martedì 26 agosto 2014

La guerra (non dichiarata) degli Usa al resto del mondo

GEO-FINANZA/ La guerra (non dichiarata)
degli Usa al resto del mondo

La Prima guerra mondiale (1914-
18) fu un conflitto europeo,
ancora una volta sulla scia degli
aggiustamenti della caduta
dell’Impero romano. Al di là dei
richiami patriottici, il tentativo
era di semplificare la mappa
geopolitica d’Europa, e
soprattutto di dividersi le spoglie
dell’Impero Ottomano e di quello
Austroungarico. Inoltre, la
Grande guerra, che ebbe un
effetto di riduzione demografica
significativa in Europa, ebbe anche conseguenze economiche e geopolitiche enormi.
Tutti settori produttivi, industriali, agricoli, dei trasporti, furono potenziati,
costituendo un vero boom economico.
L’Inghilterra era il principale finanziatore degli alleati fino al 1916, quando chiese
prestiti agli Usa. Il Pil inglese crebbe del 14% (1914-18), quello francese decrebbe del
23% rispetto al 1913 e gli Usa si trovarono a gestire una seria crisi finanziaria (dovuta
a numerosi errori di gestione). Nel 1916 l’Inghilterra convinse la Francia a firmare un
accordo (Sykes-Picot) per la spartizione delle regioni dell’Impero Ottomano in Medio
Oriente: l’Inghilterra prese così il controllo di tutti i territori produttori di petrolio.
Nel 1919, il Trattato di Versailles impose alla Germania sconfitta delle draconiane
riparazioni di guerra che avrebbero dovuto ripagare dei danni alle economie civili
europee. Invece, la grande maggioranza di quelle ingenti somme finì a ripagare i
crediti delle banche Usa.
La Seconda guerra mondiale (1942-45) può essere ben considerata ancora come un
episodio di chiusura dei contenziosi rimasti dopo il 1918. Questa volta, però, il
risultato economico per gli Usa fu di otto dollari per ogni dollaro investito nel conflitto,
e sul piano geopolitico la presa di controllo dell’Europa occidentale, nonché il passaggio
di consegne dei territori mediorientali fino ad allora controllati dall’Inghilterra, con il
famoso incontro tra Roosevelt e il re saudita nel 1945 a bordo di un incrociatore
americano.
La gestione militare della Guerra fredda e dei suoi corollari, portò ben presto a capire
che la spinta positiva della Seconda guerra mondiale sull’economia del dollaro si stava
esaurendo. La dollarizzazione del mondo, iniziata con gli accordi di Bretton Woods,
negoziati tra 44 paesi nel luglio 1944 ed entrati in vigore nel 1958, serviva a imporre
un nuovo standard di dominio: il sistema monetario e finanziario. Nonostante ciò,
dopo la sconfitta militare in Vietnam (1969-72) apparve chiaro che si doveva
procedere a un’ulteriore aggiustamento del sistema euro-americano e mondiale.
La terza rivoluzione industriale dagli anni ‘70 ha portato l’era delle telecomunicazioni
e dell’informatica progressivamente diventate di massa. In coincidenza con questo
evento è iniziata la compressione dei salari e la crescita delle diseguaglianze sociali ed
economiche. Una tendenza che si è aggravata con il laissez faire finanziario degli anni
‘90, la deregolamentazione finanziaria e commerciale su scala globale. La crisi del
sistema finanziario americano nel 2007 e poi l’installarsi della recessione economica in
Europa, pongono serie domande sulla possibilità di tenuta dei sistemi socio-economici
euro-americani.

Egitto ed Emirati hanno attaccato in Libia?

Egitto ed Emirati hanno attaccato in Libia?


libia

Negli ultimi sette giorni, Egitto ed Emirati Arabi Uniti avrebbero condotto segretamente una serie di attacchi aerei contro alcune milizie islamiste, impegnate da mesi nella battaglia per il controllo di Tripoli, in Libia, secondo un’accusa dei leader di alcune milizie libiche smentita nei giorni scorsi ma oggi confermata da fonti interpellate dal New York Times.
La notizia delle operazioni militari è stata confermata da quattro funzionari del governo statunitense, ma era stata smentita dai due paesi coinvolti che hanno negato di avere organizzato o partecipato ad attività simili negli ultimi giorni. L’ipotesi era nata dopo alcuni attacchi aerei su Tripoli di cui non era chiara la responsabilità. Egitto ed Emirati sono tra i più importanti alleati degli Stati Uniti nell’area medio orientale ed araba e per questo il governo statunitense è rimasto sorpreso dalla decisione di agire senza preavviso, hanno spiegato i funzionari al New York Times.

Stando alle fonti consultate dal giornale, già in passato Egitto ed Emirati avrebbero collaborato in almeno un’altra circostanza per condurre alcuni attacchi contro gruppi islamisti in Libia. Le operazioni avrebbero comportato l’utilizzo di squadre speciali sul territorio, forse dei soli Emirati, e non esclusivamente attacchi aerei coordinati tra i due paesi. Egitto ed Emirati Arabi Uniti sono tra i principali sostenitori di iniziative politiche, mediatiche e militari per ridurre il più possibile il ruolo dei gruppi islamisti in molti paesi arabi. Il governo egiziano è esplicitamente, e lo ha mostrato nei mesi passati con violenza, contro il movimento dei Fratelli Musulmani, messo al bando dall’Egitto dopo una sua breve fase di controllo del paese seguita alla caduta della presidenza Mubarak.
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Gli Stati Uniti temono che un impegno diretto e continuativo di Egitto ed Emirati in Libia – paese nel caos da mesi, con istituzioni fortemente indebolite e continue battaglie tra diversi gruppi di miliziani che mirano al controllo di parte del territorio – possa portare a nuovi squilibri nei rapporti diplomatici tra i paesi arabi e a nuove tensioni. Tra i principali sostenitori delle organizzazioni islamiste come i Fratelli Musulmani ci sono Qatar e Turchia, che hanno dato nei mesi scorsi il loro sostegno e in alcuni casi fornito armi ad alcuni gruppi. Attraverso le complicate vie diplomatiche, la comunità internazionale prova da mesi a mantenere buoni rapporti tra i paesi dell’aerea, ma gli sforzi sarebbero vanificati se le attività militari di Egitto ed Emirati Arabi Uniti proseguissero nelle prossime settimane, hanno spiegato sempre al New York Times alcuni funzionari statunitensi.
Il presidente egiziano al Sisi domenica scorsa aveva comunque negato che “forze militari e dell’aeronautica dell’Egitto” siano state impegnate in territorio libico. Ma riservatamente il governo egiziano avrebbe fatto intendere altro, dicono le fonti statunitensi. Gli Emirati Arabi Uniti non hanno diffuso commenti sulle voci degli attacchi aerei condotti segretamente in Libia, ma su alcuni giornali sono state riportate frasi di alcuni membri del governo che hanno negato un coinvolgimento diretto del paese.

Quattro anni sprecati, di Luciano Gallino

Quattro anni sprecati, di Luciano Gallino

Quattro anni sprecati, di Luciano Gallino (da la Repubblica del 19 agosto 2014)
“I governi Berlusconi, Monti, Letta, Renzi saranno ricordati come quelli che hanno dimostrato la maggiore incapacità nel governare l’economia in un periodo di crisi. I dati sono impietosi. Dal 2009 ad oggi il Pil è calato di dieci punti. Qualcosa come 160 miliardi sottratti ogni anno all’economia. L’industria ha perso un quarto della sua capacità produttiva. La produzione di autovetture sul territorio nazionale è diminuita del 65 per cento. L’indicatore più scandaloso dello stato dell’economia, quello della disoccupazione, insieme con quelli relativi alla immensa diffusione del lavoro precario, ha raggiunto livelli mai visti. La scuola e l’università sono in condizioni vergognose. Sei milioni di italiani vivono sotto la soglia della povertà assoluta, il che significa che non sono in grado di acquistare nemmeno i beni e i servizi di base necessari per una vita dignitosa. Il rapporto debito pubblico-Pil sta viaggiando verso il 140 per cento, visto che il primo ha superato i 2100 miliardi. Questo fa apparire i ministri che si rallegrano perché nel corso dell’anno saranno di sicuro trovati tre o quattro miliardi per ridurre il debito dei tristi buontemponi. Ultimo tocco per completare il quadro del disastro, l’Italia sarà l’unico Paese al mondo in cui la compagnia di bandiera ha i colori nazionali dipinti sulle ali, ma chi la comanda è un partner straniero.
Si possono formulare varie ipotesi circa le origini del disastro. La più nota è quella avanzata da centinaia di economisti europei e americani sin dai primi anni del decennio. È un grave errore, essi insistono, prescrivere al cavallo maggiori dosi della stessa medicina quando è evidente che ad ogni dose il cavallo peggiora. La medicina è quella che si compendia nelle politiche di austerità, richieste da Bruxelles e praticate con particolare ottusità dai governi italiani. Essa richiede che si debba tagliare anzitutto la spesa pubblica: in fondo, a che cosa servono le maestre d’asilo, i pompieri, le infermiere, i ricercatori universitari? In secondo luogo bisogna privatizzare il maggior numero possibile di beni pubblici. Il privato, dicono i medici dell’austerità, è sempre in grado di gestire qualsiasi attività con superiore efficienza: vedi, per dire, i casi Ilva, Alitalia, Telecom. Infine è necessario comprimere all’osso il costo del lavoro, rendendo licenziabile su due piedi qualunque tipo di lavoratore. I disoccupati in fila ai cancelli sono molto più disposti ad accettare qualsiasi lavoro, a qualsiasi condizione, se sanno che al minimo sgarro dalla disciplina aziendale saranno buttati fuori come stracci. Altro che articolo 18.
Nell’insieme la diagnosi appare convincente. Le politiche di austerità sono un distillato delle teorie economiche neoliberali, una macchina concettuale tecnicamente agguerrita quanto politicamente misera, elaborata dagli anni 80 in poi per dimostrare che la democrazia non è che una funzione dell’economia. La prima deve essere limitata onde assicurare la massima espansione della libertà di mercato (prima di Draghi, lo hanno detto senza batter ciglio Lagarde, Merkel e perfino una grande banca, J. P. Morgan). La mente e la prassi di tutto il personale che ha concorso a governare l’economia italiana negli ultimi anni è dominata sino al midollo da questa sofisticata quanto grossolana ideologia; non c’è quindi da stupirsi che essa abbia condotto il Paese al disastro.
Domanda: come mai, posto che tutti i governanti europei decantano e praticano i vantaggi delle politiche dell’austerità, molti dei loro Paesi se la passano meglio dell’Italia? La risposta è semplice: perché al di sotto delle coperture ideologiche che adottano in pubblico, le iniziative che essi prendono derivano piuttosto da una analisi spregiudicata delle reali origini della crisi nella Ue. In Italia, non si è mai sentito un membro dei quattro “governi del disastro” proporre qualcosa di simile ad una tale analisi, con la conseguenza che oltre a praticare ciecamente le politiche neoliberali, i nostri governanti ci credono pure. Facendo di loro il personale politico più incompetente della Ue.
Si prenda il caso Germania; non a caso, perché la Germania è al tempo stesso il maggior peccatore economico d’Europa (copyright Flassbeck), e quello cui è meglio riuscito a far apparire virtuoso se stesso e peccatori tutti gli altri. Il motivo del successo tedesco è noto: un’eccedenza dell’export sull’import che col tempo ha toccato i 200 miliardi l’anno. Poco meno di due terzi di tale somma è dovuta ad acquisti da parte di altri paese Ue. Prodigio della tecnologia tedesca? Nemmeno per sogno. Prodigio, piuttosto, della formula “vai in malora te e il tuo vicino” (copyright Lapavitsas) ferreamente applicata dalla Germania a tutti i Paesi Ue. Grazie alle “riforme” dell’Agenda 2010, dalla fine degli anni 90 i lavoratori tedeschi non hanno visto un euro in più affluire ai loro salari; il considerevole aumento complessivo della produttività verificatosi nello stesso periodo si è tradotto per intero nella riduzione dei prezzi all’esportazione. In un regime di cambi fissi come quello imposto dall’euro, questo meccanismo ha trasformato la Germania in un Paese a forte surplus delle partite correnti e tutti gli altri Paesi dell’Eurozona in Paesi deficitari.
Ha voglia la Cancelliera Merkel di decantare le virtù della “casalinga dello Schlewig-Holstein”, che spende soltanto quel che incassa e non fa mai debiti. La virtù vera dei tedeschi è consistita, comprimendo i salari interni per favorire le esportazioni, nel diventare l’altezzoso creditore d’Europa, mettendo in fila tutti gli altri Paesi come debitori spreconi. È vero che negli incontri ufficiali è giocoforza che ognuno parli la neolingua del regime neoliberale che domina la Ue. Invece negli incontri dove si decidono le cose serie bisognerebbe chiedere ai governanti tedeschi che anziché della favola della casalinga si discuta magari delle politiche del lavoro — quelle tedesche — che hanno disastrato la Ue. Potrebbe essere utile quanto meno per condurre trattative per noi meno jugulatorie. Tuttavia per fare ciò bisogna avere una nozione realistica della crisi, e non è chiaro se esiste un solo governante italiano che la possegga.

Nei discorsi con cui verso metà agosto Matteo Renzi ha occupato gran parte delle reti tv, si è profuso in richiami alla necessità di guardare con coraggio alla crisi, di non lasciarsi prendere dalla sfiducia, di contare sulle risorse profonde del paese. Sarà un caso, o uno spin doctor un po’ più colto, ma questi accorati richiami alla fibra morale dei cittadini ricordano il discorso inaugurale con cui Franklin D. Roosevelt inaugurò la sua presidenza nel marzo 1933. In Usa le conseguenze furono straordinarie. Ma non soltanto perché i cittadini furono rianimati di colpo dalle parole del presidente. Bensì perché nel giro di poche settimane Roosevelt creò tre agenzie per l’occupazione che in pochi mesi diedero un lavoro a quattro milioni di disoccupati, e attuò la più grande ed efficace riforma del sistema bancario che si sia mai vista in Occidente, la legge Glass-Steagall. Ci faccia vedere qualcosa di simile, Matteo Renzi, in tempi analoghi, e cominceremo a pensare che il suo governo potrebbe anche risultare meno disastroso di quanto oggi non sembri.”

(da La Repubblica, 19 agosto 2014