mercoledì 2 ottobre 2013

Missione compiuta Giovani, addio lavoro: spezzare l’Italia

Giovani, addio lavoro: spezzare l’Italia, missione compiuta


Allarme, dramma, tragedia. Sono i vocaboli con cui giornali, sindacati e Confindustria definiscono la catastrofe della disoccupazione indotta dalle politiche di rigore volute da Bruxelles. In Italia quasi un giovane su due non ha lavoro e, nel complesso, gli italiani disoccupati sono oltre 3 milioni. Un dato in continuo aumento: situazione desolante, fotografata dall’Istat e da Eurostat. Un record storico, addirittura, per i giovanissimi tra i 15 e i 24 anni: la massa dei senza lavoro supera il 40%, raggiungendo una soglia mai toccata dal 1977, anno d’inizio delle rilevazioni trimestrali. Peggio di noi, solo Spagna e Grecia. E’ la resa del Sud Europa al micidiale “economicidio” decretato dall’Eurozona: niente moneta sovrana e quindi tagli alla spesa pubblica, terremoto sul sistema di welfare, frana del credito, crollo dei consumi, agonia delle aziende e lavoratori a spasso. Da Monti a Letta, la musica non cambia: anzi, rispetto allo scorso anno la disoccupazione è cresciuta ancora, dell’1,4%, mentre la politica non accenna a riconoscere la causa del problema.
Buio pesto anche dai sindacati, che si limitano a registrare la gravità della situazione senza avanzare nessuna analisi. Luigi Angeletti, della Uil, non Saccomanni e Lettatrova di meglio che invocare una generica «crescita economica», sostenuta da «un governo che prenda decisioni». Per il collega della Cisl, Raffaele Bonanni, serve «un sussulto di responsabilità». Obiettivo, allentare la pressione fiscale sul lavoro. Con che soldi? Non è dato saperlo. Non una parola, dai sindacati, sulla tragedia del sequestro europeo della sovranità finanziaria. Con un lessico analogo, che in altre circostanze sarebbe comico, il vicepresidente di Confindustria, Aurelio Regina, sostiene che serve «un governo che lavori per consentire l’aggancio dell’Italia alla ripresa». Tradotto: meno tasse su lavoro e aziende, per riattivare i consumi. Peccato che il ministro dell’economia sia l’ex banchiere centrale Fabrizio Saccomanni, fedele interprete delle direttive Ue. Nonostante ciò, Regina chiede che nella “legge di stabilità” – la mannaia con cui Bruxelles condanna i suoi sudditi, in primis l’Italia – il governo «dia spazio a un deciso taglio del cuneo fiscale», perché Aurelio Reginail paese «ha bisogno di risposte urgenti». 
Secondo il Cnel, i ragazzi italiani che hanno di fronte questo sfacelo, prodotto dal mix infernale tra globalizzazione selvaggia e smantellamento della democrazia (il golpe finanziario chiamato Eurozona), si vedono costretti ad essere «più attivi, ma più disoccupati». Non si arresta il fenomeno dei Neet (“not in employment, education or training”): la quota di ragazzi che non hanno un’occupazione e al tempo stesso non sono a scuola o in formazione si attesta al 23,9% della popolazione giovanile, con punte di 35% nelle regioni del Mezzogiorno, rileva il “Fatto Quotidiano”. Più attivi sul mercato, ma più disoccupati o sotto-inquadrati rispetto ai livelli di istruzione conseguiti, i giovani confermano ancora una volta il vuoto che esiste tra i risultati del sistema formativo, la domanda di lavoro e il progressivo incremento del fenomeno dell’over-education. «I giovani sono inoltre più frequentemente working poor, lavoratori a basso salario, che accettano condizioni lavorative che li espongono al rischio di indigenza, pur di entrare nel circuito produttivo». In Europa, sta meglio solo la Germania coi suoi satelliti (Austria, Lussemburgo), cioè l’economia basata sull’export che – proprio grazie all’euro – in dieci anni h

Salvare l’Italia? Dimentichiamoci Letta, Renzi e Berlusconi

Salvare l’Italia? Dimentichiamoci Letta, Renzi e Berlusconi


La parola d’ordine è una sola: vincere. Così Mussolini dal fatale balcone, tanti anni fa. Oggi che il Duce non c’è più, resta comunque una parola d’ordine – un’altra: sopravvivere – ed è sempre l’indizio di un gioco truccato. Chi parla per proclami, oggi più di ieri, sta barando: sa benissimo che la verità è lontana anni luce dalle parole. Non solo non si può “vincere”, ma non si può più nemmeno sopravvivere. E’ matematico, pallottoliere alla mano: se non hai più moneta da creare e quindi da spendere, e se ormai è lo straniero a gestire addirittura la tua borsa, le speranze di continuare a galleggiare – lavoro, consumi, servizi – sono ridotte a zero. La beffa suprema è che la verità seguita e restare fuori dalla porta, oscurata con zelo dai mattatori della disinformazione, oscuri manovali e pallidi eredi del Solista del Balcone. Agli ordini delle grandi lobby che dominano le comparse della democrazia – cartelli elettorali e semi-leader, sindacati e ras industriali complici della finanza – giornali e televisioni parlano di Letta, Napolitano e Berlusconi come di autorità politiche in grado di gestire davvero la crisi italiana, senza mai neppure domandarsi da dove venga, questa maledettacrisi.
La parola tabù, mai pronunciata nei momenti che contano, è sempre la stessa: moneta. Ci è stata sottratta, la moneta, con un gioco di prestigio che Mussoliniaveva in palio un grandioso traguardo civile, l’unificazione storica del continente che insieme a Galileo, Leonardo e Voltaire seppe partorire lo schiavismo e il colonialismo, le guerre di religione, il nazifascismo, la Shoah e due conflitti mondiali. Risultato: all’inizio degli anni ’90 abbiamo applaudito, mentre ci sfilavano di tasca il portafogli. Ancora non lo sapevamo, ma i padroni della Terra avevano già capito che la breve festa del dopoguerra – lo sviluppo, il progresso, il benessere, i diritti – era praticamente finita. Era terminata, la ricreazione, anche nella critica trincea italiana, il paese del “miracolo” che – grazie al debito pubblico dosato in modo strategico – aveva raggiunto risultati straordinari in brevissimo tempo, nonostante la forte corruzione della classe politica, tollerata perché indispensabile a cementare il sistema atlantico in funzione anti-Urss.
Così, sorridemmo sollevati alla caduta del Muro di Berlino, anche perché l’alba della nuova era sembrava sorvegliata dalla presenza rassicurante di un grande della storia come Mikhail Gorbaciov. Appena qualche anno dopo saltarono in aria Falcone e Borsellino, mentre i reggenti della transizione avevano appena ceduto lo scalpo dell’Italia – cioè il nostro – all’assise di Maastricht. Oggi, vent’anni dopo, del panfilo Britannia con a bordo Mario Draghi e gli squali della finanzaparassitaria anglosassone parlano liberamente, in seconda serata, Gianluigi Paragone e Loretta Napoleoni, mentre – nel giorno del crac della larghe intese – Lucia Annunziata chiede invano al preoccupato Enrico Mentana che si racconti finalmente tutta la storia degli Illuminati, il grande retroscena dei veri clan onnipotenti, la filiera delle svendite e delle cessioni-fantasma che si snocciola ininterrotta fino ai nostri giorni con le vicende Telecom e Alitalia, infrastrutture nazionali finanziate con glorioso ed efficiente debito pubblico per fare Gorbaciovdell’Italia un paese moderno, una delle prime 7 economie mondiali.
Tutto finito, da tempo: non solo perché Slovenia e Croazia non sono più nemiche dell’America, ma anche perché potrebbe diventare atlanticamente inaffidabile persino la docile Italia, così come la Grecia e le altre vittime sacrificali dell’Eurozona, se solo diventasse un po’ più amica della Russia, cioè del maggior forziere energetico di tutta la latitudine eurasiatica. Meglio tenerla al guinzaglio, l’Europa, magari premiando l’immancabile kapò tedesco – ovviamente a insaputa dei tedeschi stessi, a cui provvede la relativa disinformazija, quella che racconta loro, mentendo, che il Sud Europa è un continente di irresponsabili scrocconi. Vedono lungo, i signori della Terra: una sfera orbitante che ormai ospita sette miliardi di esseri umani non può più essere il paese della cuccagna per il “miliardo d’oro”, anche perché l’impero occidentale declina, i Brics reclamano la loro parte e all’orizzonte c’è un subcontinente sterminato che si chiama Cina.
Acqua e cibo, clima e terra. I limiti dello sviluppo smentiscono la fiaba della crescita infinita, su cui si basa l’ottuso credo bugiardo di tutti gli addetti alla narrazione ufficiale, quelli che hanno sempre sparso nebbia sulla scienza dell’economia, come fosse un’arte magica per iniziati, incomprensibile e fuori dalla portata dei comuni mortali. Il loro capolavoro: farci credere che il debito dello Stato sia paragonabile a quello di famiglie e aziende – che, a differenza dello Stato, il denaro non possono crearlo dal nulla, ma solo guadagnarlo. I dominus sono abilissimi nell’arte della prevenzione: hanno annientato le vecchie barricate, smantellato le opposizioni, accecato e comprato gli avversari, plastificato l’immaginario collettivo, desertificato le coscienze pubbliche. Oggi sono in grado di presentare la cosiddettacrisi come un evento ciclico, una calamità naturale inevitabile e rimediabile solo con la sottomissione, la tolleranza illimitata del disagio crescente. Fino all’estrema depravazione italiana: prima il brutale gauleiter Monti, poi le larghe intese fangose tra gli ultimi boss di una sotto-casta di affannati Jorge Mario Bergogliocamerieri, tra i quali già si fa largo il sorriso impaziente dell’ultimo erede dinastico, Matteo Renzi.
Mentre il regime del pensiero unico presidia ancora saldamente la comunicazione, è proprio l’urto della crisi economica a spalancare nuovi crateri nel tessuto sociale, seminando innanzitutto paura. Il frangente è feroce e richiede parole adeguate, ferme e inequivocabili: le trova coraggiosamente un uomo soltanto, il Papa di Roma. Verità dolorose, pronunciate in solitudine da Jorge Mario Bergoglio, di fronte all’indecente silenzio di partiti e ministri, politici e sindacalisti. Tutti gli altri, gli attivisti estranei al circuito, i potenziali costruttori dell’alternativa – italiana e necessariamente internazionale, almeno europea – appaiono ancora dispersi, ognuno concentrato su singoli aspetti della catastrofe incombente: le malefatte delinquenziali del piccolo clan nazionale di potere, la grande tragedia della carenza di energia e materie prime, la relativa geopolitica della guerra, il disastro ambientale dietro l’angolo: secondo l’Onu, entro cent’anni il clima impazzito solleverà i mari fino a sommergere le città rivierasche.
Al centro della scena, naturalmente, resta l’aspetto più pratico e immediato della sciagura, la piaga della disoccupazione che rivela la gravità della cosiddetta crisi economico-finanziaria dell’Occidente: da una parte l’Eurozona, con gli Stati privati della loro moneta e quindi costretti a tosare i cittadini, e dall’altra Londra e Washington, che invece il denaro continuano giustamente a fabbricarlo. Peccato però che quello stesso denaro venga usato dallafinanza per taglieggiare gli sventurati che la sorgente del denaro l’hanno perduta. A noi, i paesi dell’Eurozona, si impongono tangenti su un debito pubblico non più sovrano ma comprato e venduto a tasso di usura, con la piena collaborazione della Bce (quella di Mario Draghi, l’uomo del Britannia) che in virtù del trattato-capestro di Maastricht continua a negare Draghialle nostre repubbliche il legittimo accesso alla moneta, ovvero l’ossigeno necessario a produrre investimenti, lavoro, consumi, benessere.
La prima alternativa imprescindibile, per evitare che la situazione precipiti definitivamente nella disperazione, è quella della parola: servono narrazioni oneste, spiegazioni chiare e sincere. Solo oggi emerge appieno il ruolo-chiave delle élite nelle nostre recenti disavventure, in realtà frutto di una oscura e accurata premeditazione almeno trentennale. E il peggio, dice uno storico dell’economia come Giulio Sapelli, non è neppure lo strapotere occulto dei grandi clan mondiali: il peggio è che persino loro hanno ormai smarrito la bussola, e quindi ci aspettano turbolenze mai viste. Quelle, peraltro, a cui stiamo cominciando regolarmente ad assistere. In condizioni di crescente pericolo, in cui la pace sociale potrebbe rapidamente crollare anche in Italia al livello greco, servirebbe quindi uno sforzo straordinario per unire forze e costruire alleanze attorno a un’intelligenza collettiva democratica, in grado di affrontare l’emergenza nella quale stiamo sprofondando.
Punto primo: pervenire finalmente a una lettura univoca e condivisa della grande crisi, che è la somma di più crisi. Da sola, la riconquista di una sovranità politico-monetaria non può risolvere il dramma storico della grande recessione, la fine della crescita occidentale. Per contro, senza potere di spesa pubblica non è neppure lontanamente pensabile nessun programma di investimento capace di costruire futuro. Verissimo: senza gli F-35 e la linea Tav Torino-Lione si potrebbero aprire centinaia di migliaia di posti di lavoro. Ma i disoccupati sono milioni. Per il loro futuro, cioè il nostro, serve una riconversione generale dell’economia: lavoro utile e pulito, nei settori chiave dell’energia rinnovabile, dell’edilizia verde, dei servizi alla persona e delle filiere corte. Una riconversione efficace, sostenuta da uno Stato sovrano funzionante e democraticamente governato, con pieno potere di spesa. Tutto si può fare, ma servono soldi: i nostri, quelli che ci hanno sottratto a Maastricht, a tradimento. Ovviamente, in televisione non se ne parlerà neppure stavolta. Ma sarà bene che qualcuno cominci a farlo: qui si tratta di salvare l’Italia, non il destino di Letta, l’avvenire di Renzi o la malinconica vecchiaia di Berlusconi.

Larghe intese e larghi affari, a cominciare dal magico Tav

Larghe intese e larghi affari, a cominciare dal magico Tav


Si fingono avversari in televisione, ma dietro le quinte sono amici. Anzi: soci. Negli ambienti giudiziari la chiamano «larga intesa degli affari». Destra e sinistra: «Tutti insieme appassionatamente, in un gioco abilissimo e sotterraneo di nomi e prestanome», rivela Lirio Abbate in un reportage su “L’Espresso”. Professionisti e tecnici, segretari di partito e ministri, capi-corrente, deputati e senatori. «I pupari e le marionette. Per muovere affari di milioni, velocizzare pratiche di appalti pubblici, approvare decreti per favorire imprese amiche, cambiare componenti di commissioni di vigilanza e authority». Di fatto, questo significa «svuotare le istituzioni e piegare le regole democratiche in uno spoil system che genera un sistema viziato», che diventa «un magma rovente che fonde gli appetiti meno nobili, una suburra in cui tutti si scambiano favori e dialogano per concretizzare interessi senza badare a casacche e stemmi di partito», a cominciare dalla madre di tutti i subappalti, la famigerata Tav.
E’ l’inchiesta di Firenze sull’alta velocità, costata l’arresto a Maria Rita Lorenzetti, esponente Pd e presidente di Italferr nonché ex governatrice Anna Finocchiarodell’Umbria, a far emergere la “larga intesa degli affari”. Prima ancora che nascesse l’esecutivo Letta, racconta Abbate, lungo l’alta velocità andava già in scena una “grosse koalition” tessuta da personaggi che si presentano come uomini di fiducia e consulenti di esponenti politici di primissimo piano, amici di Massimo D’Alema e Marcello Dell’Utri, Anna Finocchiaro e Angelino Alfano. «Al centro di questo giro c’è un geologo siciliano del Pd, Walter Bellomo, arrestato dai carabinieri del Ros di Firenze». Componente della commissione per la valutazione dell’impatto ambientale del ministero dell’ambiente, secondo gli inquirenti ha avuto un ruolo strategico: facilitatore di appalti. I pm scrivono che «ha tenuto una condotta assolutamente spregiudicata, svendendo la propria funzione non in maniera occasionale ma permanente», mettendosi «a disposizione del gruppo criminale» di cui faceva parte anche la Lorenzetti.
«Non molleranno, sul Tav, perché è il bancomat dei partiti», accusa il leader No-Tav valsusino, Alberto Perino. Le indagini di Firenze sembrano dimostrarlo con assoluta precisione. Per il Pd, quelle di Bellomo erano azioni «meritevoli di riconoscimenti», al punto che il funzionario “strategico” venne presentato alla senatrice Anna Finocchiaro, con la quale avviò un dialogo spesso mediato dal consigliere politico dell’esponente dalemiana, Paolo Quinto. «L’ex capogruppo delPd al Senato – continua Abbate – negli ultimi due anni si è mossa spesso per favorire Bellomo: intercedendo con l’allora ministro Corrado Clini perché lo riconfermasse nella commissione Via, o tentando anche un pressing sul governatore siciliano appena eletto, Rosario Crocetta, suggerendolo come assessore». Questo, ovviamente, avveniva nell’ombra. Alla luce del sole, invece, Anna Finocchiaro si espose nel febbraio 2012 per elogiare il giovane carabiniere che, in valle di Susa, evitò di reagire alle provocazioni di un No-Tav che l’aveva chiamato “pecorella”. Un clamoroso polverone mediatico, per tentare di far dimenticare il fretta l’incidente quasi mortale appena occorso all’anarchico Luca Abbà, precipitato dal traliccio sul quale si era D'Alema con la Lorenzettiarrampicato per protesta.
Un anno e mezzo dopo, ecco che – più che di “pecorelle” e insulti – il gioco è fatto di maxi-appalti di cui non c’è da andare fieri. «Dalle carte degli inquirenti – prosegue il reportage dell’“Espresso” – emergono dettagli interessanti. Si comprende che Bellomo ha mire politiche e pensa, in base alle promesse e ai complimenti che riceve dall’ambiente del Pd, di poter aspirare a un’importante carica istituzionale. Dopo le ultime elezioni ne parla con l’ingegner Mauro Patti, altro componente della commissione Via, amico e testimone di nozze del ministro dell’interno Angelino Alfano». Bellomo e Patti, come annotano gli inquirenti, «sembra che abbiano affari in comune relativi a coinvolgimenti in progetti oggetto di valutazione della stessa Via di cui fanno parte», tra cui un Club Med a Cefalù. Il Ros intercetta la loro conversazione: è dicembre 2012 e i due prima scherzano sull’esito delle primarie del Pd e poi Mauro Patti si sbilancia, ritiene molto probabile che Bellomo possa essere chiamato a ricoprire l’incarico di sottosegretario: «È capace che tu vai a fare il sottosegretario, compà! all’ambiente». Bellomo si compiace e non esclude l’ipotesi: «Tutte le porte sono aperte, diciamo che la Finocchiaro è questo che vorrebbe che io facessi… però non è che lei ha solo me, c’è tutta una squadra da mettere in campo».
La Lorenzetti ha rivelato che durante il governo Monti alcune nomine istituzionali venivano decise ancora da Gianni Letta, l’ex sottosegretario di Berlusconi. «Ne parlò con il consigliere politico della senatrice Finocchiaro, il quale non apparve scandalizzato». Sempre la Lorenzetti puntava all’Authority dei Trasporti, per la quale però – secondo Enrico Letta – suo zio Gianni puntava su Pasquale De Lise, ex presidente del Consiglio di Stato. Così la Lorenzetti al telefono con il consigliere della Finocchiaro: «Secondo me devono acchiappare qualcuno del Pdl. Se la linea è quella che diceva Anna (Finocchiaro ndr) che Letta le ha detto, bisogna che ‘chiappino questi del Pdl, ma in particolare Gianni Letta. Me lo diceva ieri durante una Gianni ed Enrico Lettatelefonata imbarazzata Enrico Letta. Da parte sua ovviamente l’imbarazzo che suo zio, Gianni Letta, non vuole sentire ragioni a mollare De Lise».
Walter Bellomo, continua “L’Espresso”, lo scorso gennaio era intenzionato a giocarsi tutto pur di trovare un posto in lista per le elezioni nazionali. In Sicilia ilPd aveva eliminato dalle candidature Wladimiro Crisafulli e Antonio Papania. Il geologo pensava che, con tutti i favori politici assicurati, fosse la volta buona per approdare in Parlamento. Decise di puntare su un referente nuovo, Roberto De Santis, un imprenditore considerato molto vicino a Massimo D’Alema. Per Bellomo il tramite è un collega del ministero dell’ambiente, Giuseppe Chiriatti, che assicura il suo interessamento per procurare il contatto con De Santis: «Faccio io». Dopo un paio di ore è tutto fatto, scrive Abbate: «L’amico di D’Alema è disponibile a incontrare Bellomo». Dalle intercettazioni «emerge l’esistenza tra i due di un rapporto di confidenzialità se non di amicizia». De Santis non è un politico, ma avrebbe potuto introdurre Bellomo a D’Alema. «E a proposito di grandi alleanze – scrive Abbate – occorre ricordare che nel consiglio di amministrazione della società svizzera Avelar, che commercializza metano, Roberto De Santis sedeva accanto a Massimo De Schifani e AlfanoCaro, che le cronache giudiziarie indicano molto vicino a Marcello Dell’Utri».
Lorenzetti & C. vanno in fibrillazione anche nel luglio 2012, perché si ventila il taglio dei posti dei cda nelle società parastatali. «È una persona molto vicina a Renato Schifani (all’epoca presidente del Senato) ad avvertire la presidente di Italferr della manovra del governo. Lorenzetti sembra nel panico – continua “L’Espresso” – e chiama subito il consigliere politico della senatrice Finocchiaro, al quale espone “il pericolo” a cui vanno incontro: il taglio di manager nella pubblica amministrazione». Il consigliere della Finocchiaro tenta di consolare Lorenzetti: «Ho parlato con Anna e ho due novità: uno che si interesserà personalmente con Schifani per sapere se questa cosa è vera, però lei non ne sa nulla. Sicuramente nel partito non c’è stata nessuna discussione e quindi non è una linea del partito. È una linea del governo Monti, di Bondi, il super-consulente di taglio delle spese degli enti pubblici. Il partito non ha fatto assolutamente nulla. Assolutamente non è niente di certo». Così parlano, intercettati, i personaggi-ombra dei politici che, in televisione, raccontano di voler salvare l’Italia.