando, nel giugno 2013, la volontà di investire anch’essa in uno stabilimento di sementi nel paese.
Le aziende occidentali non hanno soltanto preso il controllo su una porzione redditizia di agribusiness e altre attività agricole, hanno iniziato una vera e propria integrazione verticale nel settore agricolo, estendendo la presa sulle infrastrutture e sui trasporti. Per dire, la Cargill al momento possiede almeno quattro ascensori per silos e due stabilimenti per la lavorazione dei semi di girasole e la produzione di olio di girasole. Nel dicembre 2013 l’azienda ha acquistato il “25% + 1% condiviso” in un terminal del grano nel porto di Novorossiysk, nel Mar Nero, terminal con una capacità di 3.5 milioni di tonnellate di grano all’anno. Tutti gli aspetti della catena di fornitura dell’Ucraina Agricola – dalla produzione di sementi ed altro, all’attuale Penny Pritzker con Obamapossibilità di spedizione di merci fuori dal paese – stanno quindi incrementando sotto il controllo dei colossi occidentali. Le istituzioni europee e il governo degli Usa hanno attivamente promosso questa espansione.
Tutto è iniziato con la spinta per un cambiamento di governo quando il fu presidente Yanukovych era visto come un filorusso, manovra ulteriormente incrementata, a cominciare dal febbraio 2014, attraverso la promozione di un’agenda delle riforme “pro-business”, come descritto dal segretario statunitense del commercio, Penny Pritzker, durante il suo incontro con il primo ministro Arsenly Yatsenyuk nell’ottobre 2014. L’Unione Europea e gli Stati Uniti stanno lavorando duramente, mano nella mano, per prendere possesso dell’agricoltura ucraina. Sebbene l’Ucraina non permetta la produzione di coltivazioni geneticamente modificate (Ogm), l’Accordo Associato tra Ue e l’Ucraina, che accese il conflitto che poi espulse Yanukovych, include una clausula (articolo 404) che impegna entrambe le parti a cooperare per “estendere l’uso delle biotecnologie” all’interno del paese. Questa clausula è sorprendente, dato che la maggior parte dei consumatori europei rifiuta l’idea delle coltivazioni Ogm. Ad ogni modo, essa crea un’apertura in grado di portare i prodotti Ogm in Europa, un’opportunità tanto desiderata dai grandi colossi agroalimentari, come ad esempio Monsanto.
Aprendo l’Ucraina alle coltivazioni Ogm si andrebbe contro la volontà dei cittadini europei, e non è chiaro come questo cambiamento potrebbe portare migliorie alla popolazione ucraina. Allo stesso modo non è chiaro come gli ucraini beneficeranno di questa ondata di investimenti stranieri nella loro agricoltura, e quale sarà l’impatto che questi ultimi avranno su sette milioni di agricoltori locali. Alla fine, una volta che si distoglierà lo sguardo dal conflitto nella parte est “filorussa” del paese, i cittadini ucraini potrebbero domandarsi cosa è rimasto della capacità del paese di controllare e gestire l’economia e le risorse a loro proprio beneficio. Quanto ai cittadini statunitensi ed europei, alla fine si sveglieranno dalle retoriche sulle aggressioni russe e sugli abusi dei diritti umani, e contesteranno il coinvolgimento dei loro governi nel conflitto ucraino?

Grazie Renzi: disagi economici per una famiglia su quattro

Grazie Renzi: disagi economici per una famiglia su quattro

Si tratta di quasi 15 mln di persone. Metà in gravi difficoltà

Istat: disagi economici per 14,6 milioni di individui © ANSA

 "Il 23,4% delle famiglie vive in una situazione di disagio economico, per un totale di 14,6 milioni di individui". Così l'Istat nel rapporto 'Noi Italia', sulla situazione nel 2013. L'anno prima comunque la percentuale era ancora più alta (24,9%). Tornando al dato più recente, circa la metà, il 12,4% dei nuclei, si trova in grave difficoltà. 

Le statistiche si basano sull'indicatore di deprivazione, che scatta quando si presentano almeno tre sintomi (dopo i quattro si parla di seria deprivazione) su un set di nove. La lista del fattori di rischio va dal non poter sostenere spese impreviste, ad accumulare arretrati nei pagamenti (mutui, affitti, bollette). Ecco che nel 2013 il 23,4% delle famiglie residenti in Italia presenta almeno tre delle difficoltà considerate (il 12,4% nel caso di quattro o più) con differenze marcate tra i diversi indicatori: il 2,6% dichiara di non potersi permettere l'acquisto di una lavatrice, un televisore a colori, un telefono o un'automobile, mentre sono il 50,4% quelle che non possono permettersi una settimana di vacanza lontani da casa. Circa il 19% dice di non riuscire a riscaldare adeguatamente l'abitazione e il 14,5% di non potersi permettere un pasto adeguato almeno ogni due giorni. Infine, il 12% è rimasto in arretrato con almeno un pagamento e il 40,5% non riuscirebbe ad affrontare una spesa imprevista di 800 euro. Il panorama territoriale mette in evidenza il forte svantaggio dell'Italia meridionale e insulare, con valori più che doppi rispetto alla media nazionale. Nel Mezzogiorno, le famiglie deprivate sono il 40,8% di quelle residenti, contro il 15,4% del Nord-ovest, il 13,1% del Nord-est e il 17,3% del Centro. Le situazioni più gravi si registrano in Sicilia (50,2), Puglia (43), Calabria e Campania (38,8). I valori più bassi invece si ritrovano nella provincia autonoma di Trento (10,6), nel Veneto (12,1), in Piemonte (12,2), in Toscana (12,5) e in Emilia-Romagna (14,1).

Neet uno giovane su quattro, peggio solo Grecia - Sono due milioni e mezzo i giovani tra 15 e 29 anni che non studiano e non lavorano, i cosiddetti Neet. Dati del 2013 alla mano, si tratta del 26% degli under30, più di 1 su 4. Lo rileva l'Istat nel rapporto Noi Italia. In Ue peggio fa solo la Grecia (28,9%). Ne abbiamo il triplo della Germania (8,7%) e quasi il doppio della Francia (13,8%).

In Italia lavorano meno di 6 persone su 10 - In Italia lavorano meno di sei persone su dieci in età compresa tra i 20 e i 64 anni. Nel 2013, infatti, il tasso di occupazione per questa fascia d'età è calato, scendendo sotto quota 60% (si è fermato al 59,8%). Nella graduatoria europea, solamente Grecia, Croazia e Spagna presentano valori inferiori. Lo afferma l'Istat nel rapporto 'Noi Italia', spiegando come si tratti di un indicatore strategico per l'Ue (l'obiettivo sarebbe raggiungere il 75% per il 2020).

Tra big Ue solo in Francia pressione fisco più alta - "La pressione fiscale in Italia raggiunge il 43,3% nel 2013, collocando il nostro Paese al sesto posto nell'Ue28. Rispetto ai principali partner europei il valore italiano risulta inferiore solo a quello della Francia". Lo sottolinea l'Istat nel Rapporto 'Noi Italia'.


Carceri: agenti insultano su Facebook detenuto suicida

Carceri: agenti insultano su Facebook detenuto suicida

Per il Dap, convocato dal ministro della Giustizia, è una follia intollerabile

Risultati immagini per carceri

E' un sindacato non tra i più rappresentativi della Polizia penitenziaria, l'Alsippe, a scatenare su un tema tragico come i suicidi in carcere una polemica di cui non si avvertiva un'impellente necessità. Sulla sua pagina Facebook, l'Alsippe, acronimo di 'Alleanza sindacale polizia penitenziaria', ha ospitato commenti feroci (poi cancellati) di sedicenti agenti della Polpen a proposito del suicidio di Ioan Gabriel Barbuta, che si è tolto la vita nel carcere milanese di Opera, dove si trovava in seguito a una condanna in appello all'ergastolo da parte della Corte d'assise di Venezia per aver ucciso, nel giugno del 2013, un vicino di casa durante una rapina finita male. "Un rumeno in meno","speriamo abbia sofferto" sono i commenti che li sintetizzano tutti, mentre qualcuno che ha provato a essere più riflessivo ha scritto: "Lavora all'interno di un istituto. Sono solo extracomunitari. Per fare questo mestiere devi avere il core nero".
Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando ha convocato per domani il capo del Dipartimento amministrazione penitenziaria, Santi Consolo sulla vicenda, ma è stato lo stesso Dap a reagire subito in modo severo perché considera i post "un'offesa al lavoro di tutti gli agenti che tutti i giorni sono impegnati a salvaguardare le persone che hanno in custodia". L'organismo del Ministero da cui dipende la Polizia penitenziaria ha già avviato un'inchiesta interna per accertare che gli autori degli insulti siano davvero dei poliziotti e assicura che, in caso positivo, scatteranno le dovute sanzioni dal momento che la faccenda è ritenuta una "follia intollerabile". Di diverso avviso il segretario della Lega, Matteo Salvini secondo cui "conoscendo quali sono le condizioni in cui lavorano gli agenti della Polizia Penitenziaria non dico che giustifico ma capisco".
Chiedono, invece, di fare luce sulla vicenda il Pd e Sel, mentre Patrizio Gonnella di 'Antigone' invita il Dap a chiudere ogni rapporto con l' Aslippe se sarà dimostrato che sono tesserati di questo sindacato quelli che hanno scritto "le frasi volgari e offensive". "Se è vero - dice Gonnella - che si tratta di agenti penitenziari questi hanno contravvenuto a un dovere di lealtà e legalità, tradendo la loro missione e il loro impegno istituzionale". Dura condanna arriva anche da uno dei principali sindacati degli agenti, il Sappe che, nel dare la notizia del suicidio di Barbuta, aveva spiegato: "Purtroppo, nonostante il prezioso e costante lavoro svolto dalla Polizia Penitenziaria, pur con le criticità che l'affliggono, non si e' riusciti ad evitare tempestivamente cio' che il detenuto ha posto in essere nella propria cella". Il segretario del Sappe, Donato Capece sferza inoltre i presunti colleghi "esultare per la morte di un detenuto - dice - è cosa ignobile e vergognosa".  


Adesso Cambia La politica Monetaria in europa L'Fmi fa mea culpa "Molti errori sulla Grecia"


L'Fmi fa mea culpa
"Molti errori sulla Grecia"

Il Fondo monetario conferma in un documento interno di aver sbagliato la ricetta del salvataggio: troppo pesante la cura, troppi ritardi nel taglio al debito. E ammette: "L'intervento su Atene è servito più che altro a consentire all'Europa di mettere in sicurezza gli altri paesi a rischio"





MILANO - Scusate abbiamo sbagliato la cura. La medicina era troppo pesante e il malato, che poteva rimettersi con una giornata in day hospital, è finito in rianimazione. A tre anni dal salvataggio della Grecia, il Fondo Monetario internazionale ammette per la prima volta in un documento riservato pubblicato dal "Wall Street Journal" che il piano della Troika per Atene è stato sbagliato fin dall'inizio. I giudizi messi nero su bianco nel memorandum riservato sono impietosi: la ricetta di austerity lacrime e sangue imposta assieme a Bce e Ue al governo ellenico sottostimava largamente i suoi effetti recessivi. Non solo. Gli stessi vertici dell'Fmi sapevano fin dall'inizio che i disastrosi parametri economici di Atene non consentivano un intervento del fondo in suo soccorso. Ma hanno chiuso un occhio, continuando a sostenere in pubblico (Christine Lagarde compresa) che il debito del paese era sostenibile. L'intera operazione, è scritto nel documento, "è stata fatta per prendere tempo e consentire all'area euro di costruire le difese necessarie per salvare gli altri paesi che rischiavano di essere travolti dall'effetto contagio della crisi dei debiti sovrani". Le conseguenze sono oggi sotto gli occhi di tutti: l'area euro, in effetti, non è (ancora) implosa. Ma la Grecia ha perso il 25% del Pil in quattro anni (quasi il triplo di quanto stimato dalla Troika) ha una disoccupazione arrivata al 27% e l'effetto contagio dell'austerity ha messo in ginocchio con pesanti effetti recessivi tutti gli altri Piigs. E sulla dinamica del debito nazionale l'Fmi riconosce di aver sbagliato "di molto". Osservazioni cui un portavoce della Ue ha risposto sottolineando che "Bruxelles dissente su molti aspetti".


Si poteva far meglio? Ovviamente sì. Il Fondo ammette nel suo documento che bastava tagliare subito il debito di Atene per rendere il salvataggio non solo molto più rapido ma pure più indolore. Ma una scelta di questo genere era "politicamente difficile" perché diversi paesi della comunità, Germania in primis, erano contrari. Così la Grecia ha continuato a pagare per due anni il 100% dei suoi interessi a banche e fondi speculativi e oggi si trova con l'esposizione allo stesso livello ma solo verso Fmi, Bce e paesi sovrani. A pagare sono così i contribuenti. Nel documento ce n'è pure per il governo greco, colpevole di aver ritardato di molto il via libera alle riforme strutturali e di aver elaborato provvedimenti "che hanno aumentato la sperequazione sociale del paese".

La ratio di questa analisi severissima è chiaro: da una parte provare a trarre una lezione da questi errori per non ripeterli in futuro. Il salvataggio della Grecia è costato finora 230 miliardi di prestiti (di cui 48 usciti dalle casse del Fondo, di gran lunga la maggior operazione di questo tipo mai approvata da Washington) e le critiche sembrano concentrarsi su due aree: la collaborazione con la Ue e la valutazione delle ricette uscite dagli uffici studi degli economisti, compresi gli errori nei multipli per valutare gli effetti dell'austerity. A spingere al mea culpa è però anche una considerazione politica più sottile. Il peso dei paesi emergenti nel fondo sta continuando a crescere. E anche se la loro rappresentanza nel board non è ancora altissima, il peso specifico del loro ruolo ha obbligato Lagarde ad ammettere che l'esposizione sull'Europa (e soprattutto l'arrendevolezza alle tesi di Bruxelles e della Germania) sono state eccessive. Il monito è sottinteso: se la crisi dei debiti sovrani dovesse tornare a peggiorare, la Ue dovrà a quel punto arrangiarsi da sola.